di Francesca Camponero
“Restate a casa” è l’invito che è diventato un dictat da parte di Governo, governatori regionali e sindaci che emananio continuamenti provvedimenti sempre più restrittivi e anticostituzionali con la scusante che c’è in ballo la saluti di tutti i cittadini.
Peccato che quella che all’apparenza è una richiesta non solo innocua, ma essenziale (il che è da dimostrare) per fronteggiare l’emergenza, possa trasformarsi in un vero e proprio incubo per qualcuno. Stiamo parlando di quelle donne o bambini che da casa vorrebbero fuggire, e che magari finalmente stavano pensando di farlo e che adesso, con la situazione che si è creata in poco tempo, sono costretti a passare le giornate con i propri aguzzini. Stiamo parlando di quegli uomini che sempre più frustrati anche dal rimanere chiusi tra 4 mura, lontani dal lavoro, dal bar e dallo stadio, trovano sfogo nella bottiglia (il cui acquisto è legittimato dallo Stato) e nei conseguenziali atti di violenza verso i conviventi.
“Per le donne vittime di violenza, restare a casa significa dividere 24 ore gli spazi familiari con il proprio maltrattante, significa essere isolate da tutti e tutte e vedere il proprio spazio personale assottigliarsi di ora in ora” ha spiegato Marco Chiesara, Presidente di WeWorld, organizzazione italiana che da 50 anni difende i diritti di donne e bambini in 29 Paesi del Mondo e che proprio per queste donne, ha lanciato, in occasione dell’8 marzo, la campagna #maipiùinvisibili.
Ma l’allerta generatrice di paura non si ferma e “Non uscite dalle vostre case. Non muovetevi se non per esigenze di lavoro o per fare brevemente la spesa” è quello che esce fuori dall’altoparlante delle auto dei vigili urbani lungo le strade di Roma. Sembra di stare in un film. Ed è invece la nuova realtà di oggi che somiglia alle scene dell’Amore ai tempi del colera di Gabriel García Márquez o alla Peste di Camus. E così l’angoscia sale soprattutto in chi, dentro casa, ha l’inferno.
Sabato 21 marzo 2020
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