Aborto, per il giudice non è una madre affidabile: perde la custodia dei figli

Il diritto di crescere

È il blog che pone l'attenzione sulle tematiche e sui diritti dei minori, che racconta quel che succede nel mondo con l'intento di dar voce a chi, ancora oggi, è invisibile. Ampliando e diffondendo la conoscenza delle problematiche legate a chi è potenzialmente esposto alla minaccia di comportamenti abusanti o inopportuni, di realtà più svantaggiate, dalla schiavitù alle violenze domestiche, dalla discriminazione ai conflitti armati, dalla povertà alla libera espressione. Perché non rimanga consegnato al silenzio e non si ripeta in futuro.
Con la convinzione che garantire i loro diritti, nel loro bisogno di crescere armonicamente come individui e come esseri sociali, non dia sollievo soltanto a chi soffre ma contribuisca anche al benessere dell'intera comunità, locale e globale.

Gabriele Paglialonga

Gabriele Paglialonga
Ho iniziato a operare nel settore umanitario nel 2004, aderendo alla missione del governo italiano nel sud-est asiatico per l'emergenza tsunami. Dal 2009 rivesto l’incarico di Coordinatore per i Diritti dei minori nella sezione italiana di Amnesty International di cui faccio parte dal 2007. Non è facile raccontare né tantomeno essere ascoltati. Essendo amante della verità, io continuerò a dar voce, da oggi, anche come blogger.

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Dic 2

Aborto, per il giudice non è una madre affidabile: perde la custodia dei figli

Una donna di 38 anni, Lisa Mehos, ha perso la custodia dei due figli perché ha abortito

di Gabriele Paglialonga

aborto, riproduzione sessuale

Lisa Mehos, una donna di 38 anni, ha perso la custodia dei due figli perché ha abortito. L’aborto, avvenuto legalmente un anno dopo del divorzio col marito, è stato il motivo per cui il giudice, una donna di Manhattan, ha deciso che Lisa Mehos non è una madre affidabile.

Lisa Mehos era una casalinga piuttosto fortunata, con un marito banchiere e due figli perfetti che ha allattato fino all’età di due anni. “Quando ci siamo sposati, nel 2006, lui mi ha chiesto di lasciare la mia occupazione, lavoravo nel campo del marketing, e di occuparmi solo della casa e dei figli, come le donne dei suoi amici. All’inizio ero contenta di questa scelta perché potevo stare coi miei bambini che avevo desiderato.  La mia storia ha assunto una piega che ha dell’incredibile. Io e il mio ex marito abbiamo divorziato nel 2011, da quel momento è iniziata la lunga battaglia per la custodia dei nostri due bambini. Lui, Manuel John Mehos, un uomo ricchissimo fondatore e amministratore delegato di Green Bank, ha reclutato i migliori avvocati del Paese per investigare sulla mia vita. Doveva trovare il modo per distruggermi, e così sono andati a spulciare tra le mie cartelle cliniche, le mie chiamate telefoniche, i miei movimenti bancari. I suoi avvocati hanno scoperto che un anno dopo il divorzio, nel 2012, ho abortito, e questo, secondo il giudice Lori Sattler, una donna, è stato un elemento fondamentale per togliermi la custodia dei miei figli”.

“Ho abortito perché sono rimasta incinta di un uomo che frequentavo, ma che non amavo. Non devo giustificarmi: l’aborto, in America, è una pratica legale. Il giudice ha ritenuto rilevante per la sentenza la mia scelta di non partorire un figlio che non volevo, ma ritiene non rilevante il comportamento di mio marito, che, durante gli anni di matrimonio, mi ha tradito con decine e decine di prostitute, anche minorenni, motivo per il quale ai tempi decisi di lasciarlo. Pagare donne per far sesso, in America, è illegale, abortire no. Mi hanno chiesto perché non ho raccontato spontaneamente durate il processo dell’aborto, non ne ho parlato perché è una scelta che non ha nulla a che fare con la custodia dei miei figli, e, soprattutto, è una decisione privata, che riguarda solo ed esclusivamente la mia vita. Il messaggio che passa con questa sentenza è che una madre che abortisce non è una buona madre. Un verdetto ingiusto custode di una società maschilista, che calpesta i diritti delle donne. Io sono divorziata. Io non sono Madre Teresa!'' Racconta Lisa in lacrime. "Mi sento come se fossi stata picchiata e violentata''.

Oh, come mi preoccupo per quei ragazzi. I due bambini piccoli assorbiranno l'odio che c’è tra i loro genitori e saranno quelli che soffriranno di più. Molte donne di grande sensibilità e intelligenza si sono scagliate, sdegnate, contro la corriva ironia (ironia spesso pesante e volgare, che accolgo con grandissimo imbarazzo) che è stata fatta su di lei, facilitata anche dal nostro recente passato “casalingo” di svilimento atroce della dignità delle donne da parte del mondo della “politica”. Credo di essere troppo misero intellettualmente e troppo vile socialmente per proporre una soluzione laddove già fior d’intellettuali hanno fallito. Qualcuno ha scritto che chi non conosce la storia è condannato a riviverla; con una donna analfabeta, puro contenitore di seme, può avere a che fare e desiderare di avere a che fare soltanto un primate, uno scimmione, un bestione abbrutito mosso dalla pulsione primordiale di riprodursi (ammesso che la riproduzione sia un istinto e, non un atto culturale, come il pensiero avanzato, non solo femminista, sperava di avere ampiamente dimostrato anche ai decerebrati). Gli uomini che hanno maturato il bisogno di essere uomini, cioè di trovare consonanza d'intenti, d'ideologia, di valori, di gusti letterari e culturali con le donne con cui decidere di mettere al mondo dei figli, non di uomini che si sentono umiliati dal ruolo di "inseminatori" di uteri nel sacro nome della razza ariana. Non giudicherò se l'aborto sia giusto o sbagliato; non consiglierò a singole persone di proseguire o interrompere una gravidanza; non prenderò posizione sul fatto che una donna debba o meno abortire, ma togliamo agli uomini la rozzezza e la voglia di prevaricare, e le culle si riempiranno di miracoli d'amore e rispetto!

Negli Stati Uniti il dibattito etico sull'aborto comunque resta molto acceso.

Negli stati del Nord, già dagli anni 60 era liberamente praticato anche se illegale. Solo nel 1973 la Corte Suprema concesse la libertà di abortire ad una donna, allora era conosciuta con il nome di Jane Roe, la sentenza arrivò a parto avvenuto e fu inutile. Ma in seguito, col suo vero nome, Norma McCorvey, si prodigò per la causa abortista. Oggi però dopo più di 30 anni chiede la revisione del processo e guida la cordata delle "donne pentite di avere abortito", essendosi pentita nel 1995 degli effetti del movimento da lei iniziato[2].

A venti anni di distanza (1980) si avevano già due schieramenti nettamente divisi:

  • i "pro-life", operanti sotto l'egida di Randall Terry e la sua "Operatione Rescue", rappresentanti l'estrema destra e il Christian Coalition, fra i quali, tuttavia, sono sorte alcune polemiche
  • i "pro-choice", rispondenti alla "Planned Parenthood Federation Of America" di Jane Johnson, rappresentanti le femministe democratiche.

I pro-life da quando fu approvato l'aborto annualmente compiono la Marcia per la vita di Washington, a cui, nel 1974, parteciparono 20.000 persone.

La lotta tra le due fazioni fa la prima vittima pro-choice nel 1993, quando un dottore abortista, David Gunn, viene ucciso con un colpo a bruciapelo esploso da un fondamentalista cristiano, Michael Griffin. Nella sua campagna antiabortista la "American Coalition Of Life Advocates" di Andrew Burnett inserisce in un volantino il nome di tredici dottori che praticavano l'aborto. Ad oggi (2006) almeno 5 hanno ricevuto attentati.

In USA la lotta pro/contro l'aborto si è scatenata come una vera e propria crociata, sfociando spesso in atti di violenza, che hanno la loro massima espressione nelle sparatorie verso le cliniche abortiste.

In alcune zone lo spirito intimidatorio è talmente forte da causare veri e propri abusi. Nel 1994 una ragazza di 15 anni del Nebraska è stata costretta al parto. Per difendersi da una folla di anti-abortisti la famiglia della giovane aveva chiamato la polizia, che portò via la ragazza per meglio proteggerla; in seguito ad un processo fu deciso che non abortisse.

Nel 2011 in Mississippi un referendum popolare ha respinto la norma che rendeva illegale l’aborto.

L'ammissibilità morale dell'aborto o interruzione volontaria di gravidanza (IVG) è in gran parte soggetta a convinzioni etiche, ad orientamenti religiosi o più in generale al modo in cui una cultura si pone di fronte a concetti come l'anima o la vita.

A partire dagli ultimi decenni del XX secolo, l'IVG è una pratica autorizzata per legge in buona parte del mondo, soprattutto in quello occidentale, a discrezione della donna nei primi mesi della gestazione.

Le motivazioni oggi ammesse sono diverse. In primo luogo i casi di salute della madre, di gravi malformazioni del feto, di violenza carnale subita. Queste motivazioni sono ammesse anche nei paesi a dominanza maschile e di stampo conservatore, come l'Iran. In numerose nazioni si tiene tuttavia conto anche di istanze psicologiche e sociali, garantendo alla madre la possibilità di ottenere l'IVG in sicurezza ricorrendo a strutture mediche competenti. Le motivazioni ammesse sono, oltre a quelle qui sopra, il solo giudizio della donna sulla propria impossibilità di diventare madre ad esempio per giovane età, per rapporti preesistenti al di fuori dei quali è stato concepito il bambino, per timore delle reazioni del proprio nucleo familiare (o della società in genere) nei confronti di una gravidanza avvenuta fuori da quanto si percepisca come lecito. In diversi paesi, tra cui l'Italia, l'aborto è garantito anche alle minorenni, cui, in assenza dei genitori, viene affiancato un tutore del tribunale minorile.

Negli stati in cui la IVG è legale, può venire richiesta su solo giudizio della donna entro un dato periodo di tempo. Scaduto questo viene concessa solo in casi rari, a discrezione del medico e in presenza di gravi malformazioni del feto o di rischio per la salute della donna. Il termine varia anche considerevolmente a seconda della legge dello stato in cui ci si trova. In Italia, come in molti altri, il termine è la 12ª settimana di gestazione, in Inghilterra la 24ª. La donna ha anche il diritto a lasciare il bambino in affido all'ospedale per una successiva adozione, e a restare anonima.

Il Consiglio Onu per i diritti umani inoltre, con una recente risoluzione, ha ribadito la necessità di garantire alle donne il diritto di accedere alla contraccezione e all’aborto nella prospettiva della tutela della salute sessuale e riproduttiva. Un problema questo che si presenta in tutta la sua drammaticità nei paesi meno sviluppati, dove l'assenza dell'educazione sessuale vede le donne morire a centinaia di migliaia per malattia a trasmissione sessuale e complicazioni durante il parto.

L'Onu intende quindi incrementare il suo ruolo per il rispetto e tutela dei diritti umani, che vengono violati sistematicamante a causa della povertà, dell'ignoranza e degli atavici condizionamenti cultural-religiosi, che colpiscono particolarmente le donne privandole di ogni minimo spazio di autodeterminazione. 

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