guerra in Europa
Abbiamo ripreso il dialogo con don Moreno, sacerdote orionino in missione in Ucraina
di Gianluca Valpondi
Buonasera don Moreno. Come avete passato la Pasqua nella vostra comunità?
Anzitutto grazie per averci nuovamente contattato. Sono passate già alcune settimane dalla celebrazione della Pasqua. Ho pensato di rispondervi con le parole scritte nel mio quotidiano “Diario della Pace”. Giovedì Santo. Abbiamo iniziato il triduo pasquale immersi nel dolore e nell’attesa, con gli occhi rivolti verso Mariupol, Kharkiv, Odessa, Kiev, Buscha, Irpin… Ci chiediamo quanto potrà resistere anche il nostro spirito, le nostre forze fisiche, messe a dura prova in questi 57 giorni di guerra. Giovedì Santo, il giorno in cui il Signore si è seduto a cena con i suoi discepoli per l’ultima volta, riprendiamo regolarmente la celebrazione della Divina Liturgia (durante il periodo quaresimale nel rito orientale si celebra solo il sabato e la domenica) e ci uniamo al nostro vescovo, Ighor, qui a L’viv, come al nostro patriarca Sviatoslav a Kiev. Nell’omelia il patriarca ha avuto parole di forte impatto: “In questo Giovedì Santo, voglio ringraziarvi in modo particolare per il ministero, per la risposta zelante alla vocazione al sacerdozio, i nostri vescovi, sacerdoti, monaci, diaconi e seminaristi che si preparano a diventare sacerdoti. Vediamo il valore speciale del ministero sacerdotale, specialmente in questa situazione di guerra, dove il sacerdote di Cristo è il primo a salvare la vita umana; è il primo a inchinarsi sulle ferite dell'uomo contemporaneo, sulle ferite dell'Ucraina, sulle ferite del nostro popolo. Il nostro clero ha sopportato il peso maggiore di questa guerra, servendo dove era necessario. Vorrei esprimere la mia speciale gratitudine ai sacerdoti nei territori occupati che si trovano con il loro popolo nei luoghi più pericolosi delle operazioni militari”. La liturgia serale del Giovedì Santo prevede la lettura di 12 parti del Vangelo che descrivono le ultime ore di Gesù, prima della morte e sepoltura. Non abbiamo celebrato la Santa Messa “In coena Domini” ricordando l’istituzione dell’Eucarestia e del sacerdozio, ma abbiamo atteso Yliana, una signora di Zaporizzja che dopo tre settimane passate a Milano è rientrata, questa notte, in Ucraina con il pullman venuto a recuperare altri profughi. Con lei abbiamo consumato una frugale cena. Aveva più voglia di dormire che non di cenare. Non abbiamo fatto nessuna “lavanda dei piedi”, ma questa mattina abbiamo aiutato altre 31 persone - tra loro una decina di bambini piccoli e un giovane non vedente - ad intraprendere il loro viaggio verso l’Italia. Un servizio impegnativo, iniziato già qualche giorno fa, facendo da ponte tra Ucraina e Italia per una associazione che s’è resa disponibile per l’accoglienza in famiglia di alcuni profughi. Conclusa la nostra celebrazione del Giovedì santo, scatta l’allarme che non sentivamo da giorni. “Allerta rossa” in tutte le regioni. Entriamo nell’ennesimo “Getsemani”, in attesa di sapere dove il nemico colpirà nuovamente. Venerdì Santo. La liturgia orientale concentra l’attenzione sulle prostrazioni e l’adorazione della “Sindone”. Viene esposta in tutte le chiese e vi rimane per tutta la giornata, fino a notte fonda. Quest’anno fino alle 22.00 dal momento che dopo quest’ora entra in funzione il coprifuoco. C’è tempo per pregare, c’è tempo per riflettere. C’è tempo per rivedere questi due mesi di “vera quaresima”. Morte, distruzione, paura, bombardamenti, sirene, domande, preghiere hanno segnato giorni e notti difficili da dimenticare. La Sindone oggi tutto copre. Non per nascondere quanto accaduto, ma per dare una risposta. Se risposta c’è all’orrore della guerra. Della nostra guerra. La risposta, oggi per noi, è un Uomo deposto dalla croce e messo nel sepolcro. Viene spontaneo fare il parallelo con le tante “deposizioni” viste in questi giorni di passione. I tanti morti gettati nelle fosse comuni, riesumati ogni giorno e in luoghi diversi per dare loro un nome, degna e cristiana sepoltura. Dopo la morte c’è la risurrezione, dopo le tenebre la luce. Dopo la guerra, la pace. È quanto ci auguriamo vicendevolmente, salutandoci oggi davanti alla Sindone. Ad ogni candela votiva, oggi accesa, viene affidata questa supplica. Stiamo in silenzio e preghiamo. Preghiamo tanto. Mentre rotoliamo la pietra che chiude il sepolcro, continua la nostra missione. Poco prima delle 22.00 spegniamo le luci e chiudiamo la chiesa. Nella penombra brilla la luce fioca delle candele votive rimaste accese. Una piccola luce nelle tenebre. Un segno di vita accanto al corpo morto di Gesù Cristo. A questo corpo e a questa luce affidiamo la speranza che ancora ci anima. Aspettando ancora una volta l’angelo della pace, che venga a rimuovere la pietra che da 58 giorni pesa sulla nostra anima e sulle nostre umane forze. Sabato Santo. Iniziamo la giornata con la preghiera e la Divina Liturgia. Durante la notte non ci sono stati allarmi. Lo cogliamo come un buon segno. Ma veniamo smentiti solo poche ore dopo. Alle 15.00, quando inizia la tradizionale benedizione dei cestini pasquali, partono le sirene. In fretta facciamo la preghiera e la benedizione. Poi tutti si affrettano verso casa. Qualcuno arriva anche durante l’allarme. Ma sono poche persone. Solo verso le 17.00 inizia il flusso. Quasi tutti i cestini, oltre ai prodotti tradizionali (la Paska, cioè il pane dolce pasquale, il formaggio, le uova, i salumi, il cren), han qualche piccolo simbolo che richiama l’Ucraina: bandiere, spille, lo stemma del tridente. Il colore dominante è il giallo-blu. I colori della bandiera ucraina. Nonostante la situazione in atto, c’è un clima di festa. Ci scambiamo gli auguri nell’imminenza della Pasqua. Più che una “buona Pasqua”, ci auguriamo una “spokina”, cioè “tranquilla” Pasqua. Senza l’angoscia delle sirene e le immagini di nuove distruzioni. Anticipiamo la celebrazione Pasquale serale alle ore 21.00. Sempre a motivo del coprifuoco. La chiesa e anche il cortile esterno è pieno di fedeli. Il canto “Krystos Boskres” (Il Signore è risorto), ripetuto tre volte, risuona forte e corale. Quasi fosse un inno di liberazione, di pace già annunciata, di gioia collettiva nell’annuale celebrazione dell’evento più alto della nostra fede. Sono le 22.45 quando la celebrazione si conclude. Giusto il tempo di congedare i fedeli ed ecco il suono delle sirene. Anche questa notte! Non c’è tempo per intrattenerci e scambiare gli auguri. Dalle prime notizie frammentarie, sappiamo che c’è stato un bombardamento a Odessa. L’augurio di una “Pasqua tranquilla” cade nel vuoto. Domenica di Pasqua. Krystos Voskres! (Il Signore è risorto): è il nostro augurio, il saluto pasquale ripetuto con tutta la voce che abbiamo in gola e la convinzione cristiana che accompagna questa verità di fede e di speranza. Si risponde: “È veramente risorto!”, con altrettanta convinzione. Anche oggi, durante la celebrazione mattutina, c’è un afflusso straordinario. Il sole splende ed illumina questa giornata di Pasqua. Una pasqua segnata però nuovamente dal dolore. Ieri notte a Odessa un'intera famiglia, tre generazioni di donne, è morta a causa di un attacco missilistico: nonna Luda, la giovane madre Valeria e la figlia Kira di 3 mesi. Dovremmo a questo punto solo fermarci. Non ci sono parole, motivazioni razionali, un briciolo di perché. Due mesi, giusto oggi, di inutile strage. Non è facile conciliare la gioia della Risurrezione con il dolore di queste ulteriori vittime, con le immagini di una città assediata, Mariupol, che resiste. Migliaia di persone sono ancora prigioniere nei sotterranei dell’acciaieria. Ci sono bambini che non vedono il sole da un mese… Valeria, Luda, Kira, Mariupol, Odessa, Bucha gridano al mondo: "Fermate questa guerra! Fate tutto il possibile perché finisca questa tragedia". L’invocazione umana si fa preghiera con le parole di Papa Francesco pronunciate durante il Regina Coeli di oggi: «Cristo è risorto! Sia Lui a colmare di speranza le buone attese dei cuori. Sia Lui a donare la pace, oltraggiata dalla barbarie della guerra. Proprio oggi ricorrono due mesi dall’inizio di questa guerra: anziché fermarsi, la guerra si è inasprita. È triste che in questi giorni, che sono i più santi e solenni per tutti i cristiani, si senta più il fragore mortale delle armi che il suono delle campane che annunciano la risurrezione; ed è triste che le armi stiano sempre più prendendo il posto della parola. Rinnovo l’appello a una tregua pasquale, segno minimo e tangibile di una volontà di pace. Si arresti l’attacco, per venire incontro alle sofferenze della popolazione stremata; ci si fermi, obbedendo alle parole del Risorto, che il giorno di Pasqua ripete ai suoi discepoli: “Pace a voi!” (Lc 24,36; Gv 20,19.21). A tutti chiedo di accrescere la preghiera per la pace e di avere il coraggio di dire, di manifestare che la pace è possibile. I leader politici, per favore, ascoltino la voce della gente, che vuole la pace, non una escalation del conflitto». Questa Pasqua 2022 diventa veramente un “passaggio” che siamo chiamati a fare in questo tempo di prova. A cena con noi ci sono Vito e Daniele di TV2000. Ci scambiamo le nostre impressioni di questi giorni. Chiedono se possono fare una intervista ai nostri ospiti. Abbiamo però bisogno del loro permesso. Accettano. Non è facile ritornare con la memoria ai momenti terribili, vissuti solo qualche settimana fa. Raccontano la volontà di restare…ma poi la casa è stata danneggiata. Pioveva dentro. La maggior parte del tempo si trascorreva nei rifugi. Poi la decisione di lasciare tutto e scappare verso L’viv. Ringraziano per l’accoglienza che qui ricevono. Ma il futuro è incerto. Se da un lato la casa si potrà anche riparare, resterà una ferita enorme nei confronti della Russia. Chi dimenticherà! Come perdonare? Scendono le lacrime mentre Alina racconta la sua storia. Lei che a Mykolaiv faceva la pizza, “quella spessa” ai quattro formaggi. Mentre seguo in disparte l’intervista mi avvicino a Maria, una nonnina arrivata l’altro giorno. Le sussurro qualcosa. Lei mi fa cenno che non sente bene. Mi avvicino all’orecchio e le dico: “Presto la pace verrà!”. Mi guarda stranamente e mi chiede: “Chi te lo ha detto?”. Colto alla sprovvista, do una risposta azzardata: “L’angelo della pace”. “Sei sicuro?”, replica. “Certo”, rispondo con fermezza. E lei mi abbraccia sorridendo. Una sorpresa pasquale che fa felici tutt’e due.
La tradizionale via Crucis in Vaticano è stata segnata quest’anno dalla discussa “stazione” russo-ucraina. Il card. Krajewski, rispondendo a papa Francesco come suo inviato personale in Ucraina, ha detto che noi non possiamo capire a pieno, ma hanno ragione loro, gli ucraini, a contestare una certa forma di dialogo per la pace. Può spiegarci meglio?
È stato sicuramente uno dei momenti più difficili, a livello emotivo e psicologico, da quando è iniziata questa guerra. Mi vien da dire che questa “Via crucis” è stata veramente una “Via Crucis”. Una serie di tappe dolorose, che però non si sono concluse con la deposizione nel sepolcro del corpo morto di Gesù, ma l’insorgere di tante domande, tanti dubbi, tanti “sì”, “ma”, “però”… fino alla richiesta di modificare testi e gesti di questa 13esima stazione ritenuta come “inopportuna”. Anche noi abbiamo percepito il disagio dei nostri fedeli. Ascoltavamo le loro domande, le loro perplessità. Una presa di posizione certo non contro il Papa o quanti con lui hanno deciso di assegnare le varie stazioni, ma una, come dire, una rivendicazione dovuta ad un fattore che ha determinato questa avversione di massa nei confronti di quello che nella intenzione degli ideatori doveva essere un segno di perdono e riconciliazione. Il perdono o gesti che possano richiamare ad esso sono certo da accogliere ed incoraggiare, senza dubbio. Mi pare d’aver colto però che - senza fare un processo alle intenzioni, ripeto, più che pertinenti in un contesto di cristianità - purtroppo questa idea di fare portare la croce a due donne, una ucraina e una russa, è avvenuta quando negli occhi, nella mente e nella coscienza di ogni ucraino (e del mondo intero) erano da poco state stampate indelebilmente le notizie e le immagini degli orrori compiuti dai soldati russi sui civili (donne, bambini, anziani) in alcune cittadine (Busha, Irpin, Gospel), non lontane dalla capitale. Immagini che hanno in qualche modo “oscurato” la coscienza e allargato il divario tra i due popoli, dopo l’invasione iniziata il 24 febbraio e la conseguente guerra che ne è scaturita. Una divisione anche all’interno delle stesse famiglie che avendo parenti in Russia si accusano a vicenda come provocatori o iniziatori della guerra. Per tutti l’aggressione e l’invasione da parte della Russia è una vera e propria guerra lanciata contro un popolo sovrano; per i russi è una “operazione speciale” di denazificazione e - quanti lo omettono! - “conquista” non solo del russofilo Donbass, ma di tutta l’Ucraina ritenuta territorio facente parte della Russia stessa! Mi sembra che l’idea dei nostri aggressori sia ben chiara e sia stata proclamata a chiare lettere. Certo, la vittoria di chi è aggredito è chiedere la forza del perdono. Ma non ci si può perdonare mentre infuria ancora la battaglia. È quanto ha cercato di argomentare il nostro vescovo maggiore, Sviatoslav Sevcuk: “I gesti di riconciliazione tra i nostri popoli saranno possibili solo quando la guerra sarà finita e i colpevoli dei crimini contro l’umanità saranno condannati secondo giustizia. Spero che la mia richiesta, la richiesta dei fedeli della nostra Chiesa, la richiesta dei fedeli della Chiesa cattolica latina in Ucraina vengano ascoltate”. Anche questa vicenda ha fatto emergere quale dovrà essere il primo degli obiettivi da perseguire non appena sarà possibile ricostruire, non solo le città distrutte ma la devastazione che c’è dentro la coscienza di ogni ucraino, anche dentro la nostra. La guerra ti cambia dentro, e non solo ti trovi a non avere più niente se sei uno dei milioni di profughi o se la tua casa, la tua città è stata bombardata, ma non sei più niente, senza sapere che fare, dove andare, cosa pensare…Ripeto, la grande opera di ricostruzione sarà da attuare dentro il cuore di ogni persona ferita o mutilata nell’intimo, nella coscienza, nella coerenza al Vangelo. “L’odio, prima che sia troppo tardi, va estirpato dai cuori”, scrive papa Francesco nel suo libro Contro la guerra. Il coraggio di costruire la pace. E ancora: “Ogni guerra rappresenta non soltanto una sconfitta della politica, ma anche una resa vergognosa di fronte alle forze del male (…) Quando l’altro, il suo volto come il suo dolore, ce lo teniamo davanti agli occhi, allora non ci è permesso sfregiarne la dignità con la violenza”. Credo che solo così il dolore, il senso di responsabilità e di colpa, la domanda di perdono e riconciliazione saranno non solo opportune, ma la sola via da percorrere, al fondo della quale troviamo il Cristo, il solo che può guarire la nostra miseria.
La Nato, che, nelle parole del Santo Padre Francesco, forse “abbaia” o “ha abbaiato” un po^ troppo contro la Russia, è parte del problema o della soluzione? Che aria si respira in Ucraina, rispetto a questa faccenda davvero oltremodo spinosa (ora anche Finlandia e Svezia chiedono di entrare nella Nato)? Il direttore di Radio Maria Italia (in costante e diretto collegamento col direttore di Radio Maria Ucraina, per cui si chiede continuo sostegno agli ascoltatori italiani e di tutto il mondo, di tutta la World Family of Radio Maria), padre Livio Fanzaga, ha intitolato il suo ultimo editoriale del 3 maggio “Russia e Occidente: i due volti dell’Anticristo”. Vi sentite nel mezzo di uno scontro, non vostro, tra forze malefiche, demoniache?
Questa è una bella domanda variegata che tocca aspetti diversi di uno stesso problema. La Nato che “abbaia” contro la Russia, appunto! Congiunta con lo scatenarsi di “forze demoniache” che già hanno fatto percepire la loro malefica presenza. Partiamo dal primo punto, di carattere politico o meglio “geopolitico”. Chissà se Papa Francesco avrà letto il discorso di Putin pronunciato il 21 febbraio scorso dove cita un noto proverbio russo: “Il cane abbaia ma la carovana va avanti”. Ci chiediamo se la Nato è parte del problema o della soluzione. Ma ancora prima vediamo qual è la finalità di questa istituzione: “Scopo della Nato è garantire la libertà e la sicurezza dei paesi membri attraverso mezzi politici e militari. Politici: la Nato promuove i valori democratici e consente ai membri di consultarsi, collaborare in materia di difesa e sicurezza per risolvere i problemi, creare fiducia e, nel lungo termine, prevenire i conflitti. Militari: la Nato si impegna a risolvere pacificamente le controversie. In caso di fallimento degli sforzi diplomatici, ha il potere militare di intraprendere operazioni di gestione delle crisi. Tali operazioni devono essere condotte in base alla clausola di difesa collettiva presente nel trattato fondativo della Nato – Articolo 5 del Trattato di Washington -, dietro mandato delle Nazioni Unite, da soli o in collaborazione con altre organizzazioni internazionali”. Dunque se il compito della Nato è quello di prevenire, risolvere pacificamente le controversie, diciamo che ha fallito anche in questo caso. (Idem per l’ONU. Ma questo è un altro problema che a mio avviso molti preferiscono scansare). La Nato ha fallito sotto l’aspetto politico negoziale e ugualmente non è riuscendo a coinvolgere l’Ucraina sul piano militare, per i motivi che ben sappiamo. Insomma, mi sembra che lo scopo della Nato non sia la ricerca della pace e della sicurezza. Anzi il contrario. Anche se l’ingresso nell’Alleanza atlantica è incluso nella Costituzione ucraina, l’impegno ad entrare “ufficialmente” nella Nato per ora è stato “rimandato”. Rimane aperta ed è stata già presentata la domanda per far parte dell’Unione Europea. La guerra nel cuore dell’Europa, dopo un lungo periodo di pace, la dice lunga sulle finalità di questa alleanza. Ed è quanto teme il Cremlino: la paura che l’adesione di Kiev alla Nato possa rappresentare un pericolo per la sua sicurezza e per il predominio su quell’area. L’Ucraina è confinante con la Federazione Russa e Mosca teme di perdere quello che è una sorta di cuscinetto con l’Occidente con la scusa di non volere basi Nato, ovvero “missili sotto casa”. Dal canto suo, la Federazione Russa ha missili puntati sulle città europee nella sua roccaforte militare di Kaliningrad sul Mar Baltico. Anche qui c’è da tempo un “cane che abbaia”, ma sembra non abbia nessun “padrone”. Fintanto che pace e sicurezza viaggiano su due binari diversi, saremo sempre alle prese con tensioni e conflitti in fieri e veri, come nel nostro caso. Credo che anche tra la popolazione, se da un lato resta sempre forte il desiderio di far parte dell’Ue, sia diminuito il consenso per partecipare all’Alleanza atlantica. Per quanto riguarda il secondo aspetto, ovvero lo scatenarsi delle “forze maligne”, anche qui dobbiamo fare dei distinguo. L’esperienza che sto vivendo da 18 anni in Ucraina e questi ultimi tre mesi mi hanno convinto ancor di più del fatto che solo lo Spirito unisce. A Satana non interessa sotto quali bandiere militi, della DNR o dell’Ucraina, della Nato o dell’Ue. A lui interessa “vincere” ovunque e su tutti i fronti. Stiamo vivendo un’ora tutta particolare. Tante volte anche noi, in questi mesi, confrontandoci ci siamo detti: «È il diavolo che “mina” e “divide” creando inquietudine. Satana “spezza” la pace per creare divisioni continue tra i popoli e anche nel popolo di Dio. Noi non sappiamo se l’anticristo viene da Oriente o da Occidente. Notiamo come, sia da una parte come dall’altra, i germi di “supremazia”, dominio e usurpazione siano presenti. Ogni forma di governo o dominio del mondo basato sulle ideologie porta a creare ingiustizie, divisione, guerra e menzogne soprattutto. Le chiamano “fake news”; cambia il nome, ma non la sostanza. Alla radice c’è comunque sempre lui, il “demone” che ostacola, divide, separa. Serve citare san Giovanni: “Voi siete figli del diavolo, che è vostro padre, e volete fare i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin dal principio e non si è attenuto alla verità, perché non c’è verità in lui. Quando dice il falso parla di quel che è suo, perché è bugiardo e padre della menzogna” (Gv 8, 44). Non so se stiamo combattendo una guerra per procura, come molti sostengono. So solo che da qualche giorno a questa parte sono aumentati i giovani che alla fine della Divina Liturgia vengono a chiedere una preghiera speciale perché devono raggiungere il fronte. Le reciproche accuse che le due superpotenze si scambiamo a vicenda non fanno che alimentare il conflitto, i morti e la paura del domani per milioni di profughi. La via negoziale la vedo molto difficile, a questo punto. Credo sia fondamentale fare un esame di coscienza e chiederci come mai guerre, conflitti, ingiustizie, povertà endemiche siano ancora all’ordine del giorno. Certamente le forze del male si scatenano, ma trovano alleati sempre pronti e attenti nell’uomo. Com’è vera e sempre, purtroppo, attuale la poesia Uomo del mio tempo di Salvatore Quasimodo: “Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo…T’ho visto: eri tu, con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio, senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora, come sempre, come uccisero i padri, come uccisero gli animali che ti videro per la prima volta…”. L’“anticristo” è dentro ciascuno di noi ogni qual volta le nostre vie non sono le Sue vie e i nostri progetti non sono i Suoi progetti (cfr. Is 55, 8).
Domenica 29 maggio 2022