Tra fisica e metafisica, fascino del mistero

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fede e scienza

Tra fisica e metafisica, fascino del mistero

Stefano Visintin è fisico nucleare, abate (monaco benedettino) e rettore universitario. Lo abbiamo intervistato

di Gianluca Valpondi

Stefano Visintin, "Come meridiani nelle vicinanze del Polo. Scienza, filosofia e religione", ed. EDB, 2018
Stefano Visintin, "Come meridiani nelle vicinanze del Polo. Scienza, filosofia e religione", ed. EDB, 2018

1. Ci sono diverse interpretazioni della meccanica quantistica. Quali sono compatibili con la fede cattolica e con la retta ragione?

La questione della interpretazione della meccanica quantistica si porta avanti dal suo sorgere fino ai giorni nostri, senza soluzione e con l’aggiunta di nuove possibili interpretazioni. La parola “interpretazioni” già ci dice che non abbiamo a che fare con una necessaria lettura dei dati scientifici, ma solo con una loro possibile interpretazione. Parliamo quindi di una possibile lettura che si fonderà immancabilmente su determinati presupposti filosofici e, implicitamente o esplicitamente, anche metafisici. L’importante è essere consapevoli di questo fatto. Il resto, la loro ragionevolezza e la loro conciliabilità con la fede, si valuterà caso per caso, consapevoli di esser dentro a un dialogo filosofico e non solo scientifico.

2. Multiverso o universo? Ma l’essere non è, in ogni caso, uno?

Stefano Visintin, fisico nucleare tra Italia e Usa, poi monaco benedettino, Magnifico Rettore del Pontificio ateneo di sant'Anselmo e abate dell'abbazia di Praglia (Pd)
Stefano Visintin, fisico nucleare tra Italia e Usa, poi monaco benedettino, Magnifico Rettore del Pontificio ateneo di sant'Anselmo e abate dell'abbazia di Praglia (Pd)

Sia con l’Universo sia con il Multiverso rimane sempre in piedi la questione metafisica fondamentale: perché esiste qualcosa invece che il nulla? Va cioè sempre trovata una spiegazione del perché esista quel qualcosa (leggi fisiche, vuoto quantistico…) da cui ha avuto origine il tutto. E questa spiegazione deve essere tale da non far sorgere nuovamente la domanda del perché essa esista. Per bloccare questa catena che rimanda sempre indietro a una causa più fondamentale bisogna arrivare a una causa che sia a sua volta incausata o causa di sé stessa, una causa eterna e necessaria, in altri termini, divina.

3. La via proposta da Paul Davies per evitare l’alternativa tra teismo e multiverso si può ricondurre all’idea di una “complessità irriducibile”?

Paul Davies pensa che la teoria del multiverso sia in realtà un cripto-teismo, un teismo mascherato in quanto non riesce a eliminare totalmente l’idea della presenza di un piano o di un disegno intelligente. A mio avviso ha ragione, in quanto sicuramente il nostro Universo, ma anche un Multiverso capace di produrre un Universo come il nostro (con la vita autocosciente) hanno una complessità tale che è ragionevole pensarli, da un punto di vista filosofico o teologico, solo come frutto di un piano o di un disegno. Detto questo, lui propone poi una possibile spiegazione tesa proprio ad evitare che si possa parlare di disegno o di piano intelligente. Per questo motivo la sua proposta non si può ricondurre all’idea di Michael Behe di una “complessità irriducibile” che mira all’opposto a sostenere l’idea dell’esistenza di un piano o di un disegno intelligente.

4. L’idea di John Wheeler di una circolarità tra natura e osservatore della natura ha a che fare con il sintesismo soggetto-oggetto del beato Antonio Rosmini?

L’idea di John Wheeler presuppone sicuramente un ruolo partecipativo dell’osservatore alla realtà osservata, ma va oltre questo in quanto dice che questa stessa realtà emerge dalle informazioni contenute nelle nostre osservazioni. Lui porta all’estremo l’idea che non esista una realtà indipendente dall’osservatore, fino ad affermare, come detto sopra, che le informazioni contenute nelle nostre osservazioni non sono solo ciò che noi apprendiamo del mondo, ma ciò che fa il mondo. Questo ruolo dell’osservatore penso vada al di là di quanto detto dal beato A. Rosmini.

5. Ammesso e non concesso che il Verbo crocifisso e risorto sia l’archetipo attraverso cui fu creato il primo uomo, si può affermare che la causa finale dell’esistenza della stessa natura fisica delle cose ne sia anche la causa iniziale? O, ancora, che l’autocoscienza del cosmo sia il corrispettivo spazio-temporale dell’eterna, infinita, immutabile autocoscienza di Dio? Siamo già nel panteismo? Nel panenteismo? Cattolicamente, il fine dell’uomo non è comunque essere Dio per partecipazione?

In Gesù Cristo, crocefisso e risorto, noi abbiamo un anticipo del termine della storia. Vediamo il fine a cui tende l’atto creatore. Un atto creatore compiuto però da un Dio che anche trascende la realtà creata e che ci permette pertanto di parlare di un fine intenzionale perseguito da un Essere intelligente che pianifica le cause iniziali in modo da raggiungere il fine voluto. Non c’è quindi nessuna circolarità tra causa finale e causa iniziale. Guardando a Gesù Cristo, crocefisso e risorto, noi vediamo che il nostro fine è quello di partecipare alla vita divina. Questa partecipazione non è però una partecipazione che ci spetta “per natura”, ma “per grazia”. Dio crea una realtà distinta da Sé e liberamente la chiama ad entrare liberamente nella vita divina. Non è panteismo, la realtà creata è infatti distinta da Dio, ma Mistero della Trinità in cui la creazione viene chiamata dal Padre a partecipare per mezzo di Cristo e nello Spirito alla vita di comunione divina. Nell’uomo, infine, la creazione è giunta allo stato di autocoscienza, la creazione stessa diviene cosciente di sé e della offerta, fatta per grazia, di partecipazione alla vita divina. Questa stessa autocoscienza si può vedere come riflesso della partecipazione, sempre “per grazia”, a Dio. Man mano che cresce il grado di partecipazione cresce l’autocoscienza. Dove anche qui non c’è panteismo in quanto si parla di “partecipazione” “per grazia” della realtà creata al divino e non di una stessa identica realtà.

6. La teoria delle (super)stringhe, scientificamente, sta in piedi? Si avvicina a qualcosa come la “teoria del tutto” mettendo insieme senza contraddizioni meccanica quantistica e teoria gravitazionale, fisica nucleare e astrofisica?

La teoria delle (super)stringhe è una “teoria del tutto” in quanto cerca di tenere insieme sotto un unico ombrello matematico tutti gli aspetti fisici fondamentali del nostro Universo. Da tempo si registrano però obiezioni all’interno del mondo scientifico proprio a riguardo della sua “scientificità” in quanto si tratta di una sofisticata costruzione matematica che non può finora vantare a suo vantaggio nessuna verifica sperimentale, né diretta né indiretta. Forse uno dei primi e più accesi critici è stato il fisico teorico Peter Woit con il suo libro “Neanche sbagliata”.

7. Antonino Zichichi: un punto di riferimento importante per chi vuole occuparsi seriamente di scienza, senza perdere la bussola della fede? Cos’è il “super-mondo” di cui parla?

Il termine “super-mondo” usato da Antonino Zichichi indica gli sviluppi più recenti della Fisica sub-nucleare, in particolare la Teoria della Supersimmetria, le Extra Dimensioni e la Teoria delle Stringhe. Il “super-mondo” è l’insieme di tutte queste teorie collegate in cascata tra loro. La critica a tale insieme di teorie è la stessa vista sopra in quanto, pur essendo estremamente affascinanti, non hanno prodotto sinora predizioni verificabili sperimentalmente. Per quanto riguarda il Zichichi come “guida” sicura nel campo scienza-fede non ho ragioni per dubbiarlo, ma non conosco bene la sua opera in tale ambito.

8. “Teologia della scienza”, “teleologia della scienza”, “neofinalismo”...di che si tratta?

Il pensiero di Teilhard de Chardin si può considerare come un tipo di teologia naturale che vuole porre delle basi razionali per il discorso su Dio fatto dalla teologia; basi razionali che siano condivisibili nel nostro tempo segnato dalla presenza di una forte cultura scientifica. Il suo pensiero si può vedere come un ponte tra ciò che la scienza dice sull’universo (soprattutto attorno al concetto di “evoluzione”) e la metafisica e la teologia. In realtà però i confini della teologia naturale di Teilhard de Chardin sono più ampi di quella “classica” (esistenza di Dio e immortalità dell’anima), in quanto includono, sempre in questo spirito di collegamento tra discorso teologico e cultura scientifica, molte altre questioni: la creazione, la cristologia, la dottrina sul peccato originale, l’attività umana, la spiritualità. Inoltre, questa sua teologia naturale non si volge tanto a ciò che sta dietro a noi e all’inizio, ma a ciò che sta avanti a noi, al futuro, alla fine e al fine di tutto. Tanto è vero che per lui la scienza pura può al massimo esistere quando guardiamo dietro a noi, ma non quando guardiamo in avanti, verso la fine della storia, visto che qui veniamo a trovarci necessariamente nel campo della religione. Religione e scienza sono da lui visti come due fasi di uno stesso processo di conoscenza, il quale è l’unico capace di abbracciare contemporaneamente passato (forse in modo puramente scientifico) e futuro (sicuramente in relazione alla religione) dell’evoluzione cosmica. Con il suo pensiero ci troviamo quindi davanti ad una realtà nuova che va indicata con un nome nuovo. Come, per esempio, teologia della scienza. Ma, tenendo conto della sua particolare enfasi sul finalismo dei processi evolutivi cosmici, come pure del fatto che il suo pensiero acquista originalità soprattutto grazie alla sua componente scientifica, forse il nome più consono, anche con un incluso e pertinente gioco di parole, è teleologia della scienza

9. Il principio d’indeterminazione di Heisenberg, e in generale la teoria quantistica, ci dicono che c’è un limite alla capacità umana di indagine scientifico-galileiana, oltre il quale si entra nel campo della metafisica e della religione? Aveva ragione, e cosa intendeva, Niels Bohr quando una volta disse che se non vi vengono le vertigini al pensiero della meccanica quantistica allora non l’avete davvero capita?

Il principio di indeterminazione indica che ci sono aspetti della realtà mutuamente esclusivi per cui noi non possiamo conoscere ugualmente bene l’uno e l’altro. Tutti e due gli aspetti sono presenti nella realtà, ma quando andiamo a misurarli o conosciamo bene uno o conosciamo bene l’altro. Il limite è quindi nella nostra capacità di conoscenza della realtà sotto il suo aspetto quantitativo; è un limite interno alla fisica. Visto poi che non tutto nella realtà è quantificabile e misurabile, c’è un ulteriore limite legato al tipo di conoscenza che si ha con la fisica e che richiede perciò l’utilizzo di altri modi di conoscenza, come quello filosofico, metafisico e religioso.

10. Scrive nel suo volume (p. 34) “se il concetto fondamentale per spiegare l’esistente è quello di «relazione», allora a fondamento della nostra stessa realtà materiale non dovremmo aspettarci di trovare tanto degli «oggetti» quanto piuttosto delle «relazioni» e delle «interazioni»: sarebbero queste la realtà fondamentale e ultima”. La relazione Creatore-creature è una relazione immateriale con ciò che è materiale o una relazione materiale con ciò che è immateriale? Mi viene in mente, ancora, il corpo glorioso di Cristo, in cui tutto sussiste, in cui tutto è costantemente creato. Al fondo poi, se così si può dire, di Dio stesso, non c’è la relazione, essendo Dio “relazioni sussistenti”?

Da un punto di vista teologico quando si parla di “relazione” in Dio, tra Dio e realtà creata, nella realtà creata e glorificata, il riferimento primario è lo Spirito di Dio, lo Spirito Santo. Lo Spirito è la Comunione tra Padre e Figlio, nello Spirito c’è mutua inabitazione di Dio nella realtà creata e della realtà creata in Dio. Da un punto di vista scientifico quando si va a studiare i costituenti elementari della materia alla fine si trova un campo di massa-energia e informazione (che organizza, relaziona…), niente di “materiale” dunque. Si tratta ovviamente di due modi diversi di andare alle fondamenta della realtà, ma ambedue concordano nell’individuare al fondamento non “oggetti”, ma realtà “spirituali”.

11. Complessità infinita e perfetta semplicità coincidono? Tale coincidenza avviene (solo) in Dio?

Il termine “semplice” ha vari significati. Applicato a Dio significa il suo essere non composto, non diviso, non scomponibile, non divisibile, ma assolutamente unitario e perfetto. Ed è questa perfezione che viene partecipata alle creature di modo che essa cresce al crescere del loro grado di complessità. La complessità del creato è un attributo di perfezione e la sostanza naturale maggiormente complessa (l’uomo) è quello che più si avvicina alla assoluta semplicità di Dio. Al limite, dunque, quando questa complessità cresce all’infinito raggiunge la semplicità divina e lì, ma solo lì, coincidono.

12. La creazione come sistema-aperto e la redenzione come sistema-definitivamente-aperto: mi sembra una visione davvero affascinante, oltre che realistica. Anche per un non credente, no?

Considerare la creazione come un sistema aperto è indubbiamente in sintonia con quello che noi attualmente conosciamo del nostro universo e, per questo motivo, diviene capace di parlare e di dire qualcosa a molte persone. Ricordiamo tuttavia che anche se il processo è unico in esso possiamo distinguere senza separarli tre momenti: la creazione all’inizio; la creazione nella storia; la creazione nella fine dei tempi. Quest’ultima va poi concepita come l’inabitazione di Dio nella nuova creazione (senza essere da essa assorbito), in cui il finitum diviene capax infiniti. Per tale motivo questo ultimo momento richiede una visione di fede.

13. Che ruolo o che posto ha l’inferno nel pensiero e nella visione di Teilhard de Chardin?

Teilhard de Chardin ha notoriamente una visione ottimistica sul decorso della storia e sul raggiungimento del traguardo finale in cui Dio sarà tutto in tutti. Egli non nega però che esista per alcuni anche la possibilità di una fine negativa della storia, cioè dell'inferno. Egli prega perché “le fiamme dell'inferno” non raggiungano mai nessuno o si chiede come si potrebbe parlare di una redenzione universale in Cristo se l’inferno ne fosse escluso, ma non nega la possibilità della sua esistenza.

14. Digitalizzazione dell’esistenza: ci stiamo costruendo la gabbia da soli?

Il pericolo è proprio questo. Bisogna stare attenti a non giungere al punto di pensarci, di immaginarci, di disegnarci e, alla fine, giungere a rispecchiare fedelmente quel modello digitale di uomo che noi stessi abbiamo posto a modello. Per cui, p. es. , l’amicizia diviene solo l’amicizia dei social networks e il pensare diviene solo la capacità di elaborare dei dati. In altre parole, il nostro pensiero, le nostre relazioni, la nostra persona vengono ridotti al loro modello digitale: non sono quindi i modelli digitali che salgono al nostro livello, ma siamo noi che scendiamo al loro.

15. Realtà aumentata, internet delle cose, microchip sottopelle, upload della mente umana in un computer... nostalgia o illusione dei corpi gloriosi?

Certamente. Con questi mezzi l’uomo vuole trascendersi, vuole divenire un essere nuovo, migliore sotto tutti gli aspetti e immortale. L’uomo nuovo e glorioso del cristianesimo viene posto come obiettivo da raggiungere attraverso la tecno-scienza. L’uomo si “salva” quindi da solo, l’uomo si fa dio o perlomeno si avvicina a ciò che indichiamo con questo nome con le sue sole forze. Questa è la tentazione dell’uomo di sempre, questa è la radice del peccato originale, questo è l’abbaglio dell’uomo che, nel mentre si scopre spirito, pensa di essere Spirito assoluto. Invece è uno spirito che dipende e si appoggia sullo Spirito di Dio. Pertanto solo rimanendo a contatto con questo Spirito divino e muovendosi sotto la sua ispirazione troverà salvezza, immortalità e Gloria.

Sabato 15 agosto 2020

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