di Sergio Bevilacqua
Ho sempre considerato curiosa la sottolineatura che i seguaci del grande Roberto Longhi, padre della storia dell’arte e dei critici d’arte di quell’estrazione, hanno prodotto sul ruolo di Caravaggio nel panorama del passaggio dai pregevoli rigori del Rinascimento alle aperture del Sei-Settecento. Caravaggio resta un unicum nel suo periodo, e anche un messaggio estetico che viene capito appieno soprattutto nel Novecento, in presenza delle simili, mutatis mutandis, grandi fratture delle Avanguardie storiche.
Mi sovviene, con altra specificità, il ruolo che ebbe Andrea Schiavone nel Cinquecento, celebrato scientemente in una grande mostra mondiale (prestiti da tutti i maggiori musei del mondo…) a Palazzo Correr a Venezia nel 2015: se non ci fosse stata questa grande mostra, non sarebbe stato possibile scoprire uno spessore importante del Cinquecento a Venezia. La pittura originalissima di Andrea Meldola detto Schiavone è, infatti, del tutto fuori dall'eredità di Giovanni Bellini e dalle conseguenti magistralità di Tiziano e Tintoretto e Bassano e Veronese, che peraltro riconoscevano Schiavone esplicitamente come maestro... Ma se noi lo sfiliamo dalla evoluzione del Rinascimento veneziano, poco cambia. Cosa voglio dire? Che ci sono casi di geni che anticipano vertiginosamente le novità venture, ma che (come Caravaggio e anche Schiavone) non lasciano tracce significative nell'evoluzione estetica coeva. Avevo studiato, in relazione a Schiavone, Tiziano e gli altri mostri sacri del, diciamo così, Rinascimento veneziano (anche se Venezia non aveva un medioevo cupo da cui risorgere a differenza del resto d’Italia…) e ho capito che cosa veniva riconosciuto a Schiavone: velocità pittorica ed efficacia drammaturgica, accanto ad approssimazioni del disegno che lo connettono alla coeva modernità anti-calligrafica di El Greco. Parallelamente, ho studiato il supposto caravaggismo di Artemisia Gentileschi, sostenuto da diversi critici a livello puramente verbale e, con assoluta onestà intellettuale, non ne ho trovato sufficienti segni: in quel caso, la storia personale della Gentileschi è sufficiente motivo delle crudezze che la romana rappresenta, e non certamente l'iperrealismo caravaggesco. E, sul piano pittorico, Artemisia s'inserisce nel main-stream dell'evoluzione verso il Seicento: cioè, nessun uso drammaturgico del chiaroscuro e degli sfondi neri, e un certo manierismo nella definizione di visi e figure, nettamente al di qua del geniale caricaturismo caravaggesco.
Ribadisco che ho trovato questa quadratura di fronte alla antologica meritoria, di Urbino del 2024 e in corso fino a tutto ottobre, su Federico Barocci. Infatti, Barocci è esattamente l'anello mancante tra il grande Rinascimento e il Barocco, e colma lo iato che porta a Rubens. Iato che, qualora fosse rimasto, come prima di questo grande contributo scientifico di Palazzo Ducale d'Urbino, lasciava un ambito di indeterminazione sui destini del Seicento, nel quale la sfida di Caravaggio aveva maggiore cittadinanza, pur senza fondare alcuna scuola, aggiungendo al vento di follia seicentesco un ulteriore robusto soffio, come Longhi suggerisce. Invece, il respiro di Caravaggio non è sulla sua epoca, ma sul Settecento e sull'Ottocento. Con suggestioni rivoluzionarie che operano anche nel Novecento.
Martedì 3 settembre 2024
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