Questo blog vuole essere un punto d'incontro per gli operatori del settore della salute mentale, o ancora per i non addetti ai lavori che vogliano un consiglio di tipo psicologico, o che semplicemente vogliano condividere esperienze ed emozioni. Per ricordare e ricordarci che mente e corpo sono indivisibili e ci guidano nelle scelte della nostra vita quotidiana.
Marilena Giammarresi
Psicologa dell'indirizzo clinico e di comunità, è laureata a Palermo nel 2006, iscritta all'Ordine degli Psicologi della regione Sicilia. Ha svolto attività di tirocinio curriculare presso una comunità di recupero per tossicodipendenti e successivamente presso la Neuropsichiatria infantile del comune di Bagheria (Pa). È stata per tre anni psicologa volontaria presso l'Ospedale civico "G. Di Cristina e Benfratelli" di Palermo. Ha lavorato presso il Servizio 114 Emergenza Infanzia, linea ministeriale del Telefono Azzurro. Ha frequentato un corso per operatore di training autogeno e ancora un corso per la somministrazione del test di Rorchach. Ha collaborato con centri didattici, come formatrice creando seminari residenziali e online. Ha lavorato con bambini disagiati e affetti da adhd. Attualmente svolge attività di stimolazione cognitiva per anziani presso una RSA.
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Giu 22
di Dott.ssa Marilena Giammarresi
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Nei paesi occidentali l’aumento dell’aspettativa di vita e la notevole riduzione della natalità stanno portando inevitabilmente ad un aumento della popolazione anziana. Tra le patologie legate all’invecchiamento, sicuramente la demenza di Alzheimer occupa un posto di grande rilievo. Nel mondo circa 25.000 persone ne sono affette. Quando parliamo di demenza, ci riferiamo a un termine generico che descrive un problema di salute, il cui organo principale è il cervello, che in forma progressiva provoca la diminuzione complessiva delle funzioni cognitive e disabilita funzionalmente la persona. La malattia ha solitamente un inizio subdolo, le persone cominciano a dimenticare alcune cose, per arrivare al punto in cui non riescono più a riconoscere nemmeno i familiari e hanno bisogno di aiuto per la attività quotidiane più semplici. La malattia di Alzheimer passa per differenti tappe, caratterizzate ognuna da un progressivo peggioramento della sintomatologia cognitiva, funzionale, conduttiva e della mobilità. Il processo della malattia si divide in tre stadi: uno, iniziale, con sintomi leggeri o lievi, nel quale la persona mantiene la sua autonomia; uno stadio intermedio con sintomi moderatamente gravi, con dipendenza da un caregiver per la realizzazione di attività quotidiane e di routine, e un terzo stadio già grave, dove la perdita della funzionalità determina una totale dipendenza. Il decorso della malattia è lento e i pazienti possono vivere sino a 8-10 anni dopo l’insorgenza della malattia. Nel corso della malattia i deficit cognitivi si acuiscono e possono portare il paziente a gravi perdite di memoria, a porre più volte le stesse domande, a perdersi in luoghi familiari, all’incapacità di seguire delle indicazioni precise, ad avere disorientamenti sul tempo, sulle persone e sui luoghi, ma anche a trascurare la propria sicurezza personale, l’igiene e la nutrizione. I disturbi cognitivi possono, tuttavia, essere presenti anche anni prima che venga formulata una diagnosi di demenza di Alzheimer. Ancora oggi l’unico modo per poter fare una diagnosi certa di demenza di Alzheimer è attraverso l’identificazione delle placche amiloidi nel tessuto cerebrale, possibile solo con l’autopsia dopo la morte del paziente. Durante il decorso della malattia si può fare solo una diagnosi di Alzheimer ‘possibile’ o ‘probabile’. Per questo i medici si avvalgono di diversi test:
· esami clinici, come quello del sangue, delle urine o del liquido spinale;
· test neuropsicologici per misurare la memoria, la capacità di risolvere problemi, il grado di attenzione, la capacità di contare e di dialogare;
· Tac cerebrali per identificare ogni possibile segno di anormalità;
· Questi esami permettono al medico di escludere altre possibili cause che portano a sintomi analoghi, come problemi di tiroide, reazioni avverse a farmaci, depressione, tumori cerebrali, ma anche malattie dei vasi sanguigni cerebrali.
La progressione della malattia determina in fase avanzata una disabilità grave con considerevole impatto di tipo economico e sociale: oneri sulla vita familiare, perdita di reddito ed ore dedicate all’assistenza sono tra le conseguenze più frequenti che i caregiver di un paziente Alzheimer devono sopportare. Infatti il peso maggiore, fisico ed emotivo, della malattia di Alzheimer ricade sulle famiglie e, in particolare sulla persona che vive a più stretto contatto con il malato. L’adattamento del caregiver a questa condizione va pensato e pianificato, le risorse pratiche ed emotive vanno ricercate e nutrite. I sentimenti e le difficoltà vanno conosciuti e condivisi con altri. È importante che esistano strutture e professionalità all’esterno, a cui la famiglia possa rivolgersi per essere aiutata a superare le difficoltà. Si è impotenti di fronte ad una malattia che non è stata ancora riconosciuta come piaga sociale, nonostante siano ben noti i numeri dei malati di Alzheimer in costante aumento nel mondo in generale, ed in Italia in particolare. Si parla tanto di importanza della terza età, di quanto siano migliorate le condizioni di vita; quello però di cui non si parla è l'ignoranza, la mancanza di notizie, di informazioni, di legislazioni mancanti che dovrebbero aiutare in primis la famiglia, che è lo strumento principale che permette al malato di Alzheimer di continuare a mantenere un livello "accettabile" di vita quotidiana. Spesso l'affetto e l'amore non sono sempre sufficienti al malato di Alzheimer a lenire la condizioni di vita che lo costringono a dipendere 24 ore su 24 dagli altri.
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