L’Egitto, questo sconosciuto. Potrebbe essere presentato così il paese del faraoni, non tanto per il poco che si conosce della storia dinastica, ma per le drammatiche lacune che accompagnano l’informazione sulla sua realtà contemporanea, sia politica che sociale che religiosa. Marco Alloni si propone con il suo blog “J’accuse dall’Egitto” di evidenziare aspetti di realtà che i media generalmente travisano, mistificano o eludono, finendo per offrirci un’immagine dell’Egitto profondamente lontana dal vero. Ma non saranno risparmiati rilievi e critiche verso il giornalismo nelle sue forme tradizionali, a partire dal giornalismo di cronaca, contro il quale Alloni è in procinto di pubblicare un pamhplet al fulmicotone. Particolare rilevanza sarà data nel blog alla cultura, alla religione e alle questioni politiche meno trattate dai media tradizionali”.
Marco Alloni
Scrittore e giornalista, classe 1967, vive al Cairo da 16 anni. Ha pubblicato il romanzo La luna nella Senna (1990), il saggio Lettere sull’ambizione (2005), la cronaca sulla rivolta egiziana Ho vissuto la rivoluzione (2011) e il romanzo Shaitan (2013), primo volume della Trilogia di Dio e del suo contrario che comprende Aquì estamos e Il libraio di Addis Abeba (di prossima uscita). Dirige la collana “Dialoghi” per Aliberti editore, presso il quale sono comparse le sue conversazioni con Marco Travaglio, Margherita Hack, Claudio Magris, Antonio Tabucchi, Furio Colombo, Gian Carlo Caselli, Corrado Augias e Umberto Galimberti. Collabora con Reteluna.it, MicroMega, il Fatto Quotidiano, il Corriere del Ticino, la Nazione Indiana, Libertates e con la Radio Televisione della Svizzera Italiana. È sposato con la giornalista del canale egiziano “Al Tahrir” Halima Khattab e ha due figli.
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Mar 2
di Marco Alloni
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Nel 2012 è stato nominato dalla rivista Time tra i cento uomini più influenti dell’anno. Il suo programma Al Barnameg (“Il Programma”) ha raggiunto i 40 milioni di spettatori on air e i 120 milioni di visualizzazioni su YouTube. È alle soglie dei quarant’anni, ha esercitato la professione di chirurgo ed è oggi il comico satirico più seguito in Medioriente. La sua fama ha oltrepassato l’Oceano e per ben due volte è stato ospite del celebre The Daily Show del suo omologo americano Jon Steward. Si è tentato di mettergli in bavaglio, di bloccarlo, impedire la trasmissione del suo Al Barnameg. Ma lui è ancora in pista, e il 7 febbraio di quest’anno, dopo aver lavorato per le tv egiziane OnTv e Cbc, ha fatto il suo rientro sulla piattaforma finanziata da capitali sauditi Mbc.
Stiamo parlando di Bassem Youssef, l’uomo di satira più famoso nel mondo arabo. L’uomo che ha saputo, con il suo umorismo sferzante, la sua incontenibile irridenza, il suo coraggio e la sua indomabile vis comica smascherare la falsità dei media egiziani e mettere in ridicolo il potere qualunque esso sia. L’uomo che in soli due anni si è fatto l’interprete più sottile e intelligente delle istanze rivoluzionarie e delle rivendicazioni democratiche del suo popolo. Giacché un fatto è certo: senza la perspicacia della satira nessun paese può ritenersi veramente democratico. E Bassem Youssef ha posto le basi culturali – come nessuno prima di lui – per un mondo arabo in grado di dotarsi di quel contropotere che è la libertà di critica ed espressione: cioè dell’unica arma a disposizione dei popoli per contrastare gli abusi di questo o quel governo.
Una carriera cominciata nel locale-lavanderia della sua abitazione, con un budget di 100 dollari, un tavolo, una sedia e una videocamera. E proseguita poi, dopo lo strepitoso successo riscontrato online da quel primo programma – quasi 5 milioni di visualizzazioni del suo primo The B+ Show – con i trionfi presso il canale satellitare OnTv, del miliardario Naguib Sawiris, e quelli successivi trasmessi da Cbc, entrambi realizzati nel maxi-teatro cairota Radio, primo caso di uno show siffatto in terra mediorientale.
Una carriera che naturalmente, come ormai tutti sanno qui in Egitto, ha dovuto presto scontrarsi con rimostranze, denunce e condanne. Una delle quali gli è costata una cauzione di 15.000 pounds egiziani (l’equivalente di 2.500 franchi svizzeri) e persecuzioni mediatiche e politiche a non finire.
Tuttavia nemmeno queste aggressioni sono riuscite – né ancora riescono – a far tacere il comico egiziano. Malgrado i pretesti per aggirare leggi e norme che stipulano – soprattutto nella nuova Costituzione, da poco varata – una assoluta libertà di espressione, la sua marcia sembra inarrestabile. Lo è stata sotto la dirigenza Morsi, i cui sostenitori si sono spinti persino a denunciare Bassem Youssef per aver creato sedizione e insicurezza nel paese, aver insultato l’Islam e lo stesso ex raìs ed essersi concesso al turpiloquio. E lo è stata, con l’avvento del nuovo uomo forte al potere, il maresciallo Abdel Fattah El-Sisi, quando il comico cairota non è retrocesso nemmeno di fronte alla “sisi-mania” e al cosiddetto ritorno dei militari.
Al contrario, né in un caso né nell’altro Bassem Youssef ha ceduto alle ingiunzioni e ai raggiri per arginarlo: ha proseguito nella sua strada ed è ancora saldamente in sella.
Le ragioni di tanto successo e di tanta audacia intellettuale sono nell’essere Bassem Youssef, in primo luogo, un comico di razza, perfetto nei tempi, acuto nelle battute e spietato nella messa a nudo del “re”. Poi, soprattutto, nell’impostazione del suo Al Barnameg, che in un sapiente montaggio di estratti televisivi ha saputo, in questi anni, portare allo scoperto falsità, volgarità, mistificazioni, sciocche idolatrie: stupidità e minacce di questo o quel rappresentante del potere, fosse questo islamista o militare. Un merito che gli va ascritto come la più straordinaria opera educativa – un perentorio “Aprite gli occhi!” – del popolo egiziano. E come, infine, la più incisiva dimostrazione del potere dell’intelligenza e della satira come contraltare al potere.
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