di Mirko De Carli
Ieri in serata Ursula Von Der Leyen è stata votata dal Parlamento Europeo con solo 9 voti di scarto alla guida della Commissione Europea dopo la designazione avvenuta nelle settimane precedenti dal Consiglio Europeo. Tranne il Partito Popolare Europeo, di cui il Ministro della Difesa tedesco fa parte, nessun altro gruppo parlamentare ha votato in maniera compatta a suo favore: alcune delegazioni nazionali hanno espresso opinioni differenti rispetto alle dichiarazioni di voto dei propri capogruppo. Questo a significare che il Parlamento era spaccato per due ordini di ragioni: ancora una volta si trovava a votare un nome su cui non aveva avuto alcuna voce in capitolo e l’asse su cui si era da sempre retto l’equilibrio della vita parlamentare (PpE-PsE) non è, ad oggi, più in grado di essere maggioranza autonoma.
La decisione di non rinviare a settembre il voto in aula e di spingere sull’acceleratore per ratificare al più presto l’accordo Macron-Merkel di fatto conferma che non c’è alcuna intenzione di dar vita ad una legislatura costituente che apra un serio e necessario percorso di riforme dei trattati istitutivi dell’Unione Europea. Non a caso i temi centrali del discorso della Von Der Leyen sono stati ben mirati: salario minimo europeo, riforma generica del trattato di Dublino senza alcuna condanna al traffico di esseri umani che vede coinvolte anche le ong, piano verde per l’Europa e qualche spolveratina di sentiment europeista da lacrimuccia facile. Un mix di promesse volte a garantirsi il voto dei liberali, dei grillini, di buona parte dei socialisti e a spaccare il fronte dei verdi. Sul piano numerico missione compiuta, sul piano delle prospettive per il nostro continente un fallimento totale.
Non una parola sulla riforma del Trattato di Maastricht, sull’avvio di un reale processo di riforme che porti a realizzare un vero e proprio “sovranismo europeo”, nemmeno una parola su una prospettiva di difesa unica europea, sulla peste bianca della denatalità e sulla riapertura di una fase costituente capace di riportare nel dibattito europeo il tema delle “radici greco-romano-giudaico-cristiane”. Niente di tutto questo. E dire che erano alcune delle parole chiave della candidatura per il PpE di Manfred Weber alla medesima carica oggi ricoperta dalla Von Der Leyen, completamente scomparse dall’agenda politica della neoeletta Presidente delle Commissione Europea.
I prossimi cinque anni saranno dunque l’ennesimo strenuo tentativo di alzare le barricate contro il rischio della deriva sovranista facendo sì, con questa assurda strategia, che alle prossime elezioni tutta questa classe dirigente europea venga definitivamente spazzata via come avvenuto in Italia. I problemi si affrontano non si evitano cara Ursula. Per questo dico con forza che non sei il mio Presidente: perché nella tua agenda i problemi della mia gente non ci sono.
Cara Ursula ti faccio una domanda: quando i tuoi figli cresceranno e capiranno che sono nati in una famiglia numerosa ma la loro mamma non ha fatto nulla perché anche la loro generazione potesse godere di un’Europa nata per garantire pace, benessere e prosperità per tutti (come quella pensata e parzialmente realizzata dai padri fondatori) e non per creare una società di poveri sempre più poveri in guerra aperta con ricchi sempre più ricchi, dove la famiglia lentamente scompare sostituita dalla nuova etica di stato arcobaleno cosa penseranno di te e del tuo operato? No Ursula, anche se sono un popolare europeo, non sei il mio Presidente: il tempo per noi giovani è poco, troppo poco per essere sprecato nell’eterna attesa di un rivoluzione che si avverte a parole ma mai nei fatti. Toccherà a noi essere rivoluzionari e fare nostro il sogno dei padri fondatori: dopo questa ennesima “pernacchia” delle istituzioni europee non delegheremo più. Mai più.
Giovedì 18 luglio 2019
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