di Gianluca Valpondi
Prendo spunto da un passo dei Racconti di un pellegrino russo (classico anonimo della spiritualità cristiana) oltreché da una lodevole esternazione dell’on. Maurizio Lupi e dell’amico Mirko De Carli (non so di chi sia il copyright). L’esternazione è quella della distinzione tra distanziamento fisico e distanziamento sociale, accettabile il primo in tempi di pandemia, non mai il secondo. Il passo del pellegrino russo è quello in cui si imbatte in un personaggio che lo invita a fare un tratto di strada insieme precisando: “Potremmo camminare a tre sagen [5-6 metri] l’uno dall’altro per non disturbarci mentre preghiamo, leggiamo, meditiamo”.
Contatto fisico, solidarietà sociale, unione spirituale: diversi modi di interazione umana, modi tra loro interconnessi e interconnessioni imprescindibili perché siamo corpo-psiche-spirito o non siamo o fingiamo. Anche nel distanziamento fisico si può essere solidali avendo a che fare col corpo di chi, ad esempio, ha bisogno di nutrirsi e di curarsi, di una casa e del pane quotidiano; magari toccherò quel corpo bisognevole a distanza, ma comunque lo toccherò, lo dovrò toccare per poter essere solidale. E l’unione spirituale? La si può ottenere sine... carne? Evidentemente no, ma ad un livello anche superiore, a livello dell’incarnazione del puro spirito. Dio è puro spirito, ma “è in lui che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, e voi partecipate della pienezza di lui, che è il capo di ogni Principato e di ogni Potenza” (Col 2, 9-10). Solo l’umanità di Cristo permette l’autentica unione spirituale. Anche di quelli che pensano di non conoscerlo. Ma non può, di fatto (magari implicitamente), non conoscere il Verbo chi si spende per altro dalla propria sussistenza e dal proprio tornaconto, essendo già risorto con lui in lui per lui e non temendo più la prima morte (quella del corpo terrestre non celeste) e preoccupandosi semmai che non si cada nella seconda morte (quella dell’anima), che sarebbe anche l’eterna rovina del corpo. I giusti infatti, anche se muoiono, si rivestono di un corpo glorioso, immortale; gli ingiusti, anche se vivono, sono morti viventi. Ma, da soli, non possiamo renderci giusti, da soli non possiamo salvare il nostro corpo dalla corruzione eterna: se lo presumessimo non saremmo più giusti, ma cercheremmo piuttosto la nostra illusoria autocelebrazione. Per salvare il corpo, nostro ed altrui, non si può essere materialisti perché il corpo non è un cadavere, ma carne spiritualizzata o spirito incarnato, se vogliamo materia organizzata secondo una complessità irriducibile che è la chiara impronta dello spirito. Non si dà proficuo ordine sociale, né progresso nel bene comune senza il riconoscimento del primato dello spirito sulla materia.
Martedì 5 maggio 2020
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