77° edizione della fiera del levante
Il governatore pugliese e leader di Sel lancia lo stop: «Basta sunbordinare la ricchezza della vita alla vita della ricchezza»
BARI | «Sia pure da oppositore del tuo governo, io apprezzo sinceramente il tuo sforzo di investire su quel capitale di fiducia che occorre preservare e consolidare per dare una prospettiva all'Italia. E poiché credo di capire la gravosità e l'intensità morale del tuo impegno e del tuo compito, vorrei dirti non solo che ascolterò con grande rispetto e attenzione le tue parole ma che, nel rappresentare la Puglia, sarò sempre fedele al dovere di leale collaborazione con il tuo governo». Lo ha detto Nichi Vendola, rivolgendosi al premier Letta, nel corso del suo intervento di apertura della 77 edizione della fiera del Levante.
LA CRISI È ANCORA SULLE NOSTRE SPALLE | «Certo - ha continuato Vendola - l’Italia ma anche l’Europa sono in grande affanno. Si fa fatica a scorgere il punto di luce che segna la fine del tunnel, la fuoriuscita dalla crisi, un nuovo inizio per l’economia e una nuova speranza per le giovani generazioni. La recessione non è alle nostre spalle, ma è tutta ancora sulle nostre spalle. La produzione industriale continua a essere strozzata, e si combatte territorio per territorio, a difesa di ciò che resta, ma senza che nell’ultimo ventennio si sia messa in campo una visione organica di ciò che l’Italia vuol fare, di ciò che vuole essere nel mondo».
IL PIANO INCLINATO DEL NON-LAVORO | «Il non-lavoro è il piano inclinato su cui scivolano nel vuoto le competenze, i talenti, i bisogni di futuro, mentre nel nostro asfittico mercato del lavoro i contratti di precarietà superano percentualmente i contratti a tempo indeterminato. Nel contesto di un sistematico attacco al Welfare, precarietà e povertà si impastano come l’acqua con la farina, generando un sentimento di inquietudine collettiva, segnando nevroticamente la psicologia del corpo sociale, scavando trincee di disagio nelle città e facendo rimbalzare anche con violenza le schegge di mille identità che si schiantano sul muro della paura e dell’angoscia».
LA POVERTÀ MINA LA COESIONE SOCIALE | «E se si crede di rispondere all’esplosione anche rabbiosa di quel dolore sociale, che è smarrimento e persino follia individuale, con esercizi di contenimento e di controllo militare, davvero ci si illude. La povertà è il grembo in cui si generano multiformi e devastanti insicurezze. La povertà mina la coesione e la tenuta democratica, soprattutto quando trancia di netto il paradigma novecentesco del progresso e dell’emancipazione, quando manda in blocco gli ascensori sociali, quando è impoverimento di massa, quando trascina nel gorgo i corpi intermedi della società, quando appunto diviene rinsecchimento delle basi produttive della nazione, quando registra lo smottamento di pezzi crescenti di quella piccola borghesia d’impresa che muore perché non ha ossigeno, perché non ha accesso al credito, perché non incassa il dovuto dalle pubbliche amministrazioni. E in questi giorni non trovi imprenditore che non racconti di come si stia ora ulteriormente restringendo l’offerta del sistema bancario».
SCUOLA E UNIVERSITÀ AL COLLASSO | «La scuola e l’università sono al collasso e chiedono non cure palliative ma interventi radicali di riqualificazione e di rilancio: giudico positivo il primo avvio di una inversione di tendenza, dopo anni di tagli ragionieristici quanto sconsiderati agli apparati della formazione. Ma occorre un investimento di lungo periodo e di dimensioni rilevanti sull’educazione perché lo sviluppo anche economico della nostra società ha bisogno di nutrirsi di cultura, di culture, di socializzazione delle competenze scientifiche, anche per combattere quella radice di ogni fondamentalismo che consiste nell’idea che la complessità sia una invenzione del maligno e che basta un gesto di magia, o un esorcismo, o un urlo demagogico, per cambiare il mondo. La condizione fisica della nostra penisola, con il suo dissesto idro-geologico e le sue mille fragilità ambientali, dovrebbe essere il baricentro del dibattito politico e programmatico. Le sfide della modernità dovrebbero attrarre, sia pure nel vivo della dialettica politica e sociale, tutte le nostre energie. Ma ho l’impressione che l’agenda della vita pubblica sia ancora piuttosto distante dall’agenda della realtà».
RIFONDARE LA RELAZIONE TRA ETICA ED ECONOMIA | «La verità è che la crisi non è solo questione di spread. Qui siamo ad un passaggio che è insieme finanziario, economico, sociale, politico, culturale e persino antropologico. Le vicende giudiziarie che stanno coinvolgendo i più importanti gruppi imprenditoriali, le più importanti famiglie che operano in tutti i settori fondamentali della nostra economia e della nostra finanza, chiedono a tutti un supplemento di riflessione sull’urgenza di rifondare una relazione cogente tra etica ed economia e sulla necessità di restituire allo Stato un ruolo di orientamento delle politiche industriali, affinché la sfera pubblica non sia un sorta di bancomat per il privato ma il luogo in cui si definiscono l’orizzonte strategico, gli obiettivi ma anche i vincoli dello sviluppo: e cioè le regole che consentono di non truccare il gioco della concorrenza e di non drogare il mercato».
LA SPINOSA VICENDA DEL’ILVA | «Stiamo alla vicenda più spinosa e sia consentito a me di dire senza ipocrisie ciò che penso. La democrazia è il tema che va affrontato, quando il ciclope della siderurgia sottrae illecitamente ricchezza, occulta nella segretezza il comando di fabbrica, rinvia i conti con la vita e con la morte di una comunità ostaggio dei veleni e delle menzogne: se nel corso del tempo si accettano i reparti-confino per gli operai riottosi ad una certa disciplina, poi diventa quasi normale ribellarsi alle centraline che raccontano le performances delle emissioni dal camino E 312. Ilva è un vero crocevia in cui precipita per intero una lunga storia italiana di omertà e subalternità culturale, Ilva non parla un dialetto ionico ma la stessa lingua nazionale di Bagnoli o di Porto Margera o di Priolo. Sembra banale dirlo ma non lo è: la diossina non è un destino, come non lo è l’amianto. Voglio dirlo con deliberata ingenuità».
inquinamento non è sinonimo di crescita | «É la scelta di subordinare la ricchezza della vita alla vita della ricchezza. Inquinamento non è sinonimo di crescita, direi il contrario: è sinonimo di perdita, di spoliazione, di morte. La si smetta con le repliche di finto buon senso o con i ricatti occupazionali. E se Ilva fa la serrata proprietaria, il Governo risponda ampliando il sacrosanto processo di commissariamento e di estromissione di chi si è appalesato in tutta la propria inaffidabilità. Lo diciamo con la determinazione di chi ha sempre considerato una sconfitta e un tragico errore l’idea di chiudere i battenti della grande fabbrica e si è battuto perché la sfida vera fosse quella dell’investimento per l’ambientalizzazione».
LA CULTURA DEL LIMITE | «Il principio di precauzione e la cultura del limite devono normare e disciplinare i nostri edifici sociali. Qui c’è il salto nel futuro, altrimenti sarà il salto nel buio. La coscienza collettiva ha preso le distanze dalle superstizioni sviluppiste e ci chiede a tutto campo un’opera – uso un termine religioso – di conversione ecologica dell’economia. Questo è tanto più vero al Sud, dove la bellezza non è una cartolina ma il dovere di preservare il territorio e il paesaggio, di fermare la speculazione e la cementificazione selvaggia, di ripensare l’edilizia come economia della qualità urbana, della riqualificazione delle periferie, in una cornice di salvaguardia dei valori d’uso della terra, delle coste, dei corsi d’acqua, dei boschi, delle montagne».
LA DIFESA DEL SUD | «Signor Presidente, caro Enrico, noi cercheremo di fare il possibile e l’impossibile per difendere questa terra, il nostro Sud, la civiltà del mare che ci accoglie, le promesse del continente che abbiamo appena cominciato a costruire».
Sabato 14 settembre 2013