Cos'è il Liberalismo? Qual è la differenza con il Liberismo e il Libertarismo? Quanto contano gli ideali liberali nella formazione delle coscienze degli amministratori, dei politici, degli statisti di domani?
«A Scuola di Liberalismo» è il blog di Reteluna.it che ci racconterà l'itinerante viaggio del corso di formazione politica promosso dalla prestigiosa Fondazione «Luigi Einaudi» di Roma e diretto da Enrico Morbelli.
Un excursus di 14 lezioni frontali coi migliori insegnanti: Mauro Antonetti, Rosamaria Bitetti, Pierandrea Casto, Franco Chiarenza, Michele D'Elia, Saro Freni, Davide Giacalone, Francesca Lamberti, Luigi Melica, Manuela Mosca, Ennio Emanuele Piano, Donatella Porrini, Emilia Sarogni, Eugenio Somaini, Ubaldo Villani-Lubelli.
Fondazione Luigi Einaudi
La Fondazione Luigi Einaudi per studi di politica ed economia di Roma è stata costituita il 10 dicembre del 1962, a poco più di un anno dalla scomparsa dell’illustre eponimo, per iniziativa del Partito Liberale Italiano del quale era allora segretario Giovanni Malagodi.
Ne furono soci fondatori società, associazioni ed enti che erano il Gotha dell’economia e della finanza italiane: dalla Banca d’Italia all’Iri alla Fiat, dalla Comit al Credito Italiano a Mediobanca, dalle Assicurazioni Generali alla Olivetti alla Techint.
Alcuni di questi soci non ci sono più, ma la maggior parte di essi, talvolta con diverso nome a seguito di fusioni e incorporazioni, partecipa tuttora alla vita della Fondazione.
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Mag 24
di Pierfrancesco Parisi
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Quando si ha di fronte un ingegnere nucleare, la prima domanda che ti viene in mente è “che lavoro fa”. Che lavoro fa un ingegnere nucleare in un paese come l’Italia in cui il nucleare è stato messo al bando con due referendum? Volontà popolare sovrana. Punto. Ma l’altra domanda è: “È lecito riaprire un dibattito, un discorso, un ragionamento anche dopo aver consultato il parere sovrano del popolo?” La risposta, a mio parere, è certamente sì. Intanto perché le generazioni si rinnovano, la popolazione cambia, nuovi cittadini acquisiscono diritto di voto e potrebbero avere un parere diverso, contrario, rispetto ai loro predecessori. È un'ipotesi. In secondo luogo, perché il problema dell’energia non è di secondo rilievo, ma è determinante, fondamentale, praticamente ineludibile. L’Italia chiede energia. Il mondo chiede energia. E l’energia, si sa, muove tutto, ma proprio tutto. Il consumo di energia elettrica, di gas e di petrolio, è alla base di qualunque tipo di attività industriale, domestica, artigianale. Insomma, di energia non si può fare a meno, se siamo un Paese ambizioso che vuole tornare a crescere. E per chi non vuole crescere? Il discorso non cambia. Anche lì c’è bisogno di energia. E se oggi la crisi mette in ginocchio intere famiglie che non possono pagar le bollette, in futuro c’è ragione di ritenere che senza una nuova e adeguata politica energetica l’Italia sia destinata a vivere un futuro difficile e incerto.
E ancora, ricordate il referendum del 12 e 13 giugno 2011? L’Italia aveva da poco visto in Tv e sui giornali che in Giappone un terremoto aveva distrutto una centrale nucleare che aveva provocato danni enormi alla popolazione, al territorio, alla fauna, alle merci. E quindi, il nucleare è pericoloso. Ma la centrale non esplose. La centrale non aveva avuto un problema tecnico. Il problema fu scatenato da uno tsunami che arrivando dal mare aveva compromesso la stabilità della centrale. E allora, il dibattito è lecito. Per due ragioni. La prima, che l’energia si ragiona su scala nazionale e globale. La seconda, che si pone un problema di sicurezza: di fronte a centrali iper-sicure, dove anche di fronte a uno tsunami non ci fosse alcun problema di stabilità, la scelta di energia nucleare troverebbe il favore di tutti, e l’atomo diventerebbe il fattore meno inquinante. Ma nella tredicesima lezione di liberalismo, della Scuola di liberalismo della Fondazione «Luigi Einaudi», con Mauro Antonetti, ingegnere nucleare, si è voluto porre l’attenzione sul metodo, e non sulle ragioni degli attivisti pro-atomo o degli ambientalisti.
La promessa di Pandora. In inglese si dice Pandora’s promise. È il titolo del docu-film del 2013 del regista indipendente Robert Stone, che con la sua opera filmica evidentemente a favore del nucleare ha voluto porre l’attenzione sulla sostenibilità ambientale. Essere ambientalisti significa essere contro o a favore del nucleare? «L’industria del nucleare è un’industria di morte. È un’industria del cancro. È un’industria delle bombe. Uccide la gente e continuerà a farlo. Come mai il presidente Obama non lo sa, questo? È un uomo intelligente. Ha due bambine a cui vuole bene. Che diavolo crede di fare a sostenere l’industria del nucleare?», dice un’anziana ambientalista preoccupata per il futuro dei suoi figli.
L’impatto ambientale. Nel considerare i fattori di impatto ambientale bisogna tener conto dei confini spaziali e dell’orizzonte temporale. L’accettabilità dell’impatto ambientale non sempre riconduce a paradigmi oggettivi, ma il dato coi valori delle soglie ritenute accettabili contiene un certo grado di discrezionalità. Bisogna dire, inoltre, che l’impatto ambientale non è mai esente da rischi. Si tratta quindi di capire quale sia il «prezzo» da pagare. Ad esempio, nel prediligere la mobilità elettrica è opportuno sottolineare che se quell’energia è stata prodotta fuori dal nucleo urbano ma in stabilimenti ad alto impatto, tanto vale utilizzare auto tradizionali con motore a scoppio. Inoltre, un occhio di riguardo dev’essere dato all’innovazione tecnologica, per cui impianti più efficienti sono in grado di ridurre i rischi.
Nello studio della sostenibilità ambientale, va tenuto in considerazione il ciclo di vita di ciò che è coinvolto nell’attività per evitare di trascurare qualche esternalità che potrebbe far sballare la valutazione di impatto e sostenibilità ambientale. Nell’affrontare il tema dell’ambiente va respinta la acritica adozione di una impostazione «ambientalista» basata sulla idilliaca visione di una natura sempre uguale e in perfetto equilibrio. L’universo, in realtà, non è statico ma è caratterizzato da dinamiche anche violente secondo un «percorso» che conduce ad un disordine ed ad una entropia crescenti. Questo significa che la Terra, nella sua evoluzione storica, ha modificato nel tempo quei valori che hanno segnato un passaggio da forme di vita unicellulare a forme di vita più complesse. L’eccessiva preoccupazione per le cause antropiche dei cambiamenti climatici che, certamente, magari su diverse scale temporali, dipendono da fenomeni non antropici ma cosmici (radiazione solare) e planetari (orientamento dell’asse terrestre) ovvero da eruzioni vulcaniche e da altri eventi naturali spesso è alla base di conclusioni affrettate. Il campo magnetico terrestre, per esempio, devia il vento solare e consente la vita così come la conosciamo. La preoccupazione per l’eccessivo surriscaldamento terrestre e il conseguente scioglimento dei ghiacci non è sempre giustificata. Esistono infatti dei periodi glaciali, per cui temperature molto basse portano inevitabilmente alla formazione di nuovi ghiacciai.
Spesso si fa ricorso alle energie alternative (rinnovabili) come valida alternativa al nucleare. Pensando al fotovoltaico è corretto parlare di impatto zero? Certamente no. Anche il fotovoltaico, come tutte le attività di produzione di energia elettrica ha i suoi contro. Nel caso del fotovoltaico, di tutta evidenza, è rilevante considerare la tecnologia specifica (per tenere conto dei rendimenti di conversione) ed il processo produttivo (è del tutto diverso il caso di una fabbrica alimentata da elettricità prodotta da carbone e con cicli ad alta intensità energetica rispetto al caso in cui l’elettricità sia di origine idroelettrica ed azioni linee di produzione a bassa intensità energetica). Se la produzione di pannelli solari comporta l’utilizzo di sostanze che al termine del ciclo di utilizzo dovranno poi essere smaltite, dunque sia in fase di produzione che in fase di smaltimento occorre capire il prezzo da pagare e quindi se ne vale la pena. Non irrilevante è l’utilizzo di elementi chimici non aggressivi piuttosto che di sostanze tossiche. Per la produzione (e lo smaltimento degli accumulatori) si deve fare i conti con sostanze come il piombo e il vanadio.
Nel trattare la sostenibilità dello sviluppo vanno poi tenuti in considerazione tre fattori fondamentali: la popolazione, che ha continuato a crescere (31,56%) sia pure a tassi minori del passato; le aree più sviluppate (ad esempio la Ue a 27, oggi a 28) mostrano incrementi modesti e minori della media e la Federazione Russa manifesta persino una flessione. I consumi energetici che aumentano (49,3%) più che proporzionalmente rispetto alla popolazione; le aree più avanzate presentano riduzioni nei consumi energetici globali e pro capite (in specie la Germania mostra un -11% e -13% pro capite); d’altra parte la Cina espone incrementi dei consumi del 213% (del 163% pro capite). E il Pil che evidenzia a livello mondiale un incremento più importante di quello dei consumi di energia; la forbice è più accentuata per Paesi come la Cina che mostra nel periodo valori del Pil (2011) incrementati del 700% rispetto al 1990. La popolazione mondiale, che dalla preistoria ad oggi è aumentata in modo esponenziale, è riuscita a sopravvivere grazie alla civilizzazione, e all’organizzazione sociale, tipiche del genere umano. C’è quindi ragione di ritenere, che andando avanti in questo modo, nel 2050 passeremo da 7 a 9 miliardi.
Cosa comporterà l’atteso aumento della popolazione? È atteso, in continuità auspicabile con gli ultimi trent’anni, un incremento del Pil e del Pil pro capite mondiali, sia pur con accelerazioni e rallentamenti (come in occasione della crisi del 2008). Gli stessi indicatori, riferiti ai singoli Paesi, salvo eccezioni, dovrebbero mostrare analoghi andamenti in crescita. La crescita dei consumi energetici sia globali che relativi ai diversi Paesi è considerata molto probabile, ed è considerata con tassi paragonabili a quelli attuali sia pure in presenza di un efficientamento (e quindi con un’intensità energetica minore).
È quindi evidente (di fronte a valori sia pure indicativi che espongono fattori moltiplicativi di 2-3 volte quelli 2011) che è indispensabile l’apporto della ricerca scientifica ed il massiccio ricorso alla innovazione tecnologica per rendere «sostenibile» lo sviluppo e non solo in ottica ambientale ma anche per rendere disponibili risorse sufficienti. L’andamento (crescente) delle emissioni a livello globale nel periodo 1990-2011 dimostra che non è sufficiente (ancor più in prospettiva) l’impegno di alcune «Regioni» (come la Ue) ma che è necessario un quadro normativo internazionale che sia valido a livello globale anche per evitare la «delocalizzazione» dell’impatto ambientale (ad esempio tramite una carbon tax).
Un approccio adeguato richiede una valutazione rigorosa degli effetti reali delle emissioni e l’adozione di tutte le opzioni per rendere disponibile l’energia (rimuovendo veti irrazionali come quello sul nucleare) e per utilizzarla nel modo più efficiente.
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