Ma cosa succede in Afghanistan?

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Ma cosa succede in Afghanistan?

Abbiamo intervistato l'amico Mirko De Carli per cercare di approfondire con ampio respiro

di Gianluca Valpondi

Un cuore per l'Afghanistan
Un cuore per l'Afghanistan

Caro Mirko, tutto il mondo parla di Afghanistan...un tuo commento “a caldo”?

Caro Gianluca, credo che l’Afghanistan rappresenti un paradigma di questi tempi; i nuovi equilibri mondiali soprattutto di carattere geopolitico stanno prendendo sempre più forma dopo la fine del momento più violento della pandemia. Come ho detto più volte, la Cina vuole affermarsi a livello globale, non solo come forza economica – i dati confermano che c’è un sorpasso in corso rispetto agli Stati Uniti d’America, e anche il fatto che la Repubblica Popolare Cinese detiene buona parte del debito pubblico americano è una traccia chiara degli sviluppi degli scenari economici mondiali – ma vuole diventare anche la primaria forza militare e politica internazionale. In questo senso i riequilibri geopolitici in Medioriente sono la conferma di tutto ciò. Abbiamo visto il forte attivismo del ministro degli Esteri cinese, una figura quasi sconosciuta fino a pochi mesi fa; e anche i dialoghi dei nuovi leader talebani che governano il neonato Emirato afgano col rapporto di tutela che viene offerto dalla Cina. Basta andare a leggere il primo quotidiano cinese nell’edizione anche pubblicata in Occidente, dove appunto si dice con molta chiarezza che si porta avanti una politica estera alternativa a quella fallimentare dell’Occidente, dove non si fanno guerre per decidere i governi, dove non si vanno a delegittimare gli interessi nazionali dei singoli Stati, ma si cerca di sostenere e incoraggiare governi che favoriscano visioni e prospettive compatibili con quelle della Repubblica cinese e dei valori che la stessa Repubblica porta avanti. Credo che il fallimento occidentale sia sotto gli occhi di tutti, soprattutto quello della guida dell’Occidente, che sono gli Usa, ma ora bisogna agire per priorità pragmatiche e concrete. Prima di tutto bisogna, come ha ripetuto intelligentemente nell’intervista rilasciata al Tg1 il premier Draghi, portare tutti i civili e i militari italiani in salvo il prima possibile, completando l’opera avviata dal 16 di agosto, e dall’altra parte bisogna aiutare tutta la popolazione afgana, che ha collaborato per la ricostruzione del Paese, e cercare di salvarla da eventuali deflagrazioni interne al nuovo regime al potere. Oltre a questo, vanno tutelate prima di tutto le donne e i bambini, e le persone fragili che potrebbero avere ritorsioni dal nuovo regime. Oltremodo è auspicabile che il G20 s’impegni ad avviare un confronto con il nuovo governo, che sia capace di capire quali siano i veri piani che hanno in mente i talebani, e cercare di creare, oltreché corridoi umanitari garantiti, anche un dialogo ove possibile per far sì che siano tutelati i diritti umani. È chiaro che già le prime dichiarazioni non sono positive, in quanto una visione che tuteli le libertà e i diritti degli uomini e delle donne non è compatibile con l’applicazione della sharìa, e questo sicuramente ci inquieta. Bisognerebbe accogliere anche l’appello di papa Francesco, che ci invita ad essere a livello internazionale promotori di pace e promotori di stabilità. Sicuramente le scelte di politica estera tenute a livello di Nato e a livello di Stati Uniti d’America non vanno in questa direzione e sicuramente dobbiamo prima di tutto farci un forte esame di coscienza, e cercare di costruire una politica estera europea e del fronte occidentale che sia capace di costruire e non solo di demolire.

Tra due totalitarismi atei e materialistici come la Cina del partito comunista cinese e l’Occidente del relativismo nichilista senza Dio, sembra che l’islamismo abbia buon gioco. Merito anche dell’oppio?

Il problema è proprio quello che sta attanagliando il mondo nel suo complesso. Stanno emergendo delle forme di governo che cercano di trovare fondamento non solo giuridico ma anche culturale e sociale attraverso un uso della religione o di ideologie che fanno riferimento a dogmi religiosi – ne è appunto un esempio il nascente emirato afgano, frutto della ritirata occidentale e dell’endorsement cinese e russo per gli “studenti” talebani che sono andati al potere - e dall’altra parte l’arretramento di quella cultura occidentale che ha fatto di un rapporto virtuoso, sano, tra Stato e religione, ovvero declinato attraverso la laicità, la propria forza, il proprio modello di governo. Oggi abbiamo, come dici tu appunto Gianluca, un Occidente che è dominato da un totalitarismo ideologico radicale, che vede nell’individualismo e nel nichilismo, nell’affermazione della persona-individuo e del suo desiderio la risposta per ogni struttura giuridica costruita. E dall’altra parte abbiamo la proposta politica cinese, che mette al centro un’organizzazione ideologica che applica i principi-guida del comunismo attraverso un rapporto sempre più violento e sempre più consumista con l’economia. Quindi la persona che diventa cosa, com’era nel comunismo, non più dentro un concetto di programmazione economica com’era nel soviet, ma dentro un’economia capace di trasformare le persone in cose dentro la globalizzazione contemporanea. È chiaro che a livello globale ci sono anche alcuni elementi che si guardano con interesse e con favore. Penso ad alcuni spunti che emergono dalla Russia di Putin – la Russia di Putin che ha tanti limiti e difficoltà ed elementi contraddittori nel rapporto tra potere e popolo, istituzioni e Paese – dove si può notare un rapporto interessante, da analizzare, da guardare con favore (come anche in alcuni Paesi dell’est Europa, penso ad esempio all’Ungheria) tra la religione dominante nel territorio (in questo caso la cristiana ortodossa) e gli uomini e le istituzioni del governo: si cerca di creare un collante tra popolo e istituzioni che nasca da un comune sentire, figlio appunto di un rapporto virtuoso con il tessuto religioso maggiormente presente per storia e per numeri di aderenti e di fedeli nel territorio. La domanda che mi poni è sicuramente uno degli interrogativi più importanti di questo tempo e penso che sia l’interrogativo principe per il futuro stesso del progetto europeo. Bisogna riscoprire le radici giudaico-cristiane del progetto europeo, come ebbe a dire san Giovanni Paolo II quando criticò la nascente Costituzione europea, bocciata poi dai referendum in alcuni Stati dell’Unione Europea, in primis quello francese; dobbiamo impegnarci, mobilitarci per l’appunto, a riprendere questo grande tema. Come anche Angela Merkel ha detto nel suo ultimo intervento da leader della Germania nei consessi europei: un lavoro per riscoprire quali sono i valori che ci tengono insieme, qual è la base culturale comune. E sicuramente il Cristianesimo, con la sua storia e con la sua presenza, con soprattutto il tessuto di straordinaria tradizione costruito nei 2000 anni di presenza sul territorio europeo, può essere l’elemento che può far rinascere a sua volta elementi di valore comune, condiviso, laicamente espressi. È un lavoro fondamentale. L’Europa, se vuole aver futuro, deve superare le contraddizioni economiche, le contraddizioni in termini di politica di difesa e di politica estera, attraverso una riscoperta delle proprie radici e una riscoperta dei valori che vuole difendere in casa propria e promuovere nel dialogo con gli altri continenti e con gli altri Stati. Se falliremo in questo percorso, falliremo il progetto europeo costruito dai padri fondatori e diventeremo - quello che oggi purtroppo dai connotati che evidenziamo già si legge, già si evince - l’ennesimo progetto totalitario dominato dall’ideologia consumista, nichilista e individualista. Mi auguro che questo non accada naturalmente.

Mirko De Carli, Popolo della Famiglia, delegato per i rapporti col Partito Popolare Europeo
Mirko De Carli, Popolo della Famiglia, delegato per i rapporti col Partito Popolare Europeo

Direi che è centrale il ruolo della donna in questa presa di coscienza di cui parli. Purtroppo si continua a confondere certo irrazionalismo pseudoreligioso fondamentalista con la visione cristiana. Pensiamo al “dolce stil novo” di Dante ed altri, a santa Ildegarda di Bingen etc... Ma siamo sicuri che il Rinascimento della “caccia alle streghe”, nella misura in cui ha rinnegato la dolce regalità, anche sociale, di Cristo ci abbia regalato una laicità più laica? Non sarebbe meglio tenere insieme, in un nuovo Rinascimento cristiano, i diritti dell’uomo-Dio? Magari così forse daremo ai musulmani di buona volontà e retta coscienza meno ragioni per radicalizzarsi, dando loro meno scandalo e più esempi di luminosa virtù, non credi?

Caro Gianluca, il ruolo della donna è molto importante perché è il ruolo centrale e decisivo nella famiglia, nella famiglia che nasce e nella famiglia che si apre alla vita con dei figli. È chiaro ed evidente che oggi purtroppo c’è un rapporto snaturato con la religione; la religione è diventata soprattutto nell’Occidente contemporaneo un fatto privato, da rinchiudere dentro la dimensione della vita privata delle persone, e non più un fatto comunitario. Vediamo quante volte purtroppo accade che si riduca il fenomeno religioso a qualcosa che nulla ha a che vedere con la dinamica della vita sociale e pubblica. Però questa pandemia sicuramente ha riaperto questa grande questione che affligge in particolar modo l’Occidente, e abbiamo ritrovato in papa Francesco nei momenti più difficili di questa pandemia ma anche soprattutto in un rinnovato rapporto con il trascendente quello che è il necessario bisogno di religione, per dirla alla Van Gogh, che è frutto dell’umanità e della storia stessa dell’umanità. Che vada ricostruito un rapporto sano e virtuoso con la religione è importante. Uno Stato che abbia delle radici forti, ancorate alle proprie tradizioni, è qualcosa di importante e fondamentale per un futuro che abbia consistenza e abbia respiro; e, come ho più volte detto, un progetto come quello dell’Unione europea, senza avere una visione valoriale, culturale e sociale comune, ancorata a delle tradizioni che hanno nel solco della propria storia le proprie radici, non può avere certamente un grande avvenire. Per quanto riguarda il rapporto coi musulmani, io l’ho detto più volte, anche nel libro-intervista con Massimiliano Fiorin Le radici verso l’alto, dove appunto ho dichiarato che non esiste oggi un Islam moderato. L’Islam purtroppo, come ha ben detto a Ratisbona Benedetto XVI, ha alcuni elementi che sono ancora contraddittori, frutto di una religione giovane, di una religione con alcuni elementi non ben precisi per quanto riguarda nello specifico il rapporto con la violenza; e quindi questo dev’essere un lavoro che deve far maturare un nuovo Islam, che sia capace di superare questo rapporto malato con la violenza e che possa abbracciare dentro la propria visione di fede quelli che sono i valori delle tradizioni occidentali di libertà e di diritti e di doveri, frutto della nostra storia. Solo nel caso in cui riesca ad accogliere questa nostra tradizione dentro l’esperienza della fede, creando e costruendo un “Islam europeo”, come più volte ho detto, sarà possibile veramente costruire un rapporto, una relazione col mondo islamico, altrimenti sarà, come ebbe a dire più volte giustamente il cardinal Giacomo Biffi, impossibile. Se guardi anche il Cristianesimo, è diverso da continente a continente, da regione a regione, perché si è plasmato, mantenendo fede ai propri valori fondativi, frutto della testimonianza del Dio vivente Gesù Cristo, in maniera diversa in base al contesto dove si è sviluppato. Ci auguriamo naturalmente che questo possa accadere per il bene di un rapporto sano e virtuoso tra religione e stato, anche religioni diverse da quella cristiana.

Gli afgani un loro punto di riferimento positivo potrebbero averlo nel musulmano Massoud, il “Leone del Panshir”, che si oppose fieramente tanto ai sovietici quanto ai talebani (e pare che il figlio segua le orme del padre). L’Occidente quale punto di riferimento potrebbe avere o dovrebbe darsi?

L’Occidente, come punto di riferimento, potrebbe avere grandi uomini che hanno segnato la sua storia e la sua riunificazione. Io ne cito uno - che è stato insignito anche di uno dei più importanti premi a livello internazionale, che è il premio Nobel per la pace -, Vàclav Havel, che dalla Repubblica Ceca si è battuto per far cadere l’oppressione e il giogo comunista, ha sempre combattuto seguendo la grande lezione di san Giovanni Paolo II rispetto ai pericoli che c’erano dietro alla nuova ideologia, pericolosa quanto il comunismo, del consumismo capitalista e globalista, e ha portato nel proprio Paese, la Repubblica Ceca - dopo il crollo del comunismo - democrazia, pace, sviluppo e benessere. È un uomo che è stato alimentato da una grandissima fede, da una grandissima passione per un impegno politico nutrito da valori saldamente legati alla dottrina sociale della Chiesa, ma li ha vissuti sempre in maniera laica, in maniera pienamente rispettosa della libertà per tutti e di un principio di sacrosanta democrazia, garantito per tutti i cittadini. Era quello che più volte ripeto: un uomo illuminato dalla fede, con una ragione illuminata dalla fede. Oggi avremmo bisogno di guardare a uomini di questo tipo, che hanno reso capaci di generare frutti, al di là della loro appartenenza ideale, i loro valori. Perché questa è la grande forza di una leadership carismatica che non diventa un individuo solo al comando, ma diventa un leader che si fa comunità e che diventa popolo in cammino; la capacità di far sì che i propri valori non siano un discrimine tra chi è con lui e chi è contro di lui – cosa ormai purtroppo figlia della politica contemporanea – ma che siano elementi capaci di attrarre i diversi, elementi capaci di trovare momenti di unità al di là delle differenze religiose, delle differenze culturali, delle differenze di estrazione sociale tra persone. Vàclav Havel in questo (sicuramente consiglierei la lettura di una pietra miliare della mia formazione, che è il suo libro Il potere dei senza potere) è un grande testimone, un grande esempio. Abbiamo bisogno di guardare a queste figure, che sono state capaci di raccogliere la grande tradizione europea (occidentale e orientale), e di renderla terreno fertile per la costruzione di una nuova comunità fondata su dei valori eterni, che, possiamo dircelo serenamente, ritroviamo raccolti dentro ad un grande documento che dovremmo rifare sempre più nostro come riferimento, che è la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948.

Venerdì 20 agosto 2021

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