Come fu che Hitler prese il potere

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Come fu che Hitler prese il potere

C'è ancora troppo l'idea del nazismo e di Hitler come di un mostro sanguinario incomprensibile. Ma, secondo il monito di Hannah Arendt, ricordiamoci della banalità del male

di Davide Gionco

Adolf Hitler
Adolf Hitler

Non fu l’inflazione a distruggere la repubblica di Weimar, come dicono i sacerdoti della Bundesbank. Fu la disoccupazione di massa, esacerbata dalla politica di rigore e austerità nel 1930-32. Non accadde in un solo giorno né ci fu un solo protagonista. Fu un crimine che si consumò in una lenta agonia di tre anni, ma i carnefici della repubblica di Weimar furono molti.

Ci sono sempre cause profonde e cause occasionali in una crisi. La repubblica di Weimar (1919-1933) nacque gracile, come un bambino colpito da rachitismo precoce. I circoli conservatori e nazionalisti, i grandi proprietari agrari dell’est, gli junker prussiani, i militari, accettarono a denti stretti la democrazia, a cui essi attribuivano la responsabilità della sconfitta nella prima guerra mondiale.

Troppi nemici e pochi sostenitori. La prima democrazia tedesca si resse su un fragile equilibrio tra il partito socialdemocratico (SPD), il Centro cattolico e i liberali, stretti a destra dai nazionalisti del DNVP e a sinistra dai comunisti del KPD. Weimar divenne sinonimo di governi deboli, di parlamentarismo esasperato, di scontri ideologici insensati, di crisi economica e di miseria. Gli unici anni di tranquillità furono tra il 1924 e il 1929, il boom illusorio degli anni venti, quando i capitali americani nutrirono la ripresa economica tedesca e una speranza di pace in un’Europa che piangeva ancora i milioni di morti della grande guerra.

Le elezioni del maggio 1928 assicurarono la vittoria alla SPD e più del 60% dei voti ai partiti repubblicani. I nazisti non ebbero che un misero 2%, molto meno degli irriducibili comunisti con il loro 10,5%. Il governo di coalizione dell’incolore cancelliere Müller (SPD) fu però debole fin dall’inizio, minato dal suo stesso partito. All’inizio del 1929 emersero i primi segni di rallentamento economico mentre in strada si battevano comunisti e i paramilitari nazisti delle Sturmabteilung (SA).

Nell’ottobre 1929 il crollo di Wall Street spinse il mondo intero nella grande depressione e la Germania nel caos. I banchieri americani richiamarono i capitali dall’Europa, le esportazioni tedesche crollarono trascinando in basso la produzione industriale e l’occupazione. Nel gennaio 1930 i disoccupati salirono a 2,8 milioni. I partiti continuavano allegramente a litigare, come se fossero in un cabaret di Berlino, incapaci di comprendere la gravità della situazione e da quel momento la repubblica entra infatti in una spirale degenerativa che passo dopo passo condurrà all’ascesa di Hitler al potere.

Protagonista di questa lenta discesa collettiva verso gli inferi, che poteva essere forse arrestata se le forze democratiche avessero mostrato maggior coraggio e lungimiranza, fu un’ambigua figura, vera anima nera dei nazionalisti, il generale Kurt Von Schleicher, esempio fulgido di carriera militare percorsa negli stati maggiori senza mai vedere un campo di battaglia. Calvo, sgradevole, vero maestro dell’intrigo dietro le quinte e delle manipolazioni a mezzo stampa (una sorta di Signorini con le stellette), Von Schleicher aveva diretto negli anni venti i programmi segreti di riarmo in combutta con l’Unione Sovietica ed era il capo di fatto della Reichswehr, l’esercito.

Von Schleicher comprese che era giunto il suo momento. Utilizzando abilmente la sua influenza nell’esercito e nella cerchia del presidente della Repubblica, l’ex feldmaresciallo Paul Von Hindeburg, egli manovrò nel corso di tre anni per eliminare il, a suo dire, ridicolo parlamentarismo dei partiti e far risorgere la potenza militare della Germania. Ebbe successo. Peccato che a goderne fu Adolf Hitler, che in quel periodo raccolse in voti la disperazione generata da una crisi economica senza precedenti.

Non ci fu bisogno di colpi di stato. Come accade spesso con la sinistra di tutti i tempi, furono i socialdemocratici a far cadere il loro governo. Nell’impossibilità di formare una maggioranza che portasse avanti le misure economiche di emergenza, Hindenburg creò nel marzo 1930 un governo tecnico, presieduto dall’esperto in economia e finanze, il cattolico Heinrich Brüning.

Nelle successive elezioni di settembre, gli elettori impartirono una dura sconfitta ai partiti repubblicani, premiando il partito comunista e quello nazista, che divenne il secondo partito del Reichstag con il 18% dei voti, alle spalle della storica SPD. In pratica non vi era più una maggioranza repubblicana. Il cancelliere Brüning governò quindi per due anni con decreti, utilizzando i poteri di emergenza del presidente della Repubblica e l’acquiescenza del Reichstag. La SPD, terrorizzata da nuove elezioni, concesse un appoggio tacito.

Per risolvere la gravissima crisi, il governo utilizzò i mezzi che l’ortodossia economica dell’epoca consentiva, ovvero austerità e rigore di bilancio, attraverso il taglio dei sussidi sociali e degli stipendi e la crescita delle imposte. La medicina uccise il malato.

Nel maggio 1931 crollò una delle principali banche europee, l’austriaca Wiener Creditansalt, che trascinò nel baratro le banche tedesche, scatenando una fissione nucleare di fallimenti, crolli della produzione (-40%) e disoccupazione di massa. Nel febbraio 1932 il numero dei disoccupati raggiunse l’apice con la spaventosa cifra di più di 6,1 milioni di persone, un terzo della forza lavoro. Il 36% della popolazione tedesca viveva di sussidi pubblici. Non si contavano i suicidi dei disperati di ogni ceto.

Il governo del presidente era sempre più screditato. I partiti costituzionali si disgregavano nei contrasti interni, vilipesi da una popolazione affamata, impaurita, alla mercé della propaganda dei nazisti e dei comunisti, che davano vita a violenti scontri per le strade. L’ultimo tentativo di creare un fronte comune della democrazia avvenne nell’aprile 1932 quando i principali partiti repubblicani sostennero il rinnovo del mandato presidenziale dell’anziano Hindenburg contro Hitler. La vittoria andò al feldmaresciallo con appena il 53% dei voti, mentre Hitler ricevette quasi il 37%. Se può essere d’interesse, quando venne rieletto per altri sette anni, Hindeburg aveva 85 anni. Il 1932 fu la zona Cesarini in cui il campo repubblicano difendeva lo 0-0 di fronte ai furenti attacchi del blocco antidemocratico, un pareggio che avrebbe riaperto la partita nei supplementari, dato che l’economia, nella seconda metà dell’anno, iniziava a manifestare qualche segnale di ripresa. Brüning disse che era caduto a cento metri dal traguardo. In questi ultimi mesi i conservatori cercarono di utilizzare i nazisti per instaurare la loro repubblica autoritaria, senza concedere la cancelleria ad Hitler, che il presidente della Repubblica non poteva soffrire.

Von Schleicher si mise d’accordo con Hitler, fece fuori Brüning nel maggio 1932 e lo sostituì con una sua creatura, il superficiale aristocratico cattolico Franz Von Papen. Si trattava di un vero e proprio patto col diavolo. Nei sei mesi di un governo dalle basi sociali e politiche confinate al mondo aristocratico e militare tradizionale, Von Papen si sforzò di accontentare Hitler: rimosse il bando contro le SA e fece sopprimere il governo prussiano di Otto Braun, l’unico uomo politico socialdemocratico che aveva chiaro il pericolo nazista e che non aveva esitato, contro i suoi colleghi, a sostenere Brüning. Il governo del Reich prendeva possesso della Prussia che allora rappresentava più della metà della Germania e della sua polizia.

Nel luglio 1932 nuove elezioni conferirono ai nazisti la maggioranza relativa nel Reichstag con il 37,1% dei voti. Era la fine delle trame di Von Schleicher. Il progetto autoritario non poteva funzionare senza i nazisti, ma Hindeburg, che aveva incontrato Hitler in agosto, continuava ad avere una pessima opinione dell’ex caporale austriaco.

Il miglioramento della situazione economica nella seconda metà del 1932 avrebbe forse permesso di arrestare la marea nazista se il campo democratico fosse riuscito a comporre lo storico cieco odio tra comunisti e socialdemocratici per un fronte antinazista. Nelle nuove elezioni di settembre, i nazisti conobbero la prima sconfitta ed altre ne seguirono in autunno. I tedeschi erano stanchi della violenza e dell’instabilità. Gran parte dell’industria e del mondo agrario non voleva Hitler di cui non si fidavano. Ma in parlamento una maggioranza non c’era.

Era il momento delle soluzioni creative che andassero oltre destra e sinistra. Era il momento in cui il cardinale nero dell’esercito, Von Schleicher, fu costretto a scendere personalmente in campo con un progetto che, se fosse riuscito, avrebbe probabilmente allontanato il pericolo nazista per qualche tempo, concedendo un terzo tempo supplementare che avrebbe salvato, se non la democrazia, almeno il paese e l’Europa da Hitler.

In novembre Von Schleicher, nominato cancelliere dopo l’ennesimo complotto contro Von Papen, cercò di allargare le basi del suo governo verso l’ala sinistra del partito nazista, rappresentata da George Strasser, con una manovra che venne rapidamente neutralizzata da Hitler. Von Schleicher si rivolse ai sindacati. Quelli socialdemocratici non disdegnarono l’offerta di misure sociali ma nel partito prevalevano coloro che preferivano l’inazione ad un’alleanza tanto ardita quanto difficile. Le proposte socialisteggianti di impronta keynesiana del cancelliere, destinate a dare frutto nel corso del 1933, non piacevano neppure agli amici del presidente Hindenburg. Se solo ci fosse stato il tempo per un terzo tempo supplementare…

Era ormai chiaro che l’unico modo per trascinare Hitler dalla propria parte era concedergli la cancelleria. Demiurgo di quest’ultimo passo sciagurato fu proprio Von Papen, che così potè vendicarsi di Von Schleicher. Von Papen convinse Hindenburg a scaricare il generale e, non senza una prolungata resistenza, a nominare Hitler cancelliere il 30 gennaio 1933. Von Papen e i consevatori credettero di aver quadrato il cerchio: Hitler era saldamente nelle loro mani. Hitler si accontentò di poco, la cancelleria e il ministero dell’interno. Ma era sufficiente.

Il demonio austriaco, a differenza degli altri, sapeva cosa voleva. Con il ministero dell’interno aveva il controllo della polizia e della macchina elettorale. L’esercito era nelle mani del generale criptonazista Von Blomberg. Pochi giorni dopo, mentre Von Papen era all’estero, Göring venne nominato commissario per la Prussia, consegnando nelle mani dei nazisti l’intera polizia tedesca. In poche settimane Hitler impose un regime di terrore contro gli oppositori.

I tedeschi non volevano però la dittatura. Nonostante il clima di violenza ed intimidazione, ancora nelle elezioni del marzo 1933, i nazisti non ottennero la maggioranza assoluta dei voti e furono costretti ad una coalizione con i partiti nazionalisti. Per liberarsi degli ultimi residui di opposizione, Hitler negoziò allora con monsignor Kasscapo del Centro, per ottenere, in cambio di un concordato con il Vaticano, il sostegno del partito cattolico al conferimento dei pieni poteri al governo, per il quale era necessaria la maggioranza dei due terzi del Reichstag.

Il 23 marzo 1933 il parlamento tedesco, con il sostegno decisivo del Centro, votava la dittatura. Gli unici a dire di no furono i socialdemocratici. I deputati comunisti erano già stati banditi. Nei mesi successivi tutti i partiti e le organizzazioni sindacali si autosciolsero (compreso il Centro e i nazionalisti) o furono messi fuori legge (la SPD). In aprile veniva creata la Gestapo. Le persecuzioni contro gli ebrei iniziarono subito dopo. Con la notte dei lunghi coltelli (30 giugno-2 luglio 1934) Hitler si liberò delle ultime resistenze, facendo assassinare, tra gli altri, Von Schleicher, Strasser e alcuni collaboratori di Von Papen. Poche settimane dopo Hindenburg moriva e Hitler riuniva su di sé i poteri di cancelliere e presidente della Repubblica.

Nessuna dittatura è mai nata senza complici. La prima causa che permise a Hitler di raggiungere il potere fu il disprezzo dei conservatori per la democrazia, per la vecchia noiosa democrazia delle regole e dell’uguaglianza. Furono gli errori dei partiti democratici, incapaci di mettere da parte le loro controversie ideologiche per fare fronte comune. Fu la disperazione dei disoccupati, della classe media impoverita, dei salariati che non arrivavano a fine mese. Ma, in ultima analisi, fu il risultato di scelte prese da poche ma influenti persone, che giocarono col fuoco nazista per raggiungere il potere finendo per esserne divorati, loro ed il mondo intero. Scelte che avrebbero potuto essere diverse.

Giovedì 31 gennaio 2019

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