La buona critica sociopolitica: contro M. Cacciari, U. Galimberti e M. Veneziani

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dopo la filosofia, seguendo T. W. Adorno, la sociatria organalitica

La buona critica sociopolitica: contro M
Cacciari, U. Galimberti e M. Veneziani

Cacciari è un filosofo di vecchia scuola, dalle ampie sintesi, da non confondersi con il lavoro di Galimberti, e anche con i quasi-pamphlet di Gramellini e di un accademico “light” come Veneziani. La sinistra domina la critica filosofica

di Sergio Bevilacqua

Massimo Cacciari
Massimo Cacciari
Marcello Veneziani
Marcello Veneziani

Il tema “Come si fa la critica Socio-politica” è centrale nella Sociatria Organalitica, quando assume una funzione più di Sociologia Generale o anche di Antropologia.

G. F. Hegel nel celebre ritratto di Schesinger (1831)
G. F. Hegel nel celebre ritratto di Schesinger (1831)
I. Kant, nel ritratto di J. G. Becker, 1768
I. Kant, nel ritratto di J. G. Becker, 1768

Non credo che la giusta obiezione a ciò che scrivono commentatori come Veneziani e Cacciari, adusi al linguaggio della comunicazione massmediatica e sostenuti da forze e canali, sia, come è il loro approccio, di tipo ideologico. Entrambi, infatti, hanno dietro le loro weltanschauung (visioni del mondo secondo il filosofo idealista per eccellenza, G. F. Hegel e il suo predecessore I. Kant): essa è una parola filosofica che assomiglia molto a ideologia, altro termine con origine sempre solo filosofica.

C'è una differenza tra l'uno e l'altro. Massimo Cacciari, che conosco molto bene sia come intellettuale sia per essere stato mio cliente per molti anni come sindaco di Venezia sui temi della riorganizzazione del Comune, che ho curato con la mia struttura di Sociatria Organalitica “Orgasystems” per circa 10 anni (1990 -2000), ha anche appunto una importante esperienza pratica come amministratore pubblico, a differenza di Veneziani. Dunque, dovendo ragionare sul curriculum, come è necessario fare per riconoscere il grado di affidabilità di un pensiero politico, la differenza, poi nascosta da altri fattori comunicazionali, è molta tra i due.

Inoltre, Cacciari è un filosofo di vecchia scuola, quelli delle ampie sintesi, che non può essere confusa con le produzioni intelligenti e anche ben impostate di pubblicazioni quasi pamphlet come quelle di un Gramellini e anche di un accademico “light” come Veneziani. Questi ultimi, più comparabili, risentono poi di un fattore in particolare: la sinistra ha abbondanza d testimonial culturali e politici, la destra ha scarsità. E, purtroppo per noi tutti, si vede...

Cacciari però trasuda una certa ostentata superbia: come è possibile dire che sia superbo un filosofo acuto, con un curriculum come quello dell'intellettuale veneziano?

La critica della società non può oggi avvenire sul piano puro e semplice delle conoscenze diffuse ottenute da un'osservazione indiretta del mondo, dall'analisi teorica soltanto, figlia dell'approccio filosofico. La cultura libresca analogica al mondo non è più sufficiente per fare analisi avvedute: l’umanità è infatti oggi soggetta a una turbolenza mai vista, che tocca tutti gli aspetti della vita dell’umano consorzio. E dunque quelli logico-operativi (fatti economici, commerciali, tecnologici, comunicazionali, logistici, ecc.), quelli psicologici individuali (i valori, le patologie della vita quotidiana, le propensioni e gli orientamenti, i sentimenti, ecc.) e quelli sociologici (culture e civiltà, valori condivisi, religioni, ideologie, costume, usi, tradizioni, ecc.).

Un filosofo acuto avverte oggi l’insufficienza del suo prezioso lavoro per l’interpretazione dei fenomeni che concernono l’umano consorzio: ecco il disagio di Cacciari. Non basta infatti il lavoro di un’ottima intelligenza combinatoria e creativa alimentata da sapere accademico: oggi è necessaria un’alimentazione di fatti correnti, di contemporaneità e di conoscenza della clamorosa deriva che l’umanità vive ora. Quale ne è la specificità? L’umanità è andata oltre l’abbastanza studiata dimensione di “Massa”, l’antropocene visto dal passato, cioè l’incremento della demografia in 80 anni di circa tre volte, contro la stabilità sostanziale dell’ultimo mezzo millennio, che ha seguito una stabilità sostanziale di almeno tre millenni. Oggi viviamo la dimensione di “Grande Massa” (antropocene verso il futuro), che ha visto l’incedere di un fenomeno mai successo e del tutto sconosciuto: l’aumento esponenziale del numero di Società Umane, passate da una condizione storica fatta di poche categorie e di un numero a tre ordini di grandezza, a una condizione contemporanea, esplosa negli ultimi 4 o 5 lustri, fatta di centinaia di categorie e un numero complessivo a dieci ordini di grandezza, cioè diverse volte la popolazione umana. Le stime sul numero di società umane vanno oggi dai 20 ai 40 miliardi, dunque una dimensione antropologicamente straniante.

La conoscenza delle società umane ha una disciplina che se ne occupa specialisticamente: essa è la Sociologia, che dallo studio di questi soggetti (sic…) ottiene la base scientifico-sperimentale per fondare una nuova antropologia, non basata solo sull’uso della riflessione filosofica, ma, come notava onestamente, da vero filosofo T. W. Adorno, sull’applicazione di una coscienza superiore, che si fonde con la clinica societaria. Così è avvenuto nel ‘900 nella Psicologia, con la propria specifica clinica, che va dalla psicanalisi a tutte le psicoterapie e che poi ha goduto dello sviluppo delle neuroscienze.

I filosofi, quindi, con diverse impostazioni e gradi di qualità, Cacciari e Galimberti ad esempio, sono sulla stessa sponda.

L'errore di Cacciari, che gli grava ben più di quanto sembri, è di aver considerato il suo impegno politico-amministrativo a Venezia come quello di un "filosofo chiamato alla cosa (pragma) pubblica", anziché considerare il suo lavoro politico come un processo tutt'affatto diverso. Ma se sei pesce devi nuotare… Rimane peraltro che la logica e la non contraddittorietà della sua seria filosofia, hanno messo Cacciari al riparo dalle contraddizioni pratiche del lavoro sociologico e politico, oggetto primario di gestione di un sindaco, risultandone illibato sul piano giudiziario, cosa più unica che rara nel panorama veneziano repubblicano, ma anche nella storia della Serenissima, ove dogi inquisiti furono forse tutti, ma la gran parte mori per congiure e violenze. Questo versante è palese anche se poco riflettuto nel profilo di Massimo Cacciari, che continua ad essere basato su fattori di carattere che si consolidano in un approccio intellettuale rigido, com'è quello dell'arte filosofica, che nel caso del suo marxismo cristianizzato, tratta le falle con prepotenza etico-morale.

So che Massimo considera un "periodo minore" la sua esperienza politica: il ludico pensatore che mamma accademia già nei ’70 apprezzò, non gode nella complessità immersiva dei sistemi aperti. Preferisce le storie che iniziano e finiscono, meglio se con una "morale". E così anche il predicatore triste Umberto Galimberti.

La correntezza non fa per loro. Galimberti espone l'aria rassegnata, Cacciari quella gracchiante di disapprovazione. Entrambi difendono le loro comfort zone intellettuali, così condivise dalla didattica scolastica e dall'opinione delle masse.

Il caso di Marcello Veneziani è invece molto differente. Anch’egli sviluppa il perverso rapporto tra lavoro teorico intellettuale (nasce filosofo innervato di ideologia di destra, come Cacciari lo è di sinistra) e comunicazione, astraendosi intellettualisticamente dal mondo concreto della società di Grande Massa e dai suoi necessari prerequisiti scientifici di tipo clinico-empirico. Veneziani è viziato da una supposizione, del tutto teorica e anacronistica nel mondo della correntezza estrema dovuta all’esarivoluzione (1. Globalizzazione, 2, Antropocene, 3. Ginecoforia, 4. Ipermediatizzazione, 5. Transumanesimo, 6. Teleutofobia): che l’umanità abbia destini prefissati, che la filosofia può conoscere e da cui desumere passi e strategie politiche. Purtroppo, ciò è falso, e se questi pensatori anacronistici (Cacciari come Veneziani) si proiettassero anziché nei sistemi chiusi che tanto le massaie amano, nei sistemi aperti della realtà della sociopolitica umana, cui forse sono anche intellettualmente preparati, ma senza la fondamentale esperienza di campo clinica sulle società umane, non contribuirebbero ad aggravare, anziché a risolvere, i problemi dell’umanità.

Senza nulla togliere alla grande funzione euristica della filosofia, che il lavoro concettuale rappresenta, e alla sua pregevolezza come arte, ma anche con la coscienza post-adorniana della sua assoluta insufficienza politica.

Il corto circuito tra Accademia, Comunicazione e Politica rappresenta una clamorosa fonte di cecità umana e un gravissimo pericolo per i destini dell’Uomo, perché oggi più che mai, sono i timonieri e gli operatori della socioeconomia a sapere davvero cosa fare, nella tempesta perfetta.

E, accanto a loro, i sociatri, in particolare se organalitici, cioè clinici integrali.

Lunedì 30 settembre 2024

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