di Gianluca Valpondi
Ciao Mirko. C’è un clima di incertezza e anche di confusione nel nostro ormai “villaggio” globale in preda all’emergenza-Covid. Pare che l’Inghilterra stia facendo meglio dell’Europa e possa uscirne a breve; in India misteriosamente il virus sembrerebbe regredire o comunque fare pochissimi morti senza vaccinazione di massa; addirittura nella famosa località “mariana” di Medjugorje non si indossa neanche più la mascherina; in Usa mezzo milione di morti; in Israele quasi tutti vaccinati... Come vedi la situazione da noi in Italia?
Caro Gianluca, la situazione da noi in Italia è una situazione assolutamente difficile e complicata. Come affrontare questa situazione difficile della uscita dalla pandemia e della gestione delle conseguenze nefaste in termini sanitari e in termini economici della pandemia stessa? Oggi non ci può essere alternativa che quella della organizzazione di un piano che tenga insieme alcune frecce al nostro arco e che sia capace di affrontare tutti questi aspetti in maniera sistematica e organizzata. Le parole chiave sono: organizzazione e programmazione. Parole che purtroppo nel vocabolario della politica italiana sono state assai poco presenti e che dovrebbero invece diventare parole d’ordine della “quarta Repubblica” e del governo Draghi. Prima di tutto bisogna organizzare immediatamente una modalità con cui evitare di creare ulteriori danni all’economia a fronte della tutela della salute; ci vuole una conciliazione del diritto alla salute con il diritto al lavoro, per cui lockdown chirurgici e settoriali, evitare di avere misure restrittive eccessivamente rigide nelle zone dove non ci sono contagi e diffusione dei contagi alta, e cercare di garantire a tutte le categorie produttive attraverso una forte prevenzione e forti controlli la massima libertà d’azione per le loro attività economiche. Dove invece c’è una diffusione del virus, soprattutto una diffusione delle varianti, avere la preoccupazione di monitorare il territorio, fare indagini scientifiche per andare ad appurare il livello di diffusione delle varianti e l’evoluzione delle varianti stesse, e cercare di evitare la diffusione dei contagi attraverso delle chiusure che siano adeguate. Naturalmente, ogni volta che si chiude devono essere predisposti ristori immediati, certi e adeguati. Detto questo, è fondamentale anche un piano vaccini che sia competitivo per un Paese che rientra all’interno delle sette democrazie più sviluppate al mondo. Per cui è fondamentale prima di tutto organizzarsi per una produzione interna - e bene ha fatto il Ministero dello sviluppo economico a incontrare le aziende che producono farmaci in Italia giovedì scorso - e costruire una produzione interna attraverso un accordo delle licenze dei vaccini approvati dall’Ema in Europa e sostenere anche la produzione di un vaccino nazionale. L’obiettivo dev’essere uno, come ha dichiarato Draghi: arrivare a fine autunno ad aver vaccinato almeno il 65% della popolazione. Ed è un obiettivo assolutamente complesso da raggiungere se non si fa questo tipo di attività. Occorre allargare la struttura dell’area di vaccinazione. Non possiamo più fermarci a quelle che sono state le “primule” di Arcuri; dobbiamo utilizzare quelle strutture che sono presidi sanitari conosciuti dai cittadini e organizzati sul piano sanitario, e in questo senso è fondamentale il coinvolgimento delle farmacie, come abbiamo proposto. Come Popolo della Famiglia per questo abbiamo lanciato – e le ho elencate adesso in maniera sintetica – alcune proposte per un piano antivarianti, per cercare appunto di utilizzare più frecce al nostro arco per sconfiggere il virus, tenere salda la barra economica del Paese evitando collassi sistemici delle categorie produttive più colpite dall’attività di sviluppo delle varianti pandemiche, e creare le condizioni per arrivare a vaccinare il numero minimo di popolazione che si dovrebbe aggirare intorno al 70% per garantire un’immunità diffusa al Paese per uscire definitivamente dalla pandemia. Penso che i Paesi che hanno capito questa lezione in primis siano stati Usa e Inghilterra, che hanno tassi di vaccinazione ben più alti dei nostri e che quindi hanno creato le condizioni per una ripartenza economica più rapida possibile e per una protezione massima dei loro cittadini.
La gente in Italia ha le idee chiare su come affrontare la situazione di crisi sanitaria ed economica? Si sente in balìa del nulla o è rassicurata dal piglio del nuovo governo Draghi? Ma qual è la strategia del governo per uscire dalla crisi? La condividi? Fino a che punto? Cosa intendi per “piano antivarianti”?
In Italia purtroppo c’è una guerra tra tifoserie che non aiuta a guardare alla politica in maniera seria e responsabile. Purtroppo nel nostro Paese prevalgono scontri tra chi vuole aprire e chi vuole chiudere, anziché ragionare ad un efficace conciliazione tra diritto alla salute e diritto al lavoro. Le rassicurazioni non bastano, servono delle azioni concrete che mirino a garantire le fasce più deboli, a garantire le realtà più colpite anche sul piano economico e sociale dalla pandemia e che diano una visione di prospettiva di lungo respiro. Non si può più vivere attraverso delle indicazioni normative che cambiano da una settimana all’altra; ci vuole un respiro più lungo, per garantire al Paese una prospettiva di ampio margine e che possa dare respiro alle nostre attività economiche e alle nostre famiglie. Per fare questo quindi bisogna dare priorità ad organizzazione e programmazione. La strategia del governo Draghi è molto semplice, l’ha dichiarato il premier al consiglio europeo di questa settimana: la priorità è garantire una produzione vaccinale europea, la praticabilità piena dei contratti sottoscritti dall’Unione europea con le case farmaceutiche i cui vaccini sono autorizzati attualmente dall’Ema – interessante è stata in tal senso l’audizione di queste case farmaceutiche al Parlamento europeo, dove si sono chiarite le ragioni dei ritardi che si sono avuti – e soprattutto fermare le diffusioni dei vaccini presi dall’Europa attraverso il sistema della cooperazione internazionale, non perché non vogliamo aiutare i Paesi del terzo mondo, ma perché vogliamo garantire al nostro continente l’immunizzazione diffusa il prima possibile per far sì che l’economia riprenda e che si possa tornare ad aiutare con un’economia florida i Paesi che soffrono. Quindi, non si mettono in contrasto le cose, le cose si tengono insieme ma si deve dare la priorità al nostro continente di poter uscire quanto prima dalla pandemia e tornare a correre con la propria locomotiva produttiva. Condivido pienamente la strategia del governo Draghi, quella di poche parole e molta azione, e, come ha detto il presidente del Consiglio, si parli solo quando si ha qualcosa da dire. Il nostro piano antivarianti, che ho illustrato nella risposta alla domanda precedente, è una modalità concreta di essere conseguente allo stile di questa quarta Repubblica: parlare solo quando si ha qualcosa da dire. E oggi è evidente che scadendo il Dpcm il prossimo 5 marzo e dovendo definire fino alla prossima Pasqua una serie di regole che tutelino sul piano della salute e che garantiscano sul piano del lavoro e dell’economia le nostre strutture produttive, serviva una proposta. Come Popolo della famiglia l’abbiamo strutturata e definita in cinque mosse. Credo che possa essere un punto di chiarezza utile a tutti e speriamo che il governo raccolga questi appelli che abbiamo rivolto, concreti e operativi, e li faccia suoi all’interno del prossimo Dpcm che sarà varato. La priorità delle priorità del nostro piano antivarianti è il sequenziamento di migliaia di virus al mese realizzando una vera e propria sorveglianza virologica capace di sequenziare ben oltre 500 campioni a settimana. Grazie a questo sequenziamento capiremo se e come le nuove varianti si stanno espandendo, eventualmente soppiantandone altre. Le strutture e le macchine per procedere, sia nei presidi ospedalieri che all’interno degli istituti di ricerca, ci sono già: ora è solo una questione di volontà politica veder concretizzato questo decisivo progetto e non riaprire il dibattito su un possibile lockdown generalizzato. Nel nostro piano antivarianti la parola lockdown sarà strettamente collegata a quella di liquidità. Lo diciamo da mesi: se chiedi alle famiglie e alle loro imprese di non lavorare hai il dovere, come Stato, di garantire (in tempi rapidi e certi) i fondi compensativi del fatturato perso rispetto ai dati di bilancio del 2019. Gli eventuali lockdown dovranno essere solamente chirurgici, superando la follia delle zone rosse regionali: misure molto restrittive e selettive di comuni o province che comprendano limitazioni alle attività commerciali e agli spostamenti delle persone al di fuori del territorio comunale. La locomotiva italia va protetta e lasciata libera di correre veloce per garantire la rinascita economica del paese. Il terzo punto chiave del nostro piano antivarianti riguarda la più importante freccia al nostro arco contro il Covid che è rappresentata dai vaccini. Come diciamo da settimane serve aprire, a livello europeo prima ancora che nazionale, una trattativa rapida per procedere alla produzione in continente (e, dunque, anche in Italia) dei vaccini autorizzati dall’Ema. Con il combinato disposto tra le possibili (e auspicabili) nuove forniture vaccinali (pensiamo alla produzione russa ad esempio) e la produzione “in house” potremmo arrivare a mettere in sicurezza il paese entro il prossimo autunno. Il nostro impegno deve produrre una capacità nazionale di somministrazione che passi dalle decine di migliaia di vaccinati al giorno odierni ad almeno 300/400 mila vaccinati pro die: con questi numeri potremo davvero arrivare in 4/5 mesi a quel 70% di vaccinati in grado di garantire la tanto auspicata immunità diffusa. La quarta mossa del nostro piano antivarianti riguarda il ruolo attivo delle farmacie: come già avviene in altri Paesi europei, come la Gran Bretagna, sono state coinvolte anche per la fase di somministrazione del vaccino. In Portogallo, Francia, Germania, Danimarca e Paesi scandinavi, il farmacista svolge un ruolo attivo che snellisce la macchina delle vaccinazioni supportando l'intero sistema sanitario. Superare la fase della “primula” di Arcuri significa anche organizzarsi in maniera adeguata per arrivare al 70% di italiani vaccinati il prima possibile. Le farmacie sono l’unica rete di presidi sanitari presente su tutto il territorio nazionale, insieme ai medici di famiglia, capace di accelerare la nostra corsa verso l’immunità diffusa: solo così la locomotiva Italia potrà tornare a correre veloce “perché protetta”. La quinta mossa prevista nel nostro piano antivarianti riguarda le cure domiciliari. In quest’ottica sarebbe necessario seguire queste poche ma chiare linee guida: seguire i protocolli Aifa che, purtroppo, troppi medici di famiglia sono reticenti ad usare; attivare capillarmente le Usca che dovrebbero occuparsi della gestione domiciliare dei pazienti, che non risultano essere attive in numero sufficiente su tutto il territorio nazionale con competenze spesso divergenti; eliminare le limitazioni che impediscono le visite dei medici di famiglia ai loro assistiti malati di Covid; maggiore organizzazione rivolta all’assistenza precoce dei pazienti, fondamentale per diminuire i ricoveri e gestire più agevolmente l’epidemia. Questa serie di azioni consentirebbe di avere una mole di dati sensibili che permetterebbe di arrivare ad un protocollo nazionale validato da dati scientifici certi e chiari. Un’altra importante freccia al nostro arco per debellare la pandemia sanitaria in corso.
Cosa stiamo imparando dalla crisi mondiale del Covid? Ma stiamo imparando qualcosa, o no? Come classe politica, in generale? Tu quale lezione trarresti da questo “flagello”?
Sono convinto che la grande lezione che noi impariamo oggi è che i diritti della persona devono essere garantiti attraverso una loro conciliazione. È fondamentale che oggi lo Stato sia capace di garantire il diritto al lavoro, il diritto alla salute e il diritto alla libertà; e devono essere contemperati tra di loro. Abbiamo vissuto stagioni in cui prevaleva l’uno, prevaleva l’altro, a seconda delle categorie d’interesse che dovevano essere solleticate dal potere politico. Oggi che la politica non ha più quelle leve che aveva nel Novecento, sopravanzate purtroppo da altre leve molto meno democratiche – penso a quelle della finanza – è fondamentale ritrovare questa contemperazione dei diritti della persona e dell’uomo, che sono alla base della nostra società democratica. Credo che stiamo imparando poco, perché purtroppo vedo soprattutto i partiti politici più importanti dividersi secondo tifoserie ideologiche che poco hanno a che vedere col bene delle persone. Diceva Aldo Moro “tutto ciò che è umano non può trovarci indifferenti”; ecco, questo dovrebbe essere il faro guida del nostro impegno, e non dividerci su slogan che di umano hanno ben poco. La lezione che traggo da questo flagello? Che se non rispettiamo la persona, anche la politica diventa inutile. La politica diventa utile se si prende a cuore il bisogno delle persone, se è capace di costruire degli strumenti che siano capaci di garantire il riscatto delle persone in ogni ambito della vita pubblica.
Sempre in tema di emergenza da Covid, pare che mentre qualcuno soffia sul fuoco del negazionismo complottista e ipercomplottista, qualcun altro vorrebbe approfittare della situazione più o meno caotica (di caos generalizzato) per proporre e/o imporre un nuovo modello di società ipercontrollata con il dominio dell’uomo sull’uomo, a somiglianza forse del “grande fratello” cinese. Tu come ti piazzi? La tecnocrazia è un pericolo reale? Il virus, ma anche l’economia, hanno a che fare con le relazioni umane...ma parrebbe, grazie a Dio, impossibile l’algoritmo della relazione (cfr. , ad esempio, il sociologo Simone D’Alessandro).
Io sono convinto che è un momento di cambio di paradigma culturale e sociale. Non possiamo più ragionare secondo gli schemi che hanno caratterizzato i primi vent’anni del 2000. Penso alla nostra esperienza pro-life – ne parlavamo anche in una bellissima trasmissione in cui ero ospite io con Virginia Coda Nunziante, la presidente del comitato per la Marcia per la vita – oggi per esempio essere pro-life non significa più fare battaglie identitarie sul tema della famiglia, che rischiano di non intercettare più i bisogni reali della famiglia, perché oggi la famiglia non ha bisogno di sentirsi dire che è famiglia in quanto tale, ma la famiglia ha bisogno di sentirsi tale nelle risposte che la politica dà hai suoi bisogni e negli strumenti che la politica gli mette a disposizione per un riscatto sociale, civile e culturale in tempi così difficili. Per cui parlerei più di politiche familiari che di famiglia in quanto tale, e quindi di strumenti messi a disposizione per le famiglie attraverso i quali costruire una risposta adeguata alle loro necessità. È un tempo in cui non c’è il rischio di una tecnocrazia, ma c’è il rischio di uno scontro evidente, caratterizzante tutti questi anni ‘20, come ho ripetuto più volte, tra democrazia e demagogia. Gli anni ‘20 avranno questa caratterizzazione particolare; bisogna decidere da che parte stare. O dalla parte di chi usa gli slogan elettorali per dividere il campo della politica secondo un’appartenenza identitaria che scade in un’ideologia fluida (vedi “aperturisti” contro coloro che vogliono le chiusure sul tema del Covid che non porta da nessuna parte perché non affronta i problemi reali che non sono riconducibili a queste due categorie, ma a risposte pratiche come quelle che abbiamo dato dentro al nostro piano antivarianti); o dalla parte di chi è democratico, cioè chi vuole aspirare a rappresentare secondo un processo democratico rappresentativo le istanze della propria comunità di riferimento. Ecco, la partita si giocherà qui, e penso che il Popolo della famiglia con le sue proposte coerenti con i valori che lo animano da sempre, ispirati all’umanesimo cristiano, possa fare ancora la differenza.
Domenica 28 febbraio 2021
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