di Sergio Bevilacqua, Maria Antonietta Centoducati
Si è da poco concluso il 101° festival lirico dell’Arena di Verona e la consueta qualità areniana prosegue il colloquio con il suo molteplice pubblico. Potremmo quasi dire, con un grande capolavoro del cinema di animazione, che siamo di fronte a… “La carica dei 101”.
Perché? Perché il cartellone di quest’anno, per la lirica, per l’Opera, completa un poco e un poco condisce l’epica stagione del secolo, compiuto nel 2023. Include infatti oltre a un occhio speciale per il centenario della morte di Puccini, e quindi le sue Turandot, Tosca e Bohème, alla Carmen di Bizet, al Barbiere di Siviglia di Rossini, un capitolo importante della querelle del 2023, riguardante la nuova Aida del poliedrico e creativo regista Stefano Poda. La scelta brillante è stata di abbinarla alla classicissima Aida del 1913, nel famoso allestimento di De Bosio (1924-2022) del 1982, che riprende il lavoro filologico compiuto nel 1913 da Fagioli per le scenografie dell’opera, messa in scena il 24 dicembre 1871 al Teatro chediviale dell'Opera del Cairo, in Egitto. La storia in brevissimo vuole che Ismail Pascià, Chedivè d'Egitto, commissionasse un inno a Verdi per celebrare l'apertura del Canale di Suez avvenuta nel 1870, offrendo un lauto compenso (80.000 franchi francesi dell’epoca, pari a circa 250.000 €.). Verdi prima rifiutò, ma poi, sentendo puzza di Wagner, si affrettò a concludere l’affare.
Da una parte, quindi, il cartellone del 101° fornisce una risposta di gran classe a chi (non pochi…) avevano trovato il colpo grosso atteso nel centesimo come dire, un pò deludente, e i motivi erano certamente diversi, anche se nessuno grave: Aida era perfetta come cavallo di battaglia, e la interpretazione data da Poda portava i critici da un estremo di sospensione di giudizio all’altro di esaltazione innovativa, passando attraverso tutta la gamma delle possibilità intermedie. Ha funzionato, non alla perfezione, ma ha funzionato. Era anche in corso la riconferma dei vertici areniani, le stagioni segnate dal covid avevano allentato la presa: insomma, i disturbi c’erano… Non è mancato il coraggio, ed è già moltissimo; la consapevolezza impresariale ha però incamerato una domanda, un lieve disagio. Ed ecco la risposta di gran classe: proporre Aida, sia nella versione Poda che trasfigura egiziani ed etiopi (purtroppo sull’orlo di un conflitto di nuovo oggi, 3000 anni dopo…) in fantascientifiche guerre stellari, sia nella versione della tradizione areniana più stretta, quella del 1913, con animali in scena e la scenografia rassicurante di templi d’Osiride e costumi storici…
È proprio vero: c’è una mitologia dell’Arena di Verona che ne fa un romanzo a sé stante, cosicché la stagione lirica non smette di emozionare e regalare suggestioni, anche se le opere le hai già viste, anche se riconosci le scenografie o i costumi, i movimenti coreografici delle centinaia di comparse…
L’Arena non smette di emozionare perché la sua mitologia fa sì che ogni volta sia come la prima, ogni volta ti stupisce. Nella “carica del 101”, ad esempio, la Carmen di Zeffirelli, edizione classica e già vista, è apparsa ancora una volta nuova, magica, coinvolgente. La sontuosa e vivace scenografia è sempre di grande effetto e continua a trasportare lo spettatore in una Siviglia ogni volta allegra e focosa. A quest’edizione tradizionale non manca nulla: il calore della Spagna è presente nei costumi, nei ballerini di flamenco, nell’atmosfera tutta. Il personaggio di Carmen è intrigante, e Clémentine Margaine la interpreta con calore e profondità con il suo timbro vocale perfetto per il personaggio. Accanto a lei, il don Josè di Francesco Meli, l’Escamillo di Ludovic Tézier, la Micaela di Pretty Yende. E poi, il giovane direttore Leonardo Sini, alla guida dell’Orchestra della Fondazione… Tutti bravi e molto applauditi nella recita del 3 agosto. Ma che personaggio è Carmen, o, meglio, che cosa rappresenta? La seduzione ferina e sfacciata della gitana che circuisce il bel don Josè e poi lo lascia per Escamillo? Carmen ha il potere della seduzione senza freni, Carmen è colei che ti ubriaca, ti stordisce di desiderio o è la rappresentazione della femminilità libera e senza freni che tanto spaventa per la sua potente sincerità? Carmen è la libertà e la voglia di vivere insieme, una libertà che la porterà a morire perché non torna indietro… Coraggiosa, e forte. E don Josè incarna l’uomo che non si rassegna, che non vuole vivere senza di lei, e così la uccide. La musica di Bizet ha la forza drammatica della tragedia che incombe e la gioiosa bellezza delle sonorità spagnole.
Drammatica attualità, la storia di Carmen e don Josè!
“L'amour est enfant de bohème
Il n'a jamais, jamais connu de loi
Si tu ne m'aimes pas, je t'aime
Si je t'aime, prends garde à toi
(Prends garde à toi)”
Dice Carmen che l’amore è un figlio della Bohéme, e intende suo, in quanto gitana: bohemien venivano infatti chiamati i gitani, gli zingari, che abitavano in grande numero i bassifondi delle città francesi, secondo un errore popolare che li voleva provenienti dalla Boemia, regione del centro Europa. Pertanto, come gli zingari, l’amore non è mai stato soggetto ad alcuna legge: se tu non mi ami, invece io ti amo, e se io ti amo, devi stare attento a te! Donna dea dell’amore, con i suoi segreti e i suoi diritti, anche in spregio alla legge degli uomini e a quella degli dei. Ricordiamo il trabocchetto che Era fece a Zeus con il coinvolgimento del povero Tiresia, accecato dalla dea e poi ricompensato da Zeus con la capacità profetica e con una vita lunga ben sette generazioni.
Altro e diverso personaggio è invece Turandot, l’algida regina che non vuole amare e che miete vittime di tutti i suoi pretendenti. La favola noir che Puccini lasciò incompiuta è ricca di spunti di riflessione: il Mistero è ovunque, ed è il vero soggetto della rappresentazione. Anche Calaf, il principe pretendente, è un personaggio misterioso, attratto dalla bellezza di Turandot e da quello che lei rappresenta, certamente la morte e l’oscurità, ma anche il potere; l’occhio attento non dimentica infatti la sua esigenza profonda di riscatto, avendo lasciato un regno in subbuglio. Liù è invece la luce, la dolcezza, è un’umile schiava che diventa un gigante nel momento in cui dona la sua vita perché l’uomo che ama possa vivere. Nell’allestimento di Zeffirelli all’Arena emerge in modo prepotente la dicotomia tra Luce e Oscurità. Allestimento perfetto con Michele Spotti alla direzione d’orchestra, un giovane direttore che si è affermato tra le bacchette del Rossini Opera Festival ed è decollato con grande forza, affermandosi in questi anni nei teatri più importanti d’Italia. Un uomo sereno e concentrato sulla sua missione artistica, con la fortuna (ci vuole anche quella, soprattutto in Italia…) di poter operare ad alti livelli. Ma di bello ha che non dimentica la sua famiglia, e non l’asservisce all’arte né tanto meno alla carriera.
Insomma, l’Arena con la carica del 101° festival lirico è sempre sugli scudi. E grandi manovre vincenti di Cecilia Gasdia nel mantenere la guida della rassegna lirica più importante del mondo con le sfide politiche del momento, quelle direttive di sempre e quelle artistiche del secolo che deve essere celebrato. Tutto questo mentre era anche correttamente impegnata nel lancio di un grande soprano suo erede, quella Anastasia Bartoli la cui voce potentissima ed educatissima la rende un’atout per ogni situazione, da Wagner (per natura) a Rossini (per educazione, come dimostrato nell’Ermione del 45° ROF a Pesaro). Ed è degna figlia di tanta madre.
Martedì 17 settembre 2024
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