di Sergio Bevilacqua
Continua domenica 3 aprile al bel Teatro Filarmonico di Verona la gloria dell’Arte rossiniana, la Rossini Renaissance, che dura con forza progressiva da oltre 50 anni sullo slancio dei grandi, intelligenti investimenti fatti dalla Fondazione Rossini di Pesaro, poi apprezzati ovunque, voluti dal sovrintendente storico Gianfranco Mariotti, una vita per Rossini.
Era il 1989, dieci anni dopo il primo ROF voluto da Mariotti, che segna l’attacco alla marginalizzazione rossiniana durata troppo a lungo, quando il critico musicale Arrigo Quattrocchi scriveva: “Rimane da domandarsi per quale motivo il teatro di Rossini riscuota oggi un simile entusiasmo presso il pubblico; domanda che pertiene, peraltro, più al sociologo e allo psicologo che non allo studioso di fatti musicali (…). Rossini fu disconosciuto nell'epoca in cui il pubblico ancora si riconosceva in una produzione destinata al consumo immediato, che riflettesse le aspirazioni di una società in trasformazione; una produzione, in qualche modo, interessata al Realismo. Oggi invece il pubblico non crede più in una produzione contemporanea, e si reca a teatro principalmente alla ricerca di un'evasione estetica e insieme culturale dalla vita quotidiana. È verosimile che gli ideali estetici di Rossini (…), si trovino in immediata sintonia con quelli antirealistici dello spettatore moderno; circostanza che permette di profetizzare al nuovo successo del teatro rossiniano una fortuna non effimera”. Infatti era solo l’inizio. Poi venne l’estetismo, la riscoperta delle voci belcantiste rossiniane, tra tutti il principe Juan Diego Flórez, ma anche Nicola Alaimo ad esempio, tra i tenori, ma anche le altre voci hanno uno specifico rossiniano, quale ad esempio il basso, espresso magistralmente da Carlo Lepore. I rossiniani sono una corrente che trova nella perfezione formale post-mozartiana del pesarese le linee del godimento, e anche una certa identità morbida e delicata, sia nella commedia che nella tragedia, graditissima a un segmento di attori del mondo lirico, di pasta più rosa che azzurra: tutto fa. Soprattutto poi, grazie all’azione decisa dei bravi promotori dell’arte rossiniana, ciò che fa davvero la differenza è la notevolissima qualità sistemica dell’opera del poliedrico pesarese. Le buone trame, l’uso maturo delle capacità maturate dai complessi orchestrali, un ottimo senso drammaturgico in particolare sul comico, ma non vanno dimenticati capolavori tragici come Semiramide, Guglielmo Tell, Moises et Pharaon, l’uso originale delle voci, con tanto di battesimo di “voci rossiniane”, per nulla esagerato…
Una vera grande marcia ancora in corso, la Rossini Renaissance. C’è tanto ancora da scoprire delle 34 opere del simpatico Gioachino e intanto, grazie al suo rinascimento, il mondo operistico ormai lo colloca a tutto merito tra i grandi di sempre. Alla stregua di Verdi, di Puccini, con, come sempre, Donizetti e Bellini in panchina.
Allora, dicevamo di Rossini oggi a Verona e del bravissimo Nicolas Nägele che dirige l’orchestra della Fondazione Arena di Verona per un delicato e ben strutturato “La Scala di Seta” del giovane Rossini, in allestimento domestico. Una storia leggera e simpatica, con sullo sfondo amori di vari tipi e matrimoni combinati, resa contemporanea dalla saggia regia di Stefania Bonfadelli, giustamente sostenuta da Cecilia Gasdia a sua volta in piena e meritata fiducia del presidente, il sindaco di Verona Federico Sboarina. Voci impeccabili, domenica 3 aprile, anche se la Bellocci, nei panni della protagonista Giulia titolare del negozio di sete, parte sottotono, per poi recuperare, e Lepore è in grande forma. Nägele è letteralmente abitato dalle note rossiniane che lo muovono, lo scuotono nel suo giovanile estro e magistralità, e lui muove l'orchestra: alla fine è visibilmente soddisfatto e chiama al suo entusiasmo pubblico e orchestra, di cui si mostra molto contento. Giovane, Nicolas, e già grande: l’ho conosciuto a Pesaro, al termine del 41° Rossini Opera Festival del 2020.
Così, non poteva non sovvenirmi la bella stagione 2021 del 42° Rossini Opera Festival e la dolce attesa per il prossimo 43° del 2022. La Rossini Renaissance, malgrado la pandemia, ha proceduto infatti con passo vittorioso al Rossini Opera Festival 2021 nella natale Pesaro. Meritatissima la presenza istituzionale al concerto di chiusura del presidente Mattarella e della senatrice e cittadina di 1000 comuni italiani Liliana Segre. Solo una importante sottolineatura di quanto è stato fatto dalla ottima organizzazione pesarese del ROF, con un programma che ha messo in scena un altro capolavoro di Pier Luigi Pizzi, un “Moises ed Pharaon" di grande ispirazione e grandiosa logistica scenica. Mi domando sinceramente perché certa critica ha avuto il coraggio di non magnificare come merita quello sforzo pizziano. Grandi coreografie, quelle del Maestro oggi veneziano: con le oltre 3 ore che passano in un soffio, profumato di bellezza, di cura, di grande sensibilità per la capacità di catarsi del più grande spettacolo d'arte mai concepito dall'uomo, l’opera lirica e, qui, anche l’impressionante presenza scenica e vocale di Erwin Schrott nei panni di Pharaon. Sagripanti dirige con padronanza in una chiave voluta ed elaborata di elevatezza religiosa, contribuendo non poco a dotare l’esperienza di valori trascendenti, impressionando la regia e condizionando, di fatto, il risultato complessivo. Il lavoro della regia a mio avviso e di molti presenti non risulta per nulla succube di tale interpretazione musicale, pur essendone intelligentemente e correttamente informato. La notevole complessità di questa “Grand Opera”, come nasce a Parigi, si presta a essere una vasta kermesse di sensazioni e di sollecitazioni, cui l’uso del video che si dimostra importante ingrediente scenografico. Anche il lungo e bell’intermezzo tersicoreo della Losa e di Starace solisti alla Scala sta benissimo, così eclettico, in questo contesto elevato e variegato, contribuendo non poco alla fruizione complessiva di queste oltre tre ore di spettacolo.
Dunque, Pier Luigi Pizzi mattatore, così come è lui, attento, con le orecchie tese nell’ascolto dell’Altro e con una marcia in più nel capire come estrarre il massimo di catarsi dallo spettacolo. Si sbaglia raramente, anzi io non l’ho mai visto sbagliare: non al ROF di qualche anno fa con il suo “La pietra del paragone”, non a Ferrara poche settimane fa con il poeticissimo “Orfeo ed Euridice” di Monteverdi e nemmeno negli allestimenti di mostre, due recenti, quello per i 1600 anni di Venezia a Palazzo Ducale e, sempre lì, pochi semestri prima, quello interessante per dare luce agli originali gioielli progettati da Ira Von Furstenberg.
Un altro grande nome della regia operistica era presente l’anno scorso al ROF: la interessante “Elisabetta Regina d'Inghilterra” ha visto infatti Davide Livermore come sempre perfetto in una regia intelligente e in fondo abbastanza rispettosa di lettera, musica e catarsi, anche se, storicamente, Elisabetta I era di tutt’altra pasta rispetto alla evergeen nostra II, proposta in sua vece. Mille espedienti visivi che travolgono l’attenzione, quasi distraendo dai contenuti musicali, sbilanciano la messinscena però, e dimostrano la diversità di capacità di ascolto tra questi due grandi italiani della regia contemporanea, Pizzi e Livermore. Cosa ne avrebbe detto il povero Graham Vick, da poco deceduto allora, e a cui fu dedicato il 42° ROF? In scena, attesissima già dall’anno precedente, Karine Dashayes, che fa una buona figura, ma non tanto quanto la promessa, creata al termine del ROF 2020 con un concerto in cui fu presentato anche il direttore Nicolas Nägele, giovane tedesco destinato ad affermarsi, da allora a oggi, in molti teatri importanti italiani.
La magia del grande Gioachino pesarese continua ad assistere il ROF e anch'io nel mio piccolo provo a dare una mano: sono sempre stato un sostenitore del grande e meritorio lavoro svolto dalla Fondazione Rossini per la Rossini Renaissance, e molto di più di ciò che si legge e passa lungo i miei canali di stampa. Mi era rimasta solo una tristezza, nel ROF 2021: non aver potuto assistere, per un mio contrattempo, all’ottima, mi dissero, messinscena de “Il Signor Bruschino”, Opera Comique che andava a completare la colonna vertebrale del palinsesto, fatto anche dalle due Grand Opera citate sopra. Un’assenza che mi ha pesato, e dalla quale ho potuto riprendermi il 24 febbraio con piacere al Comunale di Bologna, stesso allestimento dell’opera giovanile di Rossini. Anche a Bologna Rossini è di (terza) casa (la seconda essendo sicuramente la Ville Lumière oltre alla natia Pesaro), e quindi son sereno, anche perché è stato godibile lo spettacolo per la regia di Barbe e Doucet che già aveva ottenuto buoni risultati di critica e di pubblico al Teatro Rossini. Michele Spotti ha diretto con estrema padronanza, e questa volta l’orchestra era quella del Comunale di Bologna, con uno spettacolo che ha attratto sotto le due torri molto pubblico giovane, mostrando un altro lato del successo della Rossini Renaissance, la vicinanza a target inusuali che risultano affezionati più che a Verdi e a Puccini.
Stessa dimostrazione anche a Reggio Emilia, in un allestimento de “Il Barbiere di Siviglia” riproposto quest’anno al Teatro Comunale Romolo Valli dopo il lockdown e la sua trasmissione 2021 online a teatro semichiuso. La Filarmonica Bruno Bartoletti guidata da Manlio Maggio, alla bacchetta Leonardo Sini, preciso interprete, ha dato una interpretazione filologica e gradevole della celeberrima opera rossiniana, che ha guidato (domenica 27 marzo al pomeriggio) i bravi Gratin (Conte d’Almaviva), Del Savio (Figaro), Novaro (don Bartolo, come il monte che chiude Pesaro verso Nord), Loconsolo (don Basilio) e Michela Antenucci (Rosetta) a un’interpretazione senza sbavature e davvero gratificante. La regia di Cherstich è stata intelligente e fresca, con l’aspetto determinante dell’enucleazione delle microscene dal complessivo dei classici contenitori di questa opera (l’esterno della casa di don Bartolo, e poi l’interno). Nessun sopruso alla qualità drammaturgica, anzi: gli espedienti pop tengono alta l’attenzione e il sorriso, sempre presente nel pubblico del Barbiere, non trova gli ostacoli degli impianti architettonici sofisticati che lo hanno anche premiato in molte altre occasioni di un mondo ottocentesco più semplice, e meno educato sul piano audiovisivo com’è per la seconda generazione televisiva che siamo noi. Va detto che quest’opera è stata la bandiera vera delle fortune del compositore pesarese anche quando la sua stella non brillava così tanto, com’è dai tempi della Rossini Renaissance
Intanto si avvicina il ROF 2022 con un programma davvero speciale. La solita calibrata programmazione porterà finalmente un definitivo ritorno del pubblico straniero, il quale potrà distribuirsi lungo le diverse serate che consentono agli amanti di Rossini di vivere, nel corso di una settimana a più cicli, l'intera programmazione operistica. Il Rossini Opera Festival è una grande attrazione per la città e la città lo sa. Rimane la leggerezza del lavoro rossiniano, e tale è anche la fruizione dell'ottima offerta di altre attrazioni sempre rossiniane, come, ad esempio, il Museo Rossini, varato nel 2021 e dedicato alla vita e alla figura del grande pesarese: il museo è godibilissimo e organizzato per una visita gradevole e non nozionistica.
Ma veniamo al palinsesto 2022.
La 43esima edizione del Rossini Opera Festival si terrà a Pesaro dal 9 al 21 agosto 2022. Il programma prevede due nuove produzioni (Le Comte Ory e Otello), la ripresa della Gazzetta, Il viaggio a Reims dell’Accademia Rossiniana, sette concerti, il ritorno di Rossinimania e il Gala celebrativo per i 40 anni di Pier Luigi Pizzi al ROF, per un totale di 23 spettacoli.
Il Festival sarà inaugurato martedì 9 agosto alla Vitrifrigo Arena da Le Comte Ory con Diego Matheuz sul podio dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai e del Coro del Teatro Ventidio Basso, e la regia, le scene e i costumi di Hugo De Ana. Nel cast, Juan Diego Flórez, Nahuel Di Pierro, Maria Kataeva, Andrzej Filonczyk, Julie Fuchs, Monica Bacelli e Anna-Doris Capitelli. Le tre repliche si terranno il 12, 16 e 19 agosto.
Seguirà il 10 agosto al Teatro Rossini la prima della Gazzetta, con Carlo Rizzi a dirigere l’Orchestra Sinfonica G. Rossini e il Coro del Teatro della Fortuna in uno spettacolo ideato da Marco Carniti, con le scene di Manuela Gasperoni e i costumi di Maria Filippi, molto apprezzato al ROF 2015. Nella compagnia di canto figurano Carlo Lepore, Maria Grazia Schiavo, Giorgio Caoduro, Martiniana Antonie, Alejandro Baliñas, Pietro Adaíni, Andrea Niño e Pablo Gálvez. Repliche il 13, 15 e 18 agosto.
Si tornerà alla Vitrifrigo Arena l’11 agosto con Otello, diretto da Yves Abel, alla guida dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai e del Coro del Teatro Ventidio Basso, e messa in scena dalla brava Rosetta Cucchi, con le scene di Tiziano Santi e i costumi di Ursula Patzak. Nel cast, Enea Scala, Eleonora Buratto, Evgeny Stavinsky, Dmitry Korchak, Antonino Siragusa, Adriana Di Paola, Julian Henao Gonzales e Antonio Garés. Repliche il 14, 17 e 20 agosto.
La 34esima Accademia Rossiniana “Alberto Zedda”, al via il 4 luglio, si chiuderà il 18 luglio al Teatro Sperimentale con il consueto Concerto finale. Gli allievi saranno inoltre protagonisti, il 13 e 15 agosto al Teatro Rossini, del consueto e simpatico Viaggio a Reims, ideato da Emilio Sagi e ripreso da Matteo Anselmi, con Daniel Carter sul podio della Filarmonica Gioachino Rossini.
Il Rinascimento rossiniano è in pieno sviluppo, e anche il ROF del 2022 darà il suo vigoroso contributo.
Lunedì 4 aprile 2022
© Riproduzione riservata
1332 visualizzazioni