I Disturbi mentali nell'ambiente carcerario e il rapporto tra Disturbo Mentale, Responsabilità e Diritto

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“Destinazione Cosmo” è un blog che si occupa di argomenti legati alla Criminologia, alle Scienze Forensi ed alla Divulgazione Scientifica. Per ciò che concerne la Criminologia e le Scienze Forensi, troverete articoli e saggi che spaziano dai Serial Killer agli Omicidi Seriali; dal Satanismo alle tecniche di adescamento dei giovani; dal bullismo nelle scuole alla pedofilia; dalla “Sindrome del Bambino Maltrattato” alla violenza contro le donne; dai “Difetti della Giurisprudenza” al “Della Pubblica Felicità” di L. A. Muratori. E tanto altro.
Per quanto concerne, invece, la Divulgazione Scientifica, troverete articoli e saggi dedicati, soprattutto, al mondo dell’astronomia e delle scienze ad essa collegate. Tutto il materiale sarà correlato da una moltitudine di meravigliose foto dell’Universo scattate dalla Terra e dallo spazio.
Perché? Perché «Il mondo delle scienze fisiche ed il mondo delle scienze della vita sono separati ancor oggi da una terra di nessuno inesplorata», come disse il fisico italiano Mario Agèno. Ed è arrivato il momento di iniziare l’esplorazione.
Questi e tanti altri gli argomenti trattati in questo blog che si presenta con un carattere di novità sia culturale che didattica: la verifica scientifica.

Danila Zappalà

Danila Zappalà
Laureata in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Urbino, ha frequentato un Master di specializzazione di 2° livello in "Scienze Criminologico - Forensi" presso l’Università "La Sapienza" di Roma.
Conseguito il Diploma di Master con Lode e Pubblicazione della Tesi, ha fondato nel 2007 a Siracusa il Centro Studi Scienze Criminali di cui è attualmente Presidente. Tiene Corsi di Criminologia e Psicopatologia Forense, Conferenze e Seminari per le Forze dell’Ordine e per tutte le altre categorie professionali.
Da sempre appassionata di Astronomia è attualmente una Divulgatrice Scientifica che collabora con varie testate giornalistiche scrivendo per Rubriche di Criminologia e Scienze. Tiene Corsi di Astronomia, Conferenze e Seminari di Scienze ed è autrice di numerosi saggi ed articoli di Criminologia, Scienze Forensi e Divulgazione Scientifica.
Con la BookSprint Edizioni ha pubblicato nel 2013 un libro dal titolo “La Formazione degli Operatori Territoriali nella Prevenzione del Crimine” in vendita nelle migliori librerie d’Italia e, con la stessa Casa Editrice, sono in corso di pubblicazione “Crime Scene. Manuale di Criminologia e Scienze Forensi ” e “Astronomia Bambini. Lezioni di astronomia per alunni di scuola elementare e media”.

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Mar 22

I Disturbi mentali nell'ambiente carcerario e il rapporto tra Disturbo Mentale, Responsabilità e Diritto

L'ambiente carcerario è davvero, da un punto di vista psicologico, così devastante da giustificare i numerosi suicidi avvenuti da qualche anno a questa parte? Vediamolo insieme

di Danila Zappalà

carceri, ambiente carcerario, reclusione, condanna all'ergastolo

I problemi di patologia mentale sono assai frequenti all’interno delle istituzioni carcerarie italiane. L’essere rinchiusi in carcere, infatti, e il conseguente vivere in un ambiente carcerario, rappresenta fattore di rischio per i soggetti psicologicamente più deboli in quanto le pressioni esercitate dal prolungato isolamento dalla società, il rigoroso regime di privazioni imposto, la lontananza dagli affetti familiari, il sovraffollamento delle celle e la generale condizione di afflittività che la reclusione comporta, possono agire da elementi patologici scatenanti (nel caso in cui sia già latente un disturbo comportamentale o della personalità, nonché una marcata tendenza alla depressione) che possono indurre il soggetto a comportamenti estremi quali il suicidio.

Recenti studi compiuti nelle nostre Università hanno evidenziato che il carico di sofferenza legato alla reclusione è più marcato nei detenuti in attesa di giudizio rispetto a tutti gli altri, forse per il maggiore carico di ansietà che comporta la certezza di una condanna o l’incertezza legata al possibile esito negativo del giudizio.

Ovviamente, non tutti i detenuti reagiscono nella stessa maniera. Certo è, però, che la detenzione, quale esperienza fortemente traumatizzante, può dar luogo a quelle che in criminologia vengono definite “psicosi carcerarie” che sono delle manifestazioni patologico - comportamentali specificatamente legate allo stato di detenzione e che, in quanto tali, sono osservabili soltanto in carcere. La prolungata detenzione, associata ad una individuale predisposizione, possono anche dar luogo a varie forme di “Psicosi deliranti” associate a convincimenti persecutori accompagnati a volte dai deliri di innocenza. In questi casi le reazioni psicologiche, di per sé abnormi, sono effettivamente paragonabili a quelle di chi, proclamandosi innocente, si trovi, vittima di un errore giudiziario, ingiustamente condannato.

Con il nome di “sindrome di prisonizzazione” viene indicata, per esempio, una patologia frequentemente riscontrata nei casi di lunga detenzione e legata alle condizioni estremamente statiche, monotone e prive di stimoli che caratterizzano il regime carcerario. Routine quotidiana, isolamento sociale assoluto, carenza di attività, di informazioni e di interessi, possono, infatti, condurre i carcerati ad un impoverimento intellettivo, psicologico ed emotivo. Tali individui appaiono completamente passivi verso il mondo carcerario che li circonda e perdono ogni capacità reattiva perfino nei confronti degli abusi e dei soprusi che subiscono ad opera degli altri detenuti, cui non riescono a ribellarsi.

Nei soggetti affetti da questa sindrome possono anche manifestarsi, nei casi più gravi, i tratti caratteristici delle condizioni di tipo demenziale. Per fortuna, le modifiche apportate al nostro attuale regime carcerario, caratterizzate dalla riduzione delle deprivazioni e dall’aumento delle attività manuali e ludico/culturali con cui far impegnare il trascorrere del tempo ai detenuti, hanno ridotto di parecchio il manifestarsi di queste forme patologiche.

Caratteristico dell’ambiente carcerario, poi, è anche la cosiddetta “sindrome di Ganser” che si manifesta, per lo più, nei soggetti non ancora condannati e, dunque, sottoposti ancora a procedimento giudiziario. In questa fase l’imputato ha tutto l’interesse a manifestare patologie che gli guadagnino uno sconto di pena per infermità mentale ed è da questo punto di partenza che si sviluppa questa sindrome. Si tratta, infatti, di manifestazioni di tipo “isterico” nelle quali il limite con la cosiddetta “simulazione” è spesso assai arduo da individuare. La vera “sindrome di Ganser” si manifesta, però, quando l’imputato, sforzandosi inizialmente di fare “il matto” per ottenere i benefici di legge, mette in moto un meccanismo psicologico che, sfuggendo al suo controllo, lo induce a comportarsi in ogni occasione (anche quando non ce n’è bisogno) da malato di mente (affermando, per esempio, di non ricordare le sue generalità, di non sapere dove si trova, di non saper effettuare i più elementari calcoli matematici, di pensare che è notte quando invece brilla il Sole in cielo, e così via).

Va anche sottolineato che non tutti i criminali devono ritenersi individui mentalmente disturbati; il grossolano equivoco secondo cui i criminali sono soggetti affetti da una qualche anomalia psichica deve, infatti, essere assolutamente sfatato. Secondo una prospettiva tipicamente criminologica, comunque, il problema più importante da affrontare è quello relativo alla responsabilità penale che si ritiene doversi (o meno) attribuire al malato di mente che commette un reato, considerato che da un punto di vista statistico molte ricerche hanno evidenziato che non esiste una correlazione diretta tra il compimento di un crimine e l’essere affetti da una patologia mentale. La questione è stata affrontata dalle varie scuole di pensiero secondo tre indirizzi principali:

1) Secondo il “metodo puramente psicopatologico” vengono considerati non punibili, ai sensi di legge, soltanto i malati affetti dalle patologie mentali specificatamente indicate dai codici penali. Secondo questo criterio è dunque sufficiente che la diagnosi psichiatrica indichi una delle patologie elencate nel Codice per escludere la responsabilità penale.

2) Secondo il “metodo esclusivamente normativo”, per non essere considerati penalmente responsabili è, invece, sufficiente che, al momento del fatto, l’autore di reato fosse incapace di intendere e di volere, prescindendo dall’esistenza di una diagnosi clinica di infermità mentale. Da ciò deriva che qualunque turbamento psichico, anche momentaneo e non configurabile come patologia psichiatrica cronicizzata, ma che abbia comunque menomato la libera autodeterminazione dell’individuo, possa escludere o attenuare la responsabilità penale.

3) Secondo, infine, il “metodo psicopatologico – normativo”, seguito per altro dalla maggior parte dei paesi europei, compreso il nostro, occorre accertare giudiziariamente, di volta in volta e prima di ogni altra cosa, l’eventuale esistenza di un qualsiasi disturbo psichico che consenta di valutare l’incidenza dello stesso nella capacità di intendere e di volere dell’autore di reato durante il compimento dell’azione criminosa. In questo caso l’accertamento dell’infermità di mente diventa il presupposto per la pronuncia di irresponsabilità penale.

Il punto 3) sopra indicato, come già anticipato, è quello adottato dal nostro Codice Penale il cui Art. 88 (Vizio totale di mente) recita: “Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità di intendere e di volere” e il cui Art. 89 (Vizio parziale di mente) recita: “Chi, nel momento in cui ha commesso il fatto era, per infermità, in tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità di intendere e di volere, risponde del reato commesso; ma la pena è diminuita”.

In questi articoli, dunque, il nostro Codice vigente chiarisce che l’unica condizione idonea ad interferire sulla capacità di intendere e di volere è l’infermità mentale. Ne consegue la aprioristica “presunzione” di imputabilità subordinata all’accertamento giudiziario dell’esistenza di una infermità totale o parziale di mente. Non vi sono più, dunque, rispetto al passato, meccanismi giudiziari che leghino automaticamente una diagnosi di infermità mentale ad una valutazione di incapacità di intendere e di volere. In certi casi, può oggi addirittura ammettersi la piena imputabilità penale di un individuo anche in presenza di significative patologie mentali se tali patologie non siano tali da inficiare la capacità di intendere e di volere dell’autore di reato.

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