È il blog che pone l'attenzione sulle tematiche e sui diritti dei minori, che racconta quel che succede nel mondo con l'intento di dar voce a chi, ancora oggi, è invisibile. Ampliando e diffondendo la conoscenza delle problematiche legate a chi è potenzialmente esposto alla minaccia di comportamenti abusanti o inopportuni, di realtà più svantaggiate, dalla schiavitù alle violenze domestiche, dalla discriminazione ai conflitti armati, dalla povertà alla libera espressione. Perché non rimanga consegnato al silenzio e non si ripeta in futuro.
Con la convinzione che garantire i loro diritti, nel loro bisogno di crescere armonicamente come individui e come esseri sociali, non dia sollievo soltanto a chi soffre ma contribuisca anche al benessere dell'intera comunità, locale e globale.
Gabriele Paglialonga
Ho iniziato a operare nel settore umanitario nel 2004, aderendo alla missione del governo italiano nel sud-est asiatico per l'emergenza tsunami. Dal 2009 rivesto l’incarico di Coordinatore per i Diritti dei minori nella sezione italiana di Amnesty International di cui faccio parte dal 2007. Non è facile raccontare né tantomeno essere ascoltati. Essendo amante della verità, io continuerò a dar voce, da oggi, anche come blogger.
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Nov 24
di Gabriele Paglialonga
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Il 25 novembre è la giornata internazionale contro la violenza sulle donne e tutti siamo da giorni a dire basta.
E mentre parliamo, ci indigniamo con rabbia, dolore, questi i sentimenti più diffusi, e gridiamo la nostra contrarietà, dimentichiamo che le giornate nazionali, internazionali o mondiali dedicate alle vittime di qualsiasi forma di violenza, dovrebbero essere un momento di riflessione collettiva, ogni giorno di ogni anno, sull’insufficienza culturale, etica, morale, sottovalutando le forme diverse della violenza, incapaci di coglierla in ogni frangente del nostro vivere quotidiano, dove si muove senza risparmiare nessuno. Non si può non ricordare il delitto di Avetrana. A morire ammazzate non sono solo le donne, ma anche i bambini, conseguenza della mancanza di punti di riferimento, di valori condivisi con altri, perché ognuno deve fare da sé all’interno della propria famiglia, non supportati dalla coralità del sociale.
Abbiamo lottato con tutte le forze per rivedere il suo sorriso, la sua voglia di vivere e ascoltare i suoi progetti e i suoi desideri ma tutto questo non si è potuto realizzare.
Era un pomeriggio di piena estate del 2010, l'inizio del giallo di Avetrana. Il 26 agosto di quell’anno venne denunciata dalla madre la scomparsa della quindicenne Sarah Scazzi, studentessa al secondo anno dell'istituto alberghiero, conosciuta in paese come una ragazzina timida e schiva. Quel giorno Sarah uscì da casa alle 14.30 per raggiungere casa della cugina Sabrina, distante poche centinaia di metri, e andare con lei e un'altra amica al mare; che non arriverà mai. Da quel momento vennero perse le tracce di Sarah, che non rispose più al telefono e scomparve nel nulla.
La scomparsa della giovane Sarah ha avuto un immediato ed enorme risalto mediatico, comunemente chiamato processo mediatico o gogna pubblica nello spettacolo di un infernale gineceo (la cugina, la zia...), che non quello di un mondo femminile mercificato in cui la donna si riduce a velina o star da Drive In. Da principio l'attenzione dei media si concentrò sulla vita privata di Sarah, analizzando le sue abitudini e addirittura il suo diario segreto e il suo profilo di Facebook per capire quali fossero i motivi che l'avevano spinta a una possibile fuga da casa. La ragazza fu dipinta dai media come un'adolescente inquieta, che frequentava sul web ragazzi molto più grandi di lei e capace di progettare la propria scomparsa per diventare famosa e poter finalmente fuggire da un paesino, che si è presto guadagnato la fama di cittadina quasi omertosa, simbolo di un profondo sud, vittima ancora oggi di troppi luoghi comuni, dove si annoiava e si sentiva oppressa e da una madre con cui frequentemente litigava; viceversa la madre, gli amici ed i parenti (compresa la cugina Sabrina) rinnegavano tale immagine e continuavano a sostenere la tesi del rapimento.
Inizialmente le indagini della polizia furono orientate verso una fuga della ragazza o su un sequestro a opera di un uomo che l'avrebbe adescata su Facebook. Le ricerche della ragazza andarono avanti per tutto il mese di settembre, in un crescendo di interesse mediatico che vide la madre e i suoi familiari (in particolare la cugina Sabrina) ospitati dalle principali trasmissioni televisive per lanciare appelli per il ritorno di Sarah a casa.
Dopo oltre un mese di ricerche, il 29 settembre venne ritrovato il cellulare di Sarah semibruciato in un campo poco distante dalla sua abitazione. A ritrovarlo fu lo zio Michele Misseri il quale, mostrando dolore e preoccupazione, affermò di essere in grado di trovare la nipote; ciò contribuì ad alimentare i sospetti intorno alla sua persona. Peraltro, lo zio Michele Misseri e sua moglie Cosima Serrano, entrambi agricoltori, avevano praticamente cresciuto in casa loro la ragazza scomparsa, della quale parlavano come di una terza figlia.
Dopo un'altra settimana di ricerche, il 6 ottobre Misseri, dopo un interrogatorio di circa nove ore, confessò l'omicidio della nipote, indicando alle forze dell'ordine il luogo dove aveva nascosto il cadavere. Nei giorni successivi lo zio Michele ritrattò la confessione iniziale finché il 15 ottobre confermò i sospetti degli inquirenti sul coinvolgimento della figlia Sabrina. Il giorno seguente, dopo un interrogatorio di sei ore, Sabrina venne arrestata con l'accusa di concorso in omicidio.
Il 20 aprile 2013, dopo cinque giorni di camera di consiglio e un processo durato 15 mesi, con accusa e difesa che si sono confrontate senza esclusione di colpi sulla ricostruzione del delitto.
La Presidente della Corte d'assise di Taranto, condanna all'ergastolo Sabrina Misseri e Cosima Serrano per l'omicidio di Sarah Scazzi. Michele Misseri invece viene condannato a 8 anni per concorso in soppressione di cadavere. Per lo stesso reato vengono inflitti 6 anni ciascuno a Carmine Misseri e Cosimo Cosma, rispettivamente fratello e nipote di Michele Misseri. Anche l'ex difensore di Sabrina viene condannato, a due anni di reclusione in questo caso, per intralcio alla giustizia. Un giallo che adesso ha avuto una soluzione giudiziaria, seppure solo in primo grado e una storia che ha stravolto un paese.
Sarah è il simbolo degli abusi verso tutte le donne e minorenni ma è anche il simbolo della mia protesta contro la violenza in tutte le sue forme, da perseguitare ovunque queste accadono e chiunque ne sia l'autore: per tutte quelle Sarah che vorrebbero chiedere aiuto ma non ci riescono, per tutte quelle Sarah che ricevono le porte sbattute in faccia, per tutte quelle Sarah che sperimentano quotidianamente l’assenza di umanità, si deve dire NO!
Chiedete aiuto, non vi fate intimorire, non lasciatevi opprimere dal disagio sociale, da modelli culturali vuoti di ogni genere. Dietro l’angolo c’è un mondo migliore, fatto di sicurezza, non di paura, fatto di amore, non di violenza, fatto di perdono, non di odio, che sta aspettando solo voi, costrette a recitare “Dio mio fa che la smetta”.
Non rimandate la vostra felicità!
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