ARTE E INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Intelligenza Artificiale: bene o male dell'Arte?

Questo articolo è l'nizio di un doveroso chiarimento su un tema molto dibattuto oggi: la sostituzione, surroga, supporto di attività creativa umana con altrettanta automatica

di Sergio Bevilacqua

The False Mirror, René Magritte, 1928
The False Mirror, René Magritte, 1928

Affronto qui un doveroso chiarimento su un tema molto dibattuto oggi, quello della sostituzione, surroga, supporto di attività creativa umana con altrettanta automatica. Ciò è sicuramente opportuno per quanto sta accadendo nell’umanità col diffondersi e approfondirsi degli strumenti digitali (prossimamente anche ternari e oltre).

L’ipermediatizzazione (fusione tra world wide web e telefonia cellulare) ha scatenato progressivamente da non più di qualche lustro un’enorme rivoluzione che ha investito ogni manifestazione umana. Si è ingigantita la dimensione pratica di quell’antico concetto di archivio e ricerca che possiamo oggi riconoscere nella cosiddetta “infosfera”. La digitalizzazione di dati, delle informazioni e dei processi elaborativi e costruttivi dell'infosfera ha cambiato la natura della memoria, spostandola da risorsa organizzata e diretta dall'Uomo a strumento con capacità sempre più autonoma di organizzazione e di scelta.

La forma di intelligenza che caratterizza l'infosfera è chiamata “Intelligenza Artificiale”, in lingua globale “Artificial Intelligence”, A.I.come acronimo o, ormai, anche solo AI. Così, l’infosfera è diventata una vera interlocutrice dell’altra forma di intelligenza che la ha creata, l’intelligenza umana. Dunque, accanto al fenomeno nuovo e aggiuntivo di una immane esplosione di valore e servizio all’umanità di archivi ed elaborazione dati e informazioni grazie alle tecnologie elettroniche, l’infosfera si presenta anche quindi come un interlocutore intelligente. Ma come, e fino a che punto? Questo testo, primo di una serie sul tema, si propone, insieme ai successivi, di illustrare origine, attualità e destino di questa nuova forma d’intelligenza che chiamiamo artificiale, osservandone gli effetti sul campo, e su quello che per eccellenza si presenta come estremo dell’umano nell’era del desiderio: il campo dell’arte.

Occorre prima di tutto tenere ben presente il tema dell’antropomorfismo, cioè della caratteristica strettamente di specie biologica della conoscenza possibile all'umanità. Ecco che i risultati conoscitivi, cui ogni trattazione, come questa, ambisce, vanno considerati nei limiti e capacità di scoperta (euristica) tipiche della specie umana. Pur lasciando aperti numerosi ambiti filosofici di riflessione, il lavoro di identificazione di nuovi concetti figli dell’uso delle intelligenze disponibili (teoriche e pratiche sperimentali o cliniche) e di qualità dell'approccio scientifico deve ovviamente includere la miglior conoscenza di dati e informazioni disponibili.

Operiamo dunque nei limiti della capacità di conoscere dell’uomo, che sicuramente avviene per sistemi , un primo e fondamentale antropomorfismo. Possiamo avere cauta fiducia di ciò, in particolare grazie ai risultati del metodo sperimentale nell’ultimo mezzo millennio, sia sui sistemi “chiusi” (ambito delle cosiddette scienze esatte) che delle sue applicazioni (clinica sistemica) da un secolo sui sistemi apertii,  propri del’ambito delle cosiddette scienze umane, e in particolare delle scienze sociali, fino ai più aperti in assoluto, quelli dell'Arte.

Fatta questa doverosa premessa, possiamo calarci nel tema, antropologico, dell’Intelligenza Artificiale, considerandola in extremis nella prospettiva euristica deill'Arte, su cui questo prodotto dell’intelligenza umana che ne è l’automazione, l'AI, sembra avere meno da invadere. Infatti, pur con tutte le capacità elaborative e combinatorie, l’intuizione e produzione artistica è un atto massimamente sintetico e si traduce in fatto, opera, tramite passaggi operativi progressivi che includono continuamente piena libertà di espressione. ù

Essi si svolgono passando da una fase

1. individuale (la costruzione dell’opera fisica),

a una fase

2. social-societaria (la sua comunicazione nel sistema dell’arte)

fino al suo esito finale,

3. la catarsi del fruitore.

L’arte si verifica soltanto in presenza di questo risultato finale, che però lascia aperte (di sistema aperto, e massimamente, si tratta…) un ciclo breve, la sola fase 1. , ove l’arte ha un senso autonomo, anche allucinato o addirittura delirante. Allucinazione e delirio, eventi invalidanti per qualsiasi sapere umano, non lo sono per il sapere (Lacan parla di saisir, cogliere) estetico: l’attività umana artistica (e sua forma di conoscenza…) si basa sulla libertà assoluta di decidere elementi e connessioni nell'opera e dell’opera, fino all’assurdo e all’autodistruzione, all’assenza di ogni limite. Se non ci fosse l’opera, che non sfugge mai alla rete dell’umano, si potrebbe quasi sostenere che l’arte sia fuori dall’ambito sistemico, quello che poi si automatizza. Ma, dal dadaismo in poi, sappiamo che l’obiezione logica dell'arte è esattamente tale, cioè può avvenire soltanto in presenza di logica, per distruggerla e obiettare: così il ferro da stiro chiodato di Man Ray, l’orinatoio di Duchamp, ce ci n’est pas un pipe di Magritte, eccetera, opere che non esisterebbero se non in presenza della loro sostanza funzionale sistemica pura.

Lo stesso principio di destrutturazione informa anche le sue modalità di manifestazione (l’attuazione o meno della fase social-societaria). Infatti, seppur a severa pena di decadenza e inutilità, il ciclo completo è già fantasmaticamente presente nella fase 1. : l’artista è anche il primo fruitore del suo stesso lavoro poietico e, per moltissimi, il lavoro si ferma qui, scomparendo poi quasi del tutto con la morte del suo unico fruitore, che è giustappunto l'artista stesso. Ma non si può escludere che anche in quel caso si possa, in modo differito e con la permanenza dell’opera, sviluppare un ciclo completo di valore generale: sono molti i casi di arte scoperta post-mortem o contro la volontà dell’accidentale loro produttore.

La importante digressione che proviene da queste constatazioni (cliniche, derivano da almeno 50 anni di casi d'arte analizzati e di considerazioni conseguenti) è che il problema posto in estetica, di grande successo di pubblico e di cronaca, sull’autonomia ed eteronomia dell’arte è semplicemente mal posto, e forse pure un falso problema.

È altrimenti certo che l’Intelligenza Artificiale è un capitolo di quella rivoluzione in corso che si chiama Transumanesimo, che possiamo intendere come creazione di sistemi artificali alternativi all'esercizio delle funzioni umane. Essa è una tra le sei rivoluzioni (Globalizzazione, Antropocene, Ipermediatizzazione, Ginecoforia, Teleutofobia e, appunto, Transumanesimo) attive oggi contemporaneamente. Il Transumanesimo riguarda anche la unzione dell' "intelligenza", e il suo effetto avviene attraverso la creazione di oggetti “artificiali”. Prima di giungere a conclusioni generali e per l’arte in particolare occorre chiarirsi bene sulle due componenti del fenomeno così di moda che chiamaiamo Intelligenza Artificiale, A.I., AI. A ciò sarà dedicato il prossimo testo, Che cosa è Intelligenza? Come qualificare l'Artificiale?

Sabato 31 agosto 2024