di Gianluca Valpondi
"Coram tacet. Abitare il silenzio. I contenuti della mistagogia benedettina tra fenomenologia e secolarismo", a cura di Rosa Lorusso, Daniela del Gaudio, Sergio Bini, Roberto Ferrari |
È in uscita il volume Coram tacet. Abitare il silenzio (vedi foto). Dopo averne scritto il preambolo, vorrei ora presentarlo commentando le immagini, anzi l’immagine, di retrocopertina. La madre del silenzio sonoro di Dio ci invita al silenzio, a fare silenzio. Invita tutti gli uomini di buona volontà, di qualsivoglia appartenenza religiosa e/o culturale, ad un silenzio che sia vuoto accogliente per la Parola. La Parola del silenzio è la voce di Dio che sussurra ai cuori aperti all’interno in attesa dell’alto. In attesa paziente, senza pretese, se non quella del proprio nulla: non fare (anzi fare) niente; essere, stare senza aspettative. “Distaccare il nostro desiderio da tutti i beni e attendere. L’esperienza prova che questa attesa è esaudita. Si raggiunge allora il bene assoluto” (Simone Weil, L’ombra e la grazia). La Vergine del silenzio accoglie la Parola e la conserva, è donna del futuro che ci indica il cammino. E il cammino è duplice: ascendente e discendente. C’è l’ascensione dell’uomo a Dio e c’è il discendere di Dio verso l’uomo, ma la distanza rimane incolmabile per gli sforzi umani; dunque Dio discende per farci ascendere; dunque il nostro ascendere è un silenzio implorante la sua discesa: la grazia precede, accompagna, compie la natura. Silenzio vuol dire umiltà nel riconoscere il proprio nulla. Silenzio vuol dire anima grata perché la felicità viene dalla pienezza dell’essere come amorosissimo straripamento di essere dalla fonte dell’essere, ed è gratuità inconcepibile e dunque folle felicità: non c’è motivo per cui il nulla dovrebbe essere ricolmato di essere, e impazzire di gioia è l’unico modo adeguato di risposta a un tale insolubile enigma. Per questo i santi, le persone più felici al mondo, sono anche umanamente folli, anche se si tratta di follia divina, superiore alla scienza umana, mai irrazionale, sempre sovrarazionale. Al silenzio trasformante e divinizzante corrisponde la santità di vita, altrimenti è solo orgoglio comuffato. Ma qual è il criterio della santità autentica? Mah...un caro e saggio sacerdote 90enne mi diceva che l’umiltà non si può fingere; e allora torniamo al silenzio, al nascondimento, alla piccolezza, al farsi piccoli, al riconoscersi nulla. Facciamo silenzio, che parli in noi la Parola.
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Domenica 3 novembre 2019
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