Rituali di ospitalità: una possibile causa di "diet failure"?

Antropologia e alimentazione

Alcune usanze, come quella di allestire sontuosi banchetti in occasione di particolari festività, digiunare in alcuni periodi dell’anno, offrire cibo all’ospite, astenersi dal mangiare determinati cibi, etc. accomunano gli uomini di diverse epoche e culture, tanto da poter essere considerate archetipi di patrimonio dell’umanità. Financo alcune tendenze alimentari diffusesi recentemente nella nostra società, come il vegetarianesimo e il crudismo, affondano le loro radici in un passato remoto, che si colloca alle origini della civiltà. Oggi intorno all’argomento alimentazione si parla moltissimo, complice in parte la globalizzazione, che ha portato diverse culture alimentari a confrontarsi tra loro. La conseguenza meno positiva è che si è venuta a creare una certa confusione, tra filosofie alimentari in apparente antitesi tra di loro e preoccupanti estremismi da parte di alcuni. Conoscere l’origine storica e culturale dei modelli alimentari che hanno caratterizzato sino ad ora la nostra società e di quelli che oggi si stanno imponendo, ci può aiutare a vivere in modo più sereno e consapevole il nostro rapporto con il cibo.

Anna Silvia Castiglione

Anna Silvia Castiglione
Nata a Genova il 01/06/87. Dopo aver conseguito la maturità classica presso il ginnasio-liceo Andrea D’Oria, viene ammessa alla facoltà di Medicina e Chirurgia di Genova. Contemporaneamente segue il corso di pianoforte principale presso il Conservatorio Nicolò Paganini. Nel 2010 consegue il diploma di pianoforte e due anni dopo la laurea in Medicina e Chirurgia discutendo una tesi immunologica. Rientrata a Genova dopo un tirocinio presso il Royal Free Hospital di Londra, accetta un incarico di diversi mesi come medico sostituto presso uno studio di medicina generale. Successivamente all’attività di medico sostituto affianca quella di medico prelevatore e guardia medica. Nel 2014 entra in contatto con l’AMIK (Associazione Medici Italiani Kousminiani), di cui segue il corso di formazione. Contestualmente frequenta la scuole triennale dell’AMIOT (Associazione Medica Italiana di Omotossicologia), conseguendo nel 2016 il diploma in “Omeopatia, omotossicologia e discipline integrate”. Attualmente svolge attività di guardia medica e docente di primo soccorso. Nel tempo libero canta in un coro e si cimenta in cucina.

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Dic 23

Rituali di ospitalità: una possibile causa di "diet failure"?

Perchè è tanto difficile perdere peso e mantenere il peso raggiunto? È solo questione di disciplina e forza di volontà? Qual è l'atteggiamento degli specialisti di fronte al problema? Quale contributo può venire dall'antropologia? Cosa sono i riti di ospitalità? Cosa comporta sul piano psicologico trasgredire i dettami della dieta?

di Anna Silvia Castiglione

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Secondo i dati raccolti nel 2010 dall'Istututo Superiore di Sanità, in Italia il 32% degli adulti risulta in sovrappeso, mentre l'11 % è obeso. Complessivamente, quindi, più di quattro adulti su dieci (42%) sono in eccesso ponderale. Se da un lato, come afferma un' interessante revew pubblicata sul Journal of Obesity, enfatizzare eccessivamente il problema del peso corporeo potrebbe essere sbagliato (TRACY L. TYLKA ET AL, "The weith-inclusive versus weith- normative approach to health: evaluating the evidence fot prioritizing well-being over weith loss", Journal of Obesity 2014), d'altro canto le preoccupazioni della comunità scientifica appaiono giustificate dal fatto che si tratta di un fenomeno in espansione: dalle interviste dell'indagine Multiscopo dell'Istat emerge, infatti, che nel periodo compreso tra il 2001 ed il 2009 è aumentata sia la percentuale di persone in sovrappeso, sia la percentuale degli obesi. Negli altri stati europei la situazione è ancora peggiore, per non parlare dell'America, che detiene il poco onorevole primato del paese con il maggior numero di obesi al mondo. La magrezza non è necessariamente sinonimo di salute, come giustamente afferma la review americana, tuttavia le persone in sovrappeso in generale godono di condizioni di salute più scadenti, soprattutto per quanto concerne il rapporto con malattie cardiovascolari, del metabolismo e delle articolazioni. Parlando in termini numerici, secondo un'analisi dell'OMS (Organizzazione Mondiale di Sanità) riportata dal sito dell'istituto Superiore di Sanità, sovrappeso e obesità sono, insieme a sedentarietà e cattive abitudini alimentari, responabili dell'86% dei decessi e del 77% della spesa per la salute.

L'opinione pubblica, da sempre attenta a tutto ciò che concerne l'aspetto esteriore, non è rimasta indifferente all'allarme lanciato dalla comunità scientifica. Entrando in una libreria qualunque si ha una misura di quanto il problema è sentito: i libri che parlano di alimentazione occupano interi scaffali. Se, da un lato, è positivo che l'opinione pubblica abbia preso coscienza del problema, d'altro canto dobbiamo constatare che la questione del peso corporeo è diventato una vera ossessione. L'AIDAP (Associazione Italiana Disturbi dell'Alimentazione e del Peso) ha effettuato un sondaggio nella città di Verona: ai passanti di una via del centro cittadino veniva chiesto di rispondere ad alcune domande inerenti la gestione del peso corporeo. Su un campione di 103 persone, 39 maschi e 64 donne, il 44% stava seguendo un regime dimagrante basato sulla dieta e/o sull'attività fisica (Schlagenauf P, "Cosa ne pensa del suo peso? Sondaggio nella città di Verona", AIDAP, http://positivepress.net/positive/aida.nsf, consultato il 31/10/15). Curiosamente il 66% dei soggetti con meno di 30 anni ha espresso il desiderio di perdere peso, ma i giovani realmente in sovrappeso in base al BMI erano pari al 32%. Questo significa che il 43% dei giovani normopeso volevano perdere peso. Ammettendo che il campione preso in esame fornisca una buona rappresentazione della popolazione italiana, possiamo affermare che circa un italiano su due sta seguendo un programma dimagrante. Come si spiega, allora, il fatto che il numero di persone in sovrappeso sia in continuo aumento?

Avere coscienza di un problema è già un passo importante, ma non significa possedere la soluzione. L'opinione pubblica in Occidente è cosciente del problema rappresentato dal dilagare di obesità e sovrappeso, ma una soluzione appare ancora lontana. La persona che desidera perdere peso oggi può scegliere tra centinaia di metodi diversi per farlo. Quasi tutti includono un particolare regime alimentare. A seconda del metodo che si sceglie di seguire, i dettami possono essere molto diversi. Per esempio la dieta "Atkins", così chiamata dal nome del suo inventore, un medico americano morto nel 2003, prevede di eliminare quasi totalmente i carboidrati. La "Pritikin", anche questa chiamata col nome del suo inventore, un ingegnere americano morto nel 1985, tende invece ad eliminare i grassi per privilegiare proprio i carboidrati. La dieta "Scarsdale" si basa sugli stessi concetti della Atkins: più proteine e meno carboidrati per constrastare lo stimolo della fame e diminuire naturalmente l'apporto calorico. La dieta "Montignac" punta l'indice contro i cibi ad alto indice glicemico: ancora una volta il concetto di fondo è diminuire i carboidrati. L'elenco sarebbe ancora lungo, con diete dai nomi decisamente originali: South Beach, dieta dell'astronauta, dieta Hollywood, dieta Beverly Hills, etc.... Quelle maggiormente diffuse in Italia sono la dieta Zona, dieta Dukan, dieta dissociata, cronodieta. La Zona e la Dukan si inserscono nello stesso filone della Atkins, considerata il prototipo della dieta chetogenica, cioè basso consumo di carboidrati e alto consumo di proteine e lipidi. Il nostro organismo è in grado di utilizzare proteine e lipidi a fini energetici quando non sono disponibili carboidrati. Il consumo a fini energetici di proteine e lipidi dà luogo alla formazione di molecole dette chetoni, da cui il termine "dieta chetogenica". La cronodieta si basa sul principio per cui determinati alimenti sono più assimilabili in determinate ore del giorno, per cui, per esempio, un piatto di pasta mangiato di mattina non fa ingrassare come se fosse mangiato di sera. Meno conosciuta è la "dieta a punti". Questa dieta, ideata da Guido Razzoli negli anni '70, assegna un punteggio ad ogni 100 g di alimento. Il punteggio complessivo nella giornata deve esse comreso tra 40 e 60. Insomma, chi vuole dimagrire può scegliere tra un'ampia varietà di metodi per farlo. Ognuno naturalmente presenta dei vantaggi e degli svantaggi, che dovrebbero essere sempre ben ponderati. Non è tuttavia scopo di questo articolo valutare la bontà dei singoli regimi alimentari. Qui si vuole semplicemente richiamare l'attenzione sul gran numero di diete esistenti. Peraltro il termine "dieta" non indica necessariamente una dieta dimagrante, anche se la maggior parte delle persone che segue un definito programma alimentare lo fa allo scopo di perdere peso.

Se esistono così tante diete dimagranti, significa che nessuna è riuscita ad affermarsi a discapito delle altre, e ciò a sua volta significa che nessuna si è mostrata capace di soddisfare le aspettative. Data la sempre maggiore diffusione di sovrappeso e obesità, a fronte di tante proposte per perdere peso, gli esperti di alimentazione iniziano a domandarsi dove sia lo sbaglio. Tutte le diete sopracitate, se seguite in modo rigoroso, portano ad una diminuzione del peso. Possono avere effetti collaterali da minimi ad importanti, ma comunque garantiscono la diminuzione del peso corporeo. Eppure non tutte le persone che intraprendono una dieta mosse dal desiderio di perdere peso riescono nel loro proposito. Se dimagrire è difficile, ancora più difficile è mantenere nel lungo termine il peso conquistato. Una metanalisi di 29 studi americani sull'efficacia di diversi regimi dimagranti, ha dimostrato che dopo cinque anni i pazienti avevano riacquistato il 77% del loro peso iniziale (JW ANDERSON ET AL, "Long term weith-loss mainenance: a meta-analysis of US studies, Am J Clin Nutr 2001, 74: 579-84). Tutti i regimi dimagranti prevedono una fase di mantenimento che deve teoricamente essere seguita per tutta la vita. Pur essendo meno rigida rispetto alle precedenti, questa fase è la più critica, come dimostra l'alta percentuale di abbandono.

Perchè le diete falliscono? La risposta è banale: perchè non vengono seguite in modo rigoroso. Il vero quesito dunque è: perchè è tanto difficile seguire una dieta? È opinione diffusa che le diete più difficili da seguire siano quelle caratterizzate da una eccessiva restrizione calorica. I dati statistici però dimostrano che il maggior tasso di abbandono si verifica durante la fase di mantenimento. Il nostro organismo, che tende naturalmente al manenimento del peso corporeo, reagisce alla restrizione calorica aumentando lo stimolo della fame. Le diete ad elevato apporto proteico, come la celebre dieta Dukan, così chiamata dal nome del suo inventore, un medico francese successivamente radiato dall'ordone dei medici, rappresentano il tentativo di ovviare a questo ostacolo. Grassi e proteine hanno una digestione più lenta rispetto ai carboidrati. Di conseguenza, mangiare cibi ad elevato contenuto proteico/lipidico serve a procastinare il senso di sazietà. E ovvio che un regime alimentare di questo tipo ha precise controindicazioni, soprattutto per quei soggetti che soffrono di ipercolesterolemia o altre alterazioni del metabolismo lipidico, che sono la maggior parte dei soggetti in sovrappeso. Si potrebbe obiettare che gli effetti negativi sono controbilanciati dai benefici derivanti da una importante perdita di peso. D'altronde, non esistono terapie prive di effetti collaterali, e una dieta dimagrante deve essere considerata una terapia. Il punto della questione però non è questo. Se il problema della compliance fosse risolvibile semplicemente controllando lo stimolo della fame, allora Dukan, Atkins e gli altri promotori della dieta al alto contuenuto proteico avrebbbero fatto goal. Invece queste hanno un tasso di abbandono non dissimile dalle altre diete. Evidentemente il problema della compliance è molto più complesso. L'errore di fondo della maggior parte dei regimi dimagranti è considerare il cibo da un punto di vista strettamente fisiologico. Nel nostro modo di rapportarci al cibo, infatti, entrano in gioco fattori psicologici e culturali che non possono essere ignorati. Non basta che una dieta sia equilibrata nell'apporto calorico e nella composizione dei nutrienti. Deve anche tenere conto degli aspetti psicologici e culturali connessi al cibo. Per esempio, molti pazienti affermano che una delle difficoltà maggiori è data dal fatto di rifiutare il cibo quando si è ospiti. Non è una questione di fame o ingordigia, come si potrebbe erroneamente essere indotti a pensare. L'offerta del cibo è parte integrante del rituale di ospitalità, la cui tacita funzione è integrare lo straniero nella comunità ospitante. Questo ed altri rituali di ancestrale memoria sopravvivono nella nostra società sotto forma di norme di buona educazione e non possiamo non tenerne conto quando costruimo una dieta. Il cibo appare come una sorta di catalizzatore positivo, che serve per stringere nuovi legami o rinnoavre legami già esistenti: l' integrazione dell'ospite in una comunità è un processo lungo e complesso; il cibo in un certo senso consente di ridurre questo spazio temporale al tempo di una visita. Anche per gli abitanti di una casa è talvolta necessario rinnovare il legame con la casa stessa e con le altre persone che vi abitano. Si deve interpretare in questo modo il fatto che alcune persone, quando rientrano a casa dopo diverse ore di assenza, hanno "il bisogno di mangiare qualcosa".

Il problema tuttavia non è dato dal fatto di infrangere le regole"una tantum". Il vero problema è il senso di colpa che quasi sempre accompagna la trasgressione. Il paziente che viene meno a precetti della dieta si autocoinvince di essere debole e perde fiducia nella possibilità di dimagrire. Il terapeuta, dal canto suo, non fa nulla per evitare che ciò accada; anzi spesso è egli stesso che, più o meno consapevolmente, rinforza questa idea nel paziente, forse per discolparsi anticipatamente di un eventuale fallimento. E l'inizio di un circolo vizioso, che rende sempre più difficile il conseguimento degli obiettivi. Basta trasgredire una volta perchè tutto appaia perduto. Il senso di colpa per aver mangiato un cioccolatino curiosamente ci porta a mangiare l'intera scatola, perchè, come afferma il dott. Enrico Prosperi, medico specializzato in disturbi dell'alimentazione, "spesso si rimane intrappolati da questa visione dicotomica, dieta o non dieta, regola rigida o trasgressione, forza di volontà o prigrizia mentale"(PROSPERI E. , "Dieta e sensi di colpa", Agoravox, www.agoravox.it/dieta-e-sensi-di-colpa, consultato il 22/12/15)

Obesità e sovrappeso rappresentano fenomeni in espansione, ma nè la medicina ufficiale nè le varie medicine complementari hanno saputo fino ad ora fornire una risposta a questo grave problema. Evidentemente il rapporto uomo-cibo è più complesso di quello che abbiamo sempre creduto.

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