di p. Andrea Caruso OFM Cap
Uno dei luoghi comuni nel dialogo interreligioso vuole affermare che cristiani e mussulmani adorano lo stesso Dio. Mi sia permesso di dissentire e prendo lo spunto da una mia lettura degli scritti del Papa San Giovanni Paolo II, che dice così: “Io vedo la Chiesa colpita da una ferita mortale…si chiama Islam. Invaderà l’Europa…e voi Chiesa del terzo millennio dovrete contenere l’invasione. Ma non con le armi, le armi non servono a nulla, sarà la vostra fede sincera ad arrestare il danno…” Sulla base di questa attualissima preoccupazione di Papa Woytila, ho voluto approfondire un tema ricorrente nelle mutue relazioni interreligiose al fine di evitare che il dialogo, doveroso e necessario, si trasformi in un inutile e dannoso sincretismo. Pertanto alla domanda se il Dio dei cristiani è lo stesso Dio dell’Islam, rispondo.
Non è esatto dire che il Dio dell’Islam è lo stesso del Cristianesimo. È vero che l’unica cosa che unisce queste due fedi religiose è la consapevolezza di adorare un unico Dio, ma la differenza è enorme. Prima di tutto perché il Dio dell’Islam non è persona, al contrario del Dio cristiano, che è Persona ed entra in relazione di comunione con l’uomo, creato a sua immagine e somiglianza. Il Dio dei mussulmani è inaccessibile, quasi un’entità astratta, e l’uomo è a lui completamente sottomesso. Di qui il termine Islam, cioè “sottomissione”. “L’uomo per l’Islam è davanti a Dio, l’uomo per il cristiano è in Dio, cioè in intima comunione con lui”(San G. Paolo II). Per il cristiano Dio è disposto a immolare la sua vita per l’uomo in un eccesso di amore. Per il mussulmano Dio è distaccato dall’uomo e se esiste una relazione d’amore, è quella di un Padrone severo verso il suo servo e della fedeltà supina di un servo verso il suo Padrone. Il mussulmano non riesce a capire la Croce di Cristo e crede che il sacrificio di Gesù sia una finzione. Pensa addirittura che sulla croce non sia morto il Cristo, ma un suo sosia, tanto è incredibile per lui che un Dio sia disposto ad amare sino alla fine. Per tale motivo il Dio dei mussulmani non “giunge in mezzo a noi come Emmanuele (il Dio con noi)” (San G. Paolo II), ma si accontenta di far scendere sulla terra un libro (il Corano), come una serie di norme da osservare e “declamare a voce alta”( significato della parola Corano), al fine di intimorire ed intimare a tutti gli uomini una volontà divina, che vuole gli uomini a lei sottomessi senza nessun rapporto di comunione e d’amore. Per questo motivo l’Islam più che una religione può essere considerata un ordinamento giuridico o come afferma San Giovanni Damasceno, (ultimo padre della Chiesa e contemporaneo della diffusione dell’Islam in oriente): “L’Islam è un’eresia del Cristianesimo, di derivazione ariana”, che nega la divinità di Cristo e la sua identità di Figlio di Dio. Di fronte a questa concezione negativa di Dio, due sono sostanzialmente le manifestazioni di fede dei mussulmani. La buona fede e l’ignoranza colpevole. Nel primo caso, la maggior parte dei mussulmani crede nel proprio Dio, ma senza conoscere a fondo ciò in cui crede. Tuttavia l’unico Dio dei Mussulmani e dei Cristiani prende per buona la loro fede e instaura una relazione sincera d’amore. Nel secondo caso, l’ignoranza colpevole è più problematica ed è la faccia più temibile dell’Islam. È la posizione degli esaltati, dei fondamentalisti e degli integralisti che cercano di inculcare con la violenza armata e verbale una fede che schiavizza l’uomo e lo priva della sua dignità di creatura e di figlio di Dio. A questa frangia appartiene anche l’Islam che utilizza la legge coranica della “Dissimulazione”, che afferma: “È possibile per un mussulmano far finta di rinnegare la propria fede e restare credente interiormente, qualora si trovi in minoranza o è in pericolo di vita, ma non appena il pericolo è passato, ritorni a professare la propria fede ed imporla agli altri”. L’Islam non conosce il concetto cristiano di martirio, poiché non ha senso sacrificare la vita per un Dio astratto e inaccessibile. A differenza del Dio dell’Islam, il Dio di Gesù Cristo non ha esitato a favore dell’uomo a incarnarsi nel seno purissimo di una donna, la Vergine Maria, e a donarcela come madre, per farci comprendere che, se è difficile amare un Dio nella sua Maestà, sarà più facile, per l’uomo, amare un Dio che si fa bambino in braccio ad una Madre, e corrispondere all’amore di un Dio che ha sacrificato la sua vita per noi.
L’uomo, e pertanto il cristiano, non ha bisogno di un Dio inaccessibile e lontano, ma di un Dio che è Padre, ricco di misericordia e di bontà, che si china su di noi, e nella sua tenerezza lo tratta come figlio amatissimo.
Fatta questa distinzione, non significa che il cristiano debba rifiutare di amare e dialogare con il proprio fratello mussulmano, al contrario Gesù ci richiama al dialogo e all’amore disinteressato. Tuttavia deve essere chiaro che la carità abbia come compagna la verità.
A questo proposito l’esempio più bello ci viene da San Francesco, il quale in un tempo in cui il “saraceno” era visto come il diavolo, cerca il dialogo di pace con il “fratello mussulmano”. Nel 1219, durante la guerra tra cristiani e saraceni, Francesco, animato da uno spirito di pace, decide di incontrarsi con il Sultano di Babilonia, certamente con l’intento di fare pace, ma anche con l’onestà di proporre al fratello saraceno la verità di Gesù Cristo, Figlio di Dio. Ecco come San Bonaventura, confratello e contemporaneo di San Francesco, descrive questo famoso episodio, di cui quest’anno ricorre il centenario.
“Francesco e alcuni suoi compagni, giunti davanti all’accampamento dei saraceni, sono fatti prigionieri, incatenati, insultati e torturati. Dopo tutti questi maltrattamenti sono condotti alla presenza del Sultano (Melik Al Kamel). Il Sultano chiede a Francesco chi lo ha mandato da lui, perché è venuto e a quale titolo è giunto sino a lui. Francesco risponde di essere venuto al di là del mare, inviato non da un uomo, ma da Dio Altissimo allo scopo di indicare a lui, Sultano, e al suo popolo la via della salvezza e per annunciare la verità del Vangelo. Al Sultano, che lo ascoltava con interesse, parlò di Dio Uno e Trino e di Gesù Cristo, unico salvatore del mondo. E lo fece con tale forza di parole e tale fervore di spirito da realizzare le parole del Vangelo: “Io metterò sulla vostra bocca una tale saggezza che i vostri avversari non potranno sostenere né contraddire”. Il Sultano davanti a tanto ardore e tanto coraggio, non solo lo ascoltò volentieri, ma avrebbe voluto trattenere Francesco presso di sé. Gli offri dunque molti doni, che tuttavia l’uomo di Dio disprezzo come fossero fango. Egli, infatti, non era avido della ricchezza di questo mondo, ma della salvezza delle anime. Il Sultano, ancor più conquistato dalla stima verso Francesco, che disprezzava i beni di questa terra, lo rimandò libero al suo paese assicurandogli la scorta dei suoi soldati per proteggerlo”.
Francesco 800 anni fa cercò l’incontro con il Sultano, certamente per fare pace tra i cristiani e i saraceni allora in lotta per i luoghi santi, ma anche con lo scopo di convertire, a prezzo del martirio, i saraceni che riteneva lontani dalla Verità di Cristo. Francesco non riuscì nella sua missione. Non ottenne la pace e non convertì il Sultano, e non subì il desiderato martirio, tuttavia indicò alla Chiesa la via del dialogo contrapposta alla via delle crociate armate. Quest’anno, il 4 di febbraio, ciò che non è riuscito a fare San Francesco, lo ha fatto Papa Francesco andando in visita agli Emirati Arabi nel suo recente viaggio ad Abou Dhabi. Egli ha sottoscritto, insieme ai rappresentanti dell’Islam, un importante documento sulla “tolleranza” in cui si stabilisce che “nessuno può usare il nome di Dio per dare la morte a un uomo”. Questo è certamente un grande passo nella carità, ma è anche un primo passo sulla via della verità. A lode di Cristo e Francesco. Amen
Martedì 26 marzo 2019
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