intervista a mirko de carli
L'emergenza Covid19 è ora soprattutto economica: l'Europa cosa fa?
di Gianluca Valpondi
Ciao Mirko. Vediamo di capirci qualcosa sugli accordi per i fondi europei per affrontare la crisi economica da coronavirus.
Soldi dall’Europa: solo un “giro di conto”? Meglio per l’Italia continuare a emettere CCT? Meglio un patto tra Stato e cittadini che faccia fruttare i 2mila (o 4mila?) miliardi di euro di risparmi degli italiani, indebitando l’Italia con se stessa invece che con terzi?
L’Europa siamo noi. Credo che dovremmo ripartire dalla grande lezione di Alcide De Gasperi e dei padri fondatori - che si spiegarono con chiarezza quando pensarono e edificarono alle origini il progetto unitario europeo -, che cioè l’Europa è una patria. Mi ha sempre affascinato, mi ha sempre attratto questa visione del progetto europeo come patria di popoli, patria di comunità che si incontrano, che all’interno di una piattaforma di valori e di ideali condivisi costruiscono una patria per tutti i loro popoli, una patria che metta al centro la pace, la solidarietà e l’aiuto a chi soffre. È chiaro che siamo ancora molto lontani da questa visione e ci vorrà tanto impegno di noi “nipotini” dei nonni e dei bisnonni come De Gasperi, Schuman e Adenauer, ma la strada di lavoro e di impegno dev’essere per forza quella che ho appena indicato. È chiaro ed evidente che non possiamo pensare di farcela da soli in un contesto globale; il mondo è cambiato dagli anni in cui potevamo vivere con una gestione “allegra” del debito pubblico, una gestione allegra della finanza pubblica. Viviamo in un mondo globalizzato e nella competizione globale servono forze economiche robuste e strutturate e in grado di competere con colossi come la Cina, gli Stati Uniti d’America, i paesi sudamericani emergenti; l’Europa può essere uno di questi se si propone in maniera unitaria. Pensare di garantire la tenuta economica del Paese attraverso il finanziamento del debito nazionale mettendolo sul mercato mi pare che sia una cosa poco praticabile. Ricordo a tutti che è grazie al quantitative easing di Mario Draghi che noi possiamo permetterci ancora di indebitarci, noi possiamo avere la possibilità di piazzare sul mercato i nostri titoli di debito pubblico; non per altro, non a caso, anche i partiti sovranisti lo ripetono più volte: andiamo a emettere titoli di Stato sul mercato con la garanzia della Banca centrale europea, ecco la parolina magica, ovvero con la Bce che garantisce l’acquisto nei mercati secondari, che è stato l’intervento che ha salvato l’economia europea durante la crisi del 2012 dei debiti sovrani europei. Ecco, quindi credo che comunque l’Europa c’entri, c’entra in tutti i modi e se oggi abbiam potuto portare il rapporto deficit/pil oltre il 10% è perché i titoli di debito pubblico emessi dallo Stato italiano sono garantiti dalla Banca centrale europea. Penso che invece la prospettiva del Next generation Eu, che è il piano con cui si vanno a utilizzare i soldi del Recovery Fund, sia più ambiziosa, è quella di pensare a un debito europeo, è quella di pensare a fondi che vengono raccolti sul mercato dalla Comunità europea e che vengono redistribuiti ai Paesi secondo le allocazioni necessarie e con progetti di investimento condivisi per una prospettiva più aggregativa, cioè non più ogni Stato faccia per sé ma creare un vero e proprio tentativo di politica economica europea, che possa rendere più omogenee le politiche nazionali e creare un progetto di sviluppo comunitario. È questo il vero scopo ambizioso del Next generation Eu e credo che sia una sfida veramente interessante. La vera sfida ora non è brindare ai 209 miliardi che sono in parte finanziati dal nostro bilancio nazionale, che sono in parte soldi da restituire, quindi ci sono tanti elementi che vanno capiti e compresi, che non ci devono portare ad aprire bottiglie di champagne a prescindere, ma è quella di dire abbiamo l’occasione finalmente di poter costruire una serie di investimenti e una visione di sviluppo del Paese che sia finalmente non più concepita come italiana o francese o ungherese o tedesca... , ma che sia europea, che veda in Germania uno sviluppo che sia compatibile con quello italiano e viceversa, e credo che sia forse la vera svolta che attendevamo dalla nascita del progetto europeo.
Olanda paese frugale o fregone?
Non mi piace il termine “frugale” perché non è una fotografia aderente alla realtà. Credo che l’Olanda sia un Paese che usa quelle smagliature – chiamiamole così – del progetto comune europeo, un’Europa che è ancora un’incompiuta consente appunto a Paesi come l’Olanda di poter essere determinanti nel bloccare svolte decisive per il progetto comunitario. L’Olanda - dentro a queste “incompiute” del progetto europeo (come quella di una politica fiscale omogenea, come quella di una visione economica omogenea dei Paesi dell’Unione) - ha creato la propria ricchezza, il proprio sviluppo: se pensiamo alla gestione della tassazione all’interno dello Stato olandese, che consente a tutte le aziende - comprese quelle italiane - di andare a mettere sede in Olanda perché non si ha la pressione fiscale che per esempio c’è in Italia, vediamo come ha creato dei livelli di disomogeneità enormi, tali per cui appunto si creano le conflittualità che oggi viviamo. Credo che l’Olanda debba dire grazie al progetto europeo più di tutti in tal senso, e ovviamente ha provato a evitare che il Next Generation Eu venisse partorito perché capiva bene che con questo progetto si creava un percorso, si dava il via a un percorso di maggiore omogeneità nella gestione delle politiche economiche tra i Paesi europei e questo avrebbe limitato i propri margini d’azione su cui ha creato la propria ricchezza interna. È chiaro che la vera svolta l’ha compiuta Angela Merkel, che è stata la vera regina di questo percorso e che ha permesso, utilizzando le fragilità di Stati importanti dell’Europa come l’Italia e la Spagna, ti poter fare il salto di qualità che era necessario per la Germania prima di tutto. Ricordiamo che non ha fatto nulla che fosse per un interesse meramente europeo; quello che si è realizzato adesso è primariamente nell’interesse delle due grandi potenze europee, cioè Germania e Francia, che hanno bisogno di un’Europa forte per essere esse stesse forti nel mercato internazionale. E quindi logicamente a quel punto la Germania ha dovuto rompere la storica alleanza con i Paesi del nord, tra cui l’Olanda, e arrivare a un elemento di rottura che poi si è risolto con un accordo che però vede vincitori ovviamente Germania e Francia e non certo l’Olanda, perché le clausole che l’Olanda aveva chiesto per poter bloccare le eventuali spese non condivise dei soldi del Next generation Eu sono molto blande rispetto a quello che Rutte aveva chiesto nelle sue prime dichiarazioni. L’Olanda credo che debba arrivare piano piano ad accettare il fatto che non si può continuare a sfruttare il progetto europeo per interessi nazionali, perché poi si attaccano i sovranisti quando per primi si è sovranisti a casa propria quando si devono fare gli interessi propri. Credo che bisogna arrivare all’obiettivo di far coniugare gli interessi nazionali con gli interessi del progetto europeo.
Ma l’Europa funziona?
È evidente che l’Europa non funziona. L’Europa si è data un’opportunità, con questo salto di qualità avvenuto con Next generation Eu, però è evidente che questo è avvenuto proprio perché il progetto europeo non funzionava, e quindi è fondamentale in questo momento che si costruisca invece una prospettiva nuova, dove appunto l’Europa possa cominciare a funzionare. L’Europa deve essere quello che è sempre stata, per cui si è pensata, per cui si è costruita, cioè una patria, una patria di patrie; e per questo è fondamentale che ci sia una ripartizione delle competenze, competenze nazionali e competenze europee, in una federazione di Stati che condividono alcuni elementi che sono decisivi per la loro comune convivenza. In un quadro di ripartizione intelligente, condivisa e strutturata credo che si possa con calma e col giusto tempo che questo richiede costruire un percorso per cui si possano armonizzare le economie nazionali, armonizzare gli stati sociali nazionali, e garantire quel livello di benessere che l’Europa ha garantito dal dopoguerra ad oggi. Se non faremo questo rischieremo di non poterlo garantire e di far sì che ci siano maggiori discrepanze sociali tra uno Stato e l’altro, che possono poi creare quelle situazioni di disagio interno - come abbiamo visto sul tema dei migranti - che porterebbero a rompere definitivamente il progetto europeo.
Reddito di cittadinanza: ci squalifica in Europa perché buttiamo via i soldi?
Non è che ci squalifica, il problema è come spendiamo questi soldi. Aiutare le porzioni di società civile, le fasce più deboli della società attraverso interventi che possano garantire la sopravvivenza stessa di fasce di società che senza un lavoro, senza una tutela sociale non ce la farebbero, sono interventi necessari; tutti gli Stati europei hanno strumenti economico-finanziari che sono atti a tutelare le fasce più deboli e meno protette, ma sono strumenti attivi, non passivi. Il reddito di cittadinanza è uno strumento passivo, perché non permette di poter portare nel medio-lungo periodo la persona a costruirsi una autonomia finanziaria, un’indipendenza dallo Stato. Cioè l’obiettivo deve essere quello – come avviene in Germania per esempio – di costruire un percorso per cui tu sei sottoposto al supporto e al sostegno dei sussidi dello Stato, ma questo ti garantisce nel medio periodo di diventare autonomo e indipendente col lavoro e con un percorso di indipendenza finanziaria che si costruisce. In Italia invece no: diventa un rimanere a carico dello Stato a tempo indeterminato, perché non ci sono le condizioni – proprio e per l’appunto per una gestione anche del mercato del lavoro non ben organizzata, per un mercato privato che non è coadiuvato con l’interesse nazionale per errori della politica prima di tutto e non certo degli imprenditori. Allora noi dobbiamo creare questi meccanismi virtuosi. Speriamo che questo post-covid19 e questo next generation eu e questi finanziamenti che arrivano dall’Europa possano aiutarci a far sì che invece si cambi direzione e si riesca veramente a creare meccanismi virtuosi per cui temporaneamente lo Stato ti può aiutare per sostenere la tua vita in un momento di difficoltà, ma crei i meccanismi per cui tu ti possa rimettere in piedi e trovare il lavoro. Credo che per esempio bisognerebbe investire molto nella formazione professionale, la vera sfida è lì, cioè far sì che una persona anche se adulta possa riqualificarsi professionalmente, lo Stato e gli istituti di formazione collaborino col mercato delle imprese per capire quali sono le figure che servono al mercato dell’impresa non solo italiano ma europeo e creare dei percorsi ad hoc, persona per persona, per riportarle nel mercato del lavoro nel più breve tempo possibile. La vera sfida del futuro per garantire la piena occupazione è quella della formazione professionale.
Immigrati: risorsa o disastro in questo momento di crisi economica?
Come sempre bisogna andare a vedere quello che accade all’interno del Paese, all’interno del continente. Noi oggi abbiamo prima di tutto la necessità di tutelare, salvaguardare, proteggere le nostre comunità nazionali; dopo una pandemia devastante come quella che abbiamo attraversato, adesso la priorità dev’essere quella di garantire prosperità, futuro e sviluppo alle nostre comunità, e quindi garantire che sia proficuo il rapporto di cittadinanza che ricordo è alla base della nascita di ogni Stato. Poi è naturale che nel momento in cui ci sono situazioni emergenziali legate ai flussi migratori bisogna darsi delle regole chiare e precise. Io credo che valga la regola che ci siamo dati da tempo come Popolo della Famiglia su questo tema: prima di tutto vanno costruiti corridoi umanitari, i progetti che abbiamo visto – cresciuti nel corso degli anni da realtà meritorie come la comunità di sant’Egidio - vanno guardati con favore in modo che si riduca il flusso dei migranti irregolari e si riescano a creare rapporti di qualità e positivi con gli Stati di provenienza regolamentati, con una regolamentazione dei flussi che dev’essere europea nel breve-medio periodo attraverso una concertazione annuale con gli Stati nazionali, e nel momento in cui c’è lo sviluppo continuo dell’immigrazione clandestina va arginata, bisogna che le persone non arrivino sui territori nazionali, che vengano fermate nei barconi, vengano riconosciute, e se arrivano come migranti che non possono accedere al diritto di asilo debbano essere riportati con tutto il rispetto dei diritti umani nei loro Paesi di provenienza. La migrazione economica come sappiamo è regolamentata giustamente in Italia con un vincolo legato al contratto di lavoro secondo la legge Bossi-Fini; quella che invece si vuol decidere con i flussi va regolamentata con i canali dei corridoi umanitari. Credo che ci vorrebbe una legislazione orientata in tal senso: duri con l’immigrazione clandestina come ho appena detto, intelligenti e lungimiranti con quella invece ordinata e con i rapporti con gli Stati da dove provengono appunto i maggiori flussi di migrazione per ragioni economiche. È chiaro che però non possiamo accettare la regola sbagliata secondo la quale dobbiamo accogliere i migranti per creare forza-lavoro capace di sopperire alla mancanza di nuovi nati. No, bisogna investire nella vita, investire nelle famiglie che fanno figli, non possiamo sostituire le due cose. Dobbiamo cercare di arginare il problema fin quando non saremo capaci come Stato e come Europa di riportare tassi di natalità all’altezza di un’economia importante come quella occidentale e quella europea. La sostituzione figli con migranti non la potremo mai accettare.
Recovery Fund: i soldi ci sono o vanno recuperati?
Una parte di soldi vengono dal bilancio europeo ovviamente che è finanziato dagli Stati membri, quindi c’è un aumento del finanziamento degli Stati europei al bilancio europeo e c’è una spesa diversa - concordata naturalmente – dei soldi del bilancio europeo. Dall’altra parte naturalmente c’è la vera novità che è quella che per la prima volta l’Europa emette propri titoli di debito e quindi non si chiamano eurobond ma la sostanza è quella, su cui tante volte spesso anch’io ho espresso posizioni favorevoli nel corso degli ultimi anni. Vuol dire che l’Europa finalmente essendo un soggetto molto più forte e robusto a livello di presenza sui mercati internazionali dove si vanno a raccogliere i denari, ha molta più forza nell’andare a recuperare soldi sul mercato e riesce ad ottenerli a condizioni molto più vantaggiose rispetto a Stati più fragili come l’Italia (a causa del loro elevato debito pubblico). Credo che sia una vera svolta, è la prima volta che questo accade, si è trovato un compromesso su un punto che era il punto più delicato, ovvero di non andare a condividere i debiti pregressi, e per certi versi è anche giusto, nel senso che non è giusto che un Paese che è stato virtuoso negli ultimi decenni debba accollarsi gli errori e l’indebitamento viziato dalla malapolitica di altri Stati come l’Italia. È giusto che da ora in poi se si va a fare debito sia debito comune e non debbano più i singoli Stati indebitarsi rischiando poi di trovarsi in situazioni di fragilità nella gestione del debito sovrano che poi creano danni anche agli altri Stati del progetto europeo essendo ormai concatenati l’uno con l’altro dal fatto che c’è la moneta unica. Quindi la vera svolta sta proprio qui, nell’andare a creare debito europeo e non più debito nazionale per finanziare parte del Recovery fund.
Per la prima volta nella sua storia l’Ue (il Consiglio europeo?) accetta di indebitarsi? E indebitarsi con chi? O alla fin fine i debiti saranno dei singoli Stati dell’Ue?
Io credo che i soldi si trovino sul mercato. Come diceva Raul Gardini che ho ricordato nel 27esimo anniversario della sua morte, i soldi si vanno a cercare dove sono, cioè nel mercato. Il problema oggi è che chi vuole investire investi in un progetto che ha futuro, che ha robustezza e che ha prospettive. Il progetto europeo se ha capacità di armonizzazione e di visione comune queste caratteristiche le ha, quindi io credo che sia decisivo investire sul progetto europeo perché garantisce grande liquidità che può arrivare dai mercati a tassi competitivi, cose che l’Italia da sola non potrebbe avere. È chiaro che in questo momento è fondamentale anche che questo progetto europeo sia capace di creare sempre più sviluppo all’interno della Comunità europea, e quindi credo che nel medio periodo bisognerà arrivare a finanziare le spese dei Paesi dell’Europa non più con debito nazionale ma con debito europeo. Questo creerebbe le condizioni anche di una maggiore stabilizzazione dei mercati interni e di una possibilità oggi impensabile di poter gradualmente andare a ripianare i debiti nazionali, che sono il vero elemento che non rende armonico il progetto europeo, perché noi abbiamo un’Italia che è il secondo debito mondiale, il primo debito sovrano europeo, e la Germania che ha un livello di capitalizzazione interna del patrimonio pubblico non paragonabile rispetto a Stati fortemente indebitati come l’Italia. Nel lungo periodo, se si comincerà a finanziare la spesa dei singoli Stati, attraverso appunto un indebitamento sempre più europeo e sempre meno nazionale, si potranno creare le condizioni per arrivare a progetti di rientro graduali e intelligenti - che non vadano ad incidere sul welfare, cioè sulla spesa dello Stato sociale - anche per gli Stati indebitati; e credo che questa sia la prospettiva.
Mario Monti dice che ora tocca all’Italia: ancora “compiti a casa”?
Non mi piace l’espressione “compiti a casa”, io non vedo l’Europa secondo una visione di Europa-matrigna o quella dell’insegnante cattivo che ti mette a studiare perché sei stato bocciato. Io vedo l’Europa come madre, non come matrigna, e una madre si prende cura del proprio figlio. Credo che anche quella di creare le condizioni affinché si possa imparare dagli errori e si possa diventare virtuosi dopo anni in cui non lo si è stati sia la carezza di una mamma, non lo scappellotto di una matrigna, e quindi io vedo più l’Europa come madre e non come matrigna. Nessuno ci chiede di andare a fare i compiti in casa perché potevamo tranquillamente non accettare queste condizioni e decidere di fare da soli, ma sarebbe stato un disastro per l’Italia e per l’Europa. Credo che invece bisogna essere capaci di imparare a capire che si può essere più bravi se si impara dai più bravi. Io nella mia vita ho sempre cercato di circondarmi di persone che fossero più talentuose, più intelligenti, più preparate, che avessero fatto delle esperienze che io non avevo fatto, per migliorarmi, per perfezionarmi, per diventare più capace anche nelle cose che decidevo di fare; e credo che come Italia dovremmo avere questa ambizione di guardare agli Stati più capaci sotto alcuni profili dove noi siamo più deboli, come su alcuni profili dove siamo più capaci essere modello di riferimento per altri Stati più deboli. Questa dev’essere l’ottica, l’armonizzazione del progetto europeo avviene in una convivenza tra profili positivi e profili negativi che si vanno ad armonizzare, dove gli Stati si aiutano vicendevolmente nel perfezionarsi. È chiaro che non è facile, perché poi gli interessi nazionali, le beghe interne di campagne elettorali incidono e non poco; ma intanto la condizione di difficoltà venuta fuori con la pandemia da covid19 ha creato le condizioni in cui si fosse obbligati, Francia e Germania, a fare tutto questo, perché il collasso di economie come quella italiana in particolare avrebbero tirato con sé il crollo di economie come quella della Germania in particolare e della Francia. Quindi, uno stato di ingente necessità ha portato ad avviare questa svolta. Speriamo che una volta avviata sia solo l’inizio e non un passo momentaneo e che crei un cambio di paradigma in Europa.
Alla Germania conviene non far fallire l’Italia: può l’unità europea fondarsi e reggersi sul becero interesse materialistico? Gli ideali alti sono roba da “femminucce”, “sognatori”, “anime belle” (in senso sarcastico)?
L’Europa si deve fondare su un punto, che è quello della solidarietà, su cui è nato il progetto europeo con l’azione dei padri fondatori. Ovvero con l’azione costruita dai Paesi fondanti il progetto europeo, in particolare Germania, Francia e Italia, di creare benessere diffuso per tutti gli aderenti e i partner del progetto europeo. Credo che sia questa la vera prospettiva: l’interesse materialistico dev’essere interconnesso con un interesse valoriale, ideale. E quindi queste due cose vanno insieme e questa prospettiva costruita in queste settimane di intenso e faticoso lavoro la vedo in quella direzione. È chiaro che è presto per dirlo, dovremo vederne l’attuazione, dovremo vederne gli effetti, dovremo vedere gli equilibri come verranno gestiti... quindi è ancora troppo presto per darne un giudizio. Però vedo dentro questa azione costruita in queste settimane un seme di quello che ho appena detto, cioè di un’interconnessione tra interessi materiali, ovviamente imprescindibili quando si parla di economie nazionali che si innestano in un progetto comunitario, e di interessi ideali. Senza l’interesse ideale, che è stato il grande dramma degli ultimi decenni d’Europa, in particolare dell’Europa post trattato di Maastricht, è logico che noi andiamo a distruggere un progetto europeo, perché di sola finanza una comunità non vive. C’è bisogno di una prospettiva ideale, c’è bisogno di una visione di comunità, c’è bisogno di una prospettiva da offrire ai popoli e non alle lobby, e credo che questa, quella di garantire solidarietà diffusa e di garantire benessere diffuso e di costruire il futuro mettendo al centro le comunità, i popoli e non più le lobby, sia qualcosa di completamente diverso. La partita la si vedrà ora, per esempio in Italia l’abbiamo persa con la pandemia, perché gli 80 miliardi di variazione di bilancio a debito che il governo ha chiesto non sono ricaduti nell’economia reale, non li abbiamo visti, non sono stati percepiti. Quindi è un’occasione persa, perché quei soldi non hanno creato quegli effetti nell’economia reale che invece erano doverosamente necessari. Ora con il recovery fund dovremo vedere se saremo capaci come Europa e come Italia di fare questo. La vera svolta per far sì che si costruisca un progetto di comunità è avere degli effetti nell’economia reale delle scelte economiche che si sono prese a livello d’Europa e a livello di governo nazionale: allora si vede se la politica veramente serve il popolo o serve le lobby; per ora ha servito le lobby. Speriamo che ci sia la svolta perché se non ci sarà questa svolta credo che ci saranno tempi ancora più bui per l’Europa. È importante unire l’aspetto ideale con l’aspetto materiale perché nel momento in cui costruisci un progetto come quello della Unione europea è necessario creare la ricchezza per garantire prosperità e benessere ai popoli dentro però una condivisione di identità popolare necessaria per creare quell’humus su cui poi può crescere un futuro del progetto europeo, ovvero i soldi da soli non bastano – l’abbiamo dimostrato – bisogna avere una visione di futuro condivisa. Se è possibile questo, allora i soldi possono dare la forma a questa visione di futuro.
Lunedì 27 luglio 2020