di Gianluca Valpondi
“L’una vegghiava a studio de la culla, / e, consolando, usava l’idioma / che prima i padri e le madri trastulla; / l’altra, traendo a la rocca la chioma, favoleggiava con la sua famiglia / d’i Troiani, di Fiesole e di Roma.” (Dante, Par. XV, 121-126)
Il quadretto idillico di vita famigliare descrittoci dal Poeta è piuttosto reale che non ideale. Chi si sia occupato di bimbi molto piccoli sa bene la dolcezza del loro tenerissimo linguaggio che contagia di pura dolcezza il cuore; e quanto è dolce l’abbraccio nell’addormentarsi e nel risvegliarsi del piccolino; e quanto belle le risate degli adulti amorosi nel sentire le paroline storpiate “ad arte” dai nostri frugoletti. Sono tutte gioie intime che è bello condividere nella cerchia della famiglia e della famiglia allargata. Una famiglia che è anche custode delle tradizioni più sacre, e noi sappiamo come il Sacro è anche il Bello, il più bello tra i figli dell’uomo; noi, accanto ad una culla, contempliamo una culla e facciamo sognare ai nostri bimbi le stelle tra gli echi del Tu scendi dalle stelle; con in braccio un bambinello, contempliamo il Bambinello; nel tepore di una famiglia, contempliamo la Sacra Famiglia. Certo, è anche duro e impegnativo lavoro accudire i piccoli, ma l’amore addolcisce ogni fatica. Il lavoro domestico è questa dolce fatica e può diventare e ridiventare anche apertura e sviluppo economico se soprattutto la donna viene messa nelle condizioni di essere madre amorosa e attenta mentre svolge anche attività di produzione di beni e servizi che allargano l’attività domestica alla comunità più vasta nell’ottica e nella prospettiva dell’economia del dono e dello scambio, fuori dalla logica del profitto. Più che di asili aziendali si ha bisogno di case dove si lavora, case dove si vive anche il lavoro a scopo di lucro ma in un’ottica comunque sempre umana e umanizzante, come nella casa dei santi coniugi Martin (genitori della grande Teresina, Dottore della Chiesa) dove lei gestiva una piuttosto fiorente azienda di sartoria e lui aveva lo studio di orologiaio presso casa, come anche san Giuseppe di Nazareth aveva l’officina di falegname presso casa dove anche avrà insegnato l’arte al piccolo Gesù, o il beato Luigi Quattrocchi aveva lo studio di avvocato presso casa. Su scala molto più grande, lo stile di Ferrero o di Olivetti non era comunque stile famigliare, non c’era sempre aria di famiglia a rinfrescare l’aria? Soprattutto, oggi se ne sente l’urgenza, la casa e le case, la famiglia e le famiglie, le case-famiglia (alla don Oreste Benzi), tutta la realtà domestica potrebbe essere il nuovo welfare sociale, quel privato sociale che ha nella famiglia il modello insuperato e insuperabile, anche perché, come diceva don Benzi, Dio ha creato la famiglia, l’uomo s’è inventato gli istituti. Non esiste nulla di più sanante, di più terapeutico, di più umanizzante, di più attento alla persona della comunità famigliare. Chi vuole mettere al centro la persona, e sono in tanti a dirlo specie in tempo di elezioni politiche, ma di fatto trascura la famiglia o non sa cos’è la persona umana oppure vi prende in giro, perché famiglia e persona crescono o decadono insieme. Di più, società, famiglia e persona crescono o decadono insieme; e lo Stato è emanazione della società. La famiglia umana poi, nel suo insieme variegato e multiforme, altro non è che l’insieme possibilmente armonioso degli stati, delle nazioni, dei popoli. E a stare in famiglia si impara in famiglia. Anche la scuola, tutta la scuola, va pensata e ripensata a partire dalla famiglia e dalle famiglie, all’interno del concretizzarsi fattivo e fattuale del primato della famiglia nell’educazione dei figli. In questo senso, che tutti si vada a scuola nella casa di Nazareth! Dove la Sapienza si è fatta carne, dove la Sapienza Eterna è cresciuta e si è sviluppata per portare nel mondo la rivoluzionaria civiltà dell’amore, l’unica vera civiltà degna della persona umana.
Domenica 30 dicembre 2018
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