di Giovanni Lazzaretti
La pandemia
Sfiorare le questioni mediche, l’ho già scritto, mi riempie sempre di terrore, perché sono ignorante.
Poiché però alcuni chiedono informazioni a me, cerco di rispondere appoggiandomi rigorosamente a testi scritti di persone o enti che ritengo affidabili.
Mi appoggio ad esempio a un articolo di Massimo Gandolfini il quale, prima di diventare noto per il Family Day del Circo Massimo e per il Comitato Difendiamo i Nostri Figli, era ed è medico in un ospedale di Brescia, quindi nel cuore pulsante del problema.
La prima cosa certa è che la pandemia è una cosa tremenda, per chi muore solo, per chi soffre solo, per chi vede morire gli assistiti.
«Parafrasando San Paolo VI sento di stare vivendo un tempo “affascinante e drammatico”. Se vi dicessi che non ho paura, sarebbe falso. Un sentimento di timore profondo scorre nel sangue in ogni momento. Il virus è invisibile, è in agguato, può assalire senza accorgersene … può uccidere. E poi la famiglia, i nipotini … Nello stesso tempo, hai netta la sensazione che sei importante, che non puoi tirarti indietro. Quanto dolore in quei respiri affannosi e strazianti, in quelle persone vestite da astronauta per poter avere un po^ d'aria … Poi ci sono gli altri colleghi, il personale sanitario: c’è tanto da fare e tutti stiamo lottando con tutte le nostre forze».
«Quando un nostro malato muore, la commozione è grande, impossibile trattenere una lacrima. Alla fine del turno, scendo in obitorio, vedo la lunga fila di bare, il silenzio è totale. La sconfitta, come medico, è lì davanti, con tutta la sua crudezza».
Quale è il tipo di cura che viene fatto negli ospedali?
«La terapia che possiamo mettere in atto, si può definire di supporto e di attesa: ha lo scopo di sostenere le funzioni vitali – in primis l’ossigenazione del sangue, con la ventilazione assistita – e di proteggere l’organismo dall’assalto del virus, ma un vero farmaco “etiologico”, in grado cioè di uccidere il virus, non è a nostra disposizione. È certamente un retrovirus, cioè un filamento di acido nucleico RNA, e pertanto stiamo utilizzando farmaci antiretrovirali, ma il farmaco letale per COVID 19 ancora non siamo in grado di metterlo in campo».
La terapia è “supporto e attesa”: sostengo le tue funzioni vitali, ti proteggo dall’assalto, in attesa che il tuo organismo vinca il male con le sue forze.
È chiaro quindi che, in questa situazione, il numero di posti che posso destinare ai malati è vitale.
«L’aspetto più drammatico è l’assoluta insufficienza dei presidi sanitari in generale, e delle Unità di Terapia Intensiva in particolare. Siamo stati colti di sorpresa, ci siamo illusi che le epidemie erano eventi dei tempi passati e, in particolare noi italiani (ma non solo noi) abbiamo operato una dissennata politica di tagli alle spese sanitarie in ottemperanza al diktat della “spending review” che l’Unione Europea ci ha imposto. Così, dal governo Monti in avanti, abbiamo ridotto al minimo indispensabile il numero dei medici, degli infermieri, dei posti letto ordinari e di rianimazione. Per quanto riguarda questi ultimi siamo arrivati a circa cinquemila (contro i 28.000 della Germania) ed oggi piangiamo lacrime amare».
Non prendo le parole di Gandolfini come una statistica, e gliene attribuisco la responsabilità, ma comunque i dati non saranno molto diversi da quel rapporto 5.000 contro 28.000 posti.
La scorsa settimana citavo un articolo di www.quotidianosanita.it del 2019 dove si segnalava che la Germania ha 8,2 letti ogni mille abitanti, contro i 3,7 nostri. Tradotto in numeri assoluti fanno 450.000 letti in più, niente di strano che ci siano 23.000 posti in più per rianimazione.
La gestione mediatica della pandemia
La gestione mediatica della pandemia è disastrosa.
«I dati sui quali veniamo aggiornati sono incompleti, non nei numeri assoluti, ovviamente, ma sul numero reale delle persone infette, soprattutto se asintomatiche. Ne consegue che non siamo in grado di sapere quanti degli infetti sviluppano la terribile patologia respiratoria, causa di morte».
Il famoso “bollettino delle 18” (che anch’io leggo e dal quale registro i dati su un foglio Excel) dice morti, guariti, positivi al test, e il totale dei 3 dati.
Ma, non sapendo il numero reale delle persone infette, non sappiamo nulla né sul grado di letalità, né sul fatto che il contagio “sale” o “scende”: su quel “sale”/”scende” si fanno un sacco di titoli di giornale, inutili.
Il fatto è che, essendo la terapia “supporto e attesa”, le curve future sono già più o meno delineate. Se migliorassero di molto, si dovrebbe parlare di miracolo.
Diciamo a fine aprile: 180.000 guariti, 46.000 morti, 50.000 infetti attivi.
La statistica
I dati che ci forniscono quotidianamente sono “grezzi”. Bisogna avere la pazienza di attendere il rapporto bisettimanale dell’Istituto Superiore di Sanità (è un po^ come il Bilancio dello Stato: arriva tardi e quindi non serve per l’attualità, ma è l’unico che ci dice di quanto è salito il debito).
Il rapporto del 24 marzo si basa su 5.542 morti (29,1% sono femmine). Età media dei pazienti con infezione: 63 anni; età media dei deceduti: 78 anni.
Sono state analizzate le cartelle cliniche di 514 deceduti. Di questi l’1,4% non presentava patologie preesistenti; 21,4% presentava 1 patologia; 26,1% presentava 2 patologie; 51,2% presentava 3 o più patologie.
Le patologie rilevate sono: Cardiopatia ischemica, Fibrillazione atriale, Ictus, Ipertensione arteriosa, Diabete mellito, Demenza, Broncopneumopatia cronica ostruttiva, Cancro attivo negli ultimi 5 anni, Epatopatia cronica, Insufficienza renale cronica.
Il rapporto esce ogni 2 settimane, contiene una serie di altri dati, ed è bene guardarlo per avere un’idea divulgativa più chiara.
Complottismo
Mi hanno anche fatto domande di tipo complottista.
Semmai risponderò un’altra volta. Qui mi limito a fare una distinzione.
Chiamo “giornalista d’inchiesta” chi mi mette a disposizione dei fatti verificabili che i media tradizionali (TV e grandi giornali) non mettono in evidenza.
Chiamo “complottista” chi, avendo questa serie di notizie inusuali, ne trae delle conclusioni certe.
Le notizie extra servono moltissimo e consentono di “braccare la verità più da vicino”. Ma la certezza è un’altra cosa.
Comunque le notizie extra sulle quali i media sorvolano sono davvero tante. Ad esempio il fatto che il 31 gennaio fosse stato dichiarato sulla Gazzetta Ufficiale lo “Stato d’emergenza” per 6 mesi non è stata una notizia molto divulgata.
Alla luce di quella notizia diventa più impressionante rileggere «27 febbraio 2020 - Nicola Zingaretti sfida il panico che si è diffuso a causa del coronavirus e questa sera aderisce all'iniziativa #Milanononsiferma promossa dal Partito democratico Metropolitano milanese».
Comunque mi fermo qui, volevo parlare d’altro.
Il motore si è spento
Com’è noto, il motore economico dell’Italia è stato spento.
Quando chiusero le scuole, avevo azzeccato ad occhi chiusi il fatto che la chiusura iniziale si sarebbe prolungata fino a Pasqua. Tra lo scetticismo generale avevo anche scommesso (sperando di perdere) che l’anno scolastico non sarebbe mai ripartito: una scommessa a oggi quasi vinta.
Dove invece sono stato solennemente smentito è stato su questa frase (Taglio Laser n. 366).
Governatore Fontana: «Non pensiamo di isolare Milano, ma se la situazione degenera è possibile che prenderemo misure come a Wuhan».
Avevo commentato così.
Purtroppo (per fortuna) non potrà farlo. Wuhan è enorme, ma, per grossa che sia, è lo 0,45% della Cina; l’Hubei di cui è capitale è grande come l’Italia, ma è solo il 4% della Cina. Milano è il 2,3% dell’Italia; la Lombardia il 17% dell’Italia. Applicare Wuhan/Hubei a Milano/Lombardia significa la morte economica.
Se la situazione precipita, dovremo purtroppo lavorare da ammalati e costruire in fretta nuovi ospedali (pagati in SIRE, speriamo; non in Euro). Lavorare correndo un rischio continuo, come tanti facevano in tempo di guerra.
Non hanno chiuso Milano o la Lombardia. Hanno chiuso l’Italia.
Hanno applicato all’intera nazione un modello che la Cina aveva applicato al 4% della nazione.
Hanno spento il motore. Purtroppo non hanno la più pallida idea di come si fa a riaccenderlo.
La paura delle soluzioni semplici
Verso la fine dello scorso millennio, qualcuno ricorderà, si diffuse il terrore alimentato ad arte del “millienium bug”: si temeva il crack che sarebbe avvenuto nei sistemi informatici al cambio di data dal 31.12.99 al 01.01.00
Potevo capire il terrore o la cautela sui grandi sistemi, ma era ridicolo averlo sui piccoli sistemi gestiti dal sottoscritto: personal o reti di personal, non connessi a Internet.
I venditori di calcolatori invitavano a comprare apparecchiature aggiornate, che evitassero gli inevitabili guai del cambio di millennio.
A me la faccenda sembrava così ridicola che proponevo ai miei clienti una soluzione semplicissima: «Il vostro calcolatore mica lo sa che giorno è oggi. Mettete avanti l’orologio al 31.12.99 e domani vedete se succede qualcosa».
Credete che mi abbiano seguito in questo test così semplice? No. Una parte si fidò di me e non cambiò i calcolatori. Una parte non si fidò di me e cambiò i calcolatori. Ma il semplice test non lo fece nessuno.
Mi sono interrogato spesso del perché di questo atteggiamento. Probabilmente pensavano: «Se cambio calcolatore, è responsabile il venditore. Se non cambio calcolatore, il responsabile è Lazzaretti. Ma se faccio la prova, il responsabile divento io».
Naturalmente il 1 gennaio 2000 ai miei clienti non accadde nulla. Solo un calcolatore si piantò. Ed era, paradossalmente, un calcolatore nuovo.
Fatto sta che le proposte semplici spesso sono irritanti.
Lo sa bene chi legge la Bibbia e ricorda Naamàn il Siro.
Naamàn, comandante dell'esercito del re di Aram, era un personaggio autorevole presso il suo signore e stimato, perché per suo mezzo il Signore aveva concesso la salvezza agli Aramei. Ma quest'uomo prode era lebbroso.
Ora bande aramee avevano condotto via prigioniera dalla terra d'Israele una ragazza, che era finita al servizio della moglie di Naamàn. Lei disse alla padrona: “Oh, se il mio signore potesse presentarsi al profeta che è a Samaria, certo lo libererebbe dalla sua lebbra”.
Naamàn andò a riferire al suo signore: “La ragazza che proviene dalla terra d'Israele ha detto così e così”. Il re di Aram gli disse: “Va^ pure, io stesso invierò una lettera al re d'Israele”. Partì dunque, prendendo con sé dieci talenti d'argento, seimila sicli d'oro e dieci mute di abiti.
Portò la lettera al re d'Israele, nella quale si diceva: “Orbene, insieme con questa lettera ho mandato da te Naamàn, mio ministro, perché tu lo liberi dalla sua lebbra”. Letta la lettera, il re d'Israele si stracciò le vesti dicendo: “Sono forse Dio per dare la morte o la vita, perché costui mi ordini di liberare un uomo dalla sua lebbra? Riconoscete e vedete che egli evidentemente cerca pretesti contro di me”.
Quando Eliseo, uomo di Dio, seppe che il re d'Israele si era stracciate le vesti, mandò a dire al re: “Perché ti sei stracciato le vesti? Quell'uomo venga da me e saprà che c'è un profeta in Israele”
Naamàn arrivò con i suoi cavalli e con il suo carro e si fermò alla porta della casa di Eliseo. Eliseo gli mandò un messaggero per dirgli: "Va^, bàgnati sette volte nel Giordano: il tuo corpo ti ritornerà sano e sarai purificato". Naamàn si sdegnò e se ne andò dicendo: “Ecco, io pensavo: «Certo, verrà fuori e, stando in piedi, invocherà il nome del Signore, suo Dio, agiterà la sua mano verso la parte malata e toglierà la lebbra». Forse l'Abanà e il Parpar, fiumi di Damasco, non sono migliori di tutte le acque d'Israele? Non potrei bagnarmi in quelli per purificarmi?”.
Si voltò e se ne partì adirato. Gli si avvicinarono i suoi servi e gli dissero: “Padre mio, se il profeta ti avesse ordinato una gran cosa, non l'avresti forse eseguita? Tanto più ora che ti ha detto: «Bàgnati e sarai purificato»". Egli allora scese e si immerse nel Giordano sette volte, secondo la parola dell'uomo di Dio, e il suo corpo ridivenne come il corpo di un ragazzo; egli era purificato.
In Italia il governo ha spento il motore.
Il medesimo governo non ha la più pallida idea di come riaccenderlo.
I nOmismatici invece lo sanno, e hanno a disposizione una soluzione semplice.
Soluzione semplice non significa “soluzione semplicistica” e nemmeno “soluzione facile”.
È semplice nel senso in cui Einstein definiva più semplice la fisica relativistica rispetto alla fisica galileiana: «I nostri calcoli sono più complessi, ma il sistema è più semplice, perché ha un postulato in meno».
Prendete il postulato della moneta così come noi la conosciamo: «La moneta è misura del valore, riserva di valore, mezzo di scambio».
Supponete che uno vi dia un postulato più semplice «La moneta è misura del valore e mezzo di scambio».
Ecco, con questo postulato più semplice potete riavviare il motore dell’Italia. Con l’altro postulato, no.
È come voler fare un navigatore satellitare con la fisica galileiana: non ci riuscirete, punto e basta. Comprendete la Teoria della Relatività e la soluzione diventa semplice. Non facile, ma semplice.
Scrissi della “soluzione semplice” su Taglio Laser 4 anni fa in occasione del terremoto di Amatrice, ne riparlerò nella prossima puntata (a Dio piacendo): paradossalmente la dilatazione del problema all’Italia intera la rende ancora più semplice.
Semplice, ma non facile: c’è da far cambiare mentalità a 60 milioni di italiani.
Ma (come direbbe Fabio Conditi) noi non molleremo mai.
Domenica 5 aprile 2020
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