intervista a mirko de carli
Regionali in Emilia-Romagna e in Calabria, e Brexit: il parere del Popolo della Famiglia
di Gianluca Valpondi
Dunque Mirko, è finita la tirata per le elezioni nella tua terra emiliano-romagnola? O è solo un tratto del tragitto, della “traversata nel deserto”, come ama dire il presidente nazionale del Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi? Come vedi le cose in prospettiva anche nazionale?
Credo che sia un altro passaggio, importante e delicato, della nostra lunga attraversata nel deserto come l’ha definita il nostro presidente Mario Adinolfi. Abbiamo avuto un impegno davvero credo ammirabile per passione, dedizione e sacrificio, perché presentarsi all’appuntamento elettorale più importante dell’anno – le regionali in Emilia Romagna – con una presenza significativa e innovativa del Popolo della Famiglia, appunto, insieme ad altri che hanno condiviso, sposato e abbracciato la nostra proposta insieme alle forze politiche di centrodestra per creare una coalizione di buon governo che includesse le proposte su famiglia, vita e persona, racchiuse dentro al “pacchetto famiglia” che abbiamo presentato insieme a Lucia Borgonzoni a Castel Bolognese. Credo che sia la dimostrazione di una innovazione importante che abbiamo portato avanti e che si può riassumere nella strategia, che sto portando avanti anche adesso dopo le elezioni emiliano-romagnole, di “più centro nel centrodestra”, ovvero il fatto di costruire un’opzione di governo, dove la legge elettorale naturalmente lo richiede - pensiamo alle elezioni regionali - dove non è possibile immaginare un’opzione autonoma in quanto la legge elettorale impone inevitabilmente la creazione di coalizioni di governo larghe. Noi abbiamo lavorato per creare una coalizione attorno a Lucia Borgonzoni – la più larga possibile – dove ci fosse una coesione identitaria, valoriale e di programmi, e credo che questo si sia percepito. Purtroppo la nostra proposta è arrivata tardi, è stata presentata agli sgoccioli della presentazione delle liste, come sempre essendo volontari ed essendo persone animate da una passione semplice e autentica abbiamo dovuto preoccuparci spesso più di organizzare la campagna elettorale che di fare la vera e propria campagna elettorale, e quindi una presenza radicata di questa nuova proposta che ha visto insieme il Popolo della Famiglia e Cambiamo! e tanti altri movimenti e associazioni racchiusi nella dicitura Insieme per l’Emilia Romagna è stata forse non conosciuta a dovere e forse non capita fino in fondo. Il dato elettorale comunque ha confermato il risultato che abbiamo ottenuto alle europee, avendo avuto anche risultati significativi – penso a Parma con uno 0.8, penso a candidati nuovi che hanno raccolto consensi importanti in termini di preferenze – e abbiamo messo un seme, su cui continuiamo a lavorare per cercare di radicare una presenza autonoma del Popolo della Famiglia che nelle opzioni di governo, dove è possibile e come è possibile, renda più robusta e significativa la presenza del centro, e con centro intendo dire le problematiche che ci stanno più a cuore, che ci accomunano anche ad altri partiti che fanno parte della famiglia del popolarismo europeo; penso alla tematica della difesa e promozione dei diritti della famiglia, dei diritti del bambino, del nascituro, della promozione e tutela della impresa famigliare e del “fatto in famiglia”, che è l’ossatura portante della nostra economia, penso al tema fondamentale, imprescindibile del rilancio delle comunità montane e comunità di campagna, che sono state abbandonate, sono quelle più colpite dall’inverno demografico e dallo spopolamento rivolto alle periferie delle grandi città. Tematiche che oggi hanno diritto di cittadinanza nelle coalizioni di governo di centrodestra grazie al contributo che noi abbiamo portato. Quindi credo che in prospettiva nazionale ci adopereremo ad irrobustire la presenza del PdF, anche attraverso l’importante candidatura del nostro presidente al collegio di Roma per le elezioni suppletive che si svolgeranno l’1 marzo, e soprattutto lo faremo cercando di coagulare attorno a noi tutti quei partiti, movimenti, associazioni che hanno la nostra stessa spinta valoriale e che dentro ad un quadro di proposte come quelle del “pacchetto famiglia”, come quelle del nostro programma alle regionali possono abbracciarle mettendo i loro candidati e avendo il coraggio di non proporre un’accozzaglia di facce e di nomi, ma un rassemblement sempre nuovo che irrobustisca in un’opzione di governo il centro nel centrodestra. Oggi il rischio, per cui abbiamo perso anche le elezioni in Emilia Romagna e che non dobbiamo più correre, è quello di presentare una destra-destra, rappresentata dalla leadership di Lega e Fratelli d’Italia; c’è bisogno invece di irrobustire la parte più moderata, cattolica e laica, attraverso non solo etichette ma contenuti, e penso che quando parliamo anche in ottica europea di sovranismo europeo, declinando una spinta importante di democrazia e di rappresentatività delle istituzioni, ma non proponendo il nazionalismo come soluzione completamente sbagliata e completamente ideologica credo che indichiamo una via che possa portare le istanze giuste raccolte dalla destra in un’ottica di buon governo di centrodestra.
Ha fatto discutere un tweet di padre Bartolomeo Sorge. L’Emilia-Romagna è una regione benestante? Se sì, grazie a quale modello di sviluppo? Perché la Lega comunque tendenzialmente cresce nella tua bella regione? Mentre si assottiglia il M5S…
Ma... credo che il benessere sia il grande problema di questa regione. Già il cardinal Biffi più volte lo enucleava come elemento contraddittorio. Il benessere purtroppo non permette alle persone di approfondire quali sono i reali problemi che attraversano; lo vediamo anche nelle dinamiche famigliari: quando si sta bene non si guardano a volte delle sofferenze che vengono vissute da chi ci è a fianco. Tante storie di sofferenze poi emerse con atti tragici di situazioni famigliari benestanti. Il benessere dev’essere prima benessere dello spirito, dell’anima, della condizione umana prima che economica, e qui in Emilia Romagna siamo una terra laboriosa, che ha sempre generato crescita e sviluppo per sé e per gli altri e modelli di crescita invidiati e copiati in tutta Europa, in tutto il mondo. Io sono convinto che in questa regione la Lega, e comunque noi come forze alternative alla sinistra e ai grillini, siamo cresciuti perché siamo stati capaci di intercettare il reale malessere che c’è, il malessere della dorsale appenninica completamente colpita da un’assenza di servizi, di prossimità della Regione e dei Comuni, dall’abbandono delle imprese che non riescono più ad essere competitive non avendo infrastrutture competitive e all’altezza delle loro necessità per avere costi dei loro prodotti che siano a loro volta competitivi nel mercato globale. Abbiamo visto la fuga dei cervelli, dei migliori talenti che vanno a far famiglia e figli all’estero perché le nostre aziende, colpite da tasse e burocrazia insopportabili, non li possono assumere. E questi malesseri sono stati l’occasione per poter elaborare proposte come l’azzeramento dell’Irap, come la riduzione a zero dell’addizionale Irpef, cme l’assegno unico famigliare, come l’indennizzo di maternità e tante altre che abbiamo presentato nel pacchetto famiglia, che vogliono essere la prospettiva programmatica del nostro esserci dentro una coalizione di governo con altre forze politiche non di sinistra. Questo è lo spirito con cui ci siamo mossi e con cui il consenso si è sviluppato ed è cresciuto. Credo che le difficoltà le abbiamo avute nei centri urbani dove ancora il benessere c’è, dove ancora purtroppo una logica di mantenimento di equilibri di potere consolidati nei decenni si è mantenuta, e sui quali dovremo lavorare per cercare di capire come scalfire tale logica e soprattutto come liberare tante energie e risorse che non sono valorizzate da un sistema di potere che da troppo tempo vede protagoniste sempre le stesse persone. Per quanto riguarda i Cinque Stelle credo che sia la fine del loro percorso politico cominciato in Emilia Romagna a Bologna con i “Vaffa day”, che arriva a concludersi dopo che per troppi anni hanno fatto demagogia e ideologia e poi quando sono stati chiamati a misurarsi con i fatti naturalmente non sono stati all’altezza delle aspettative che avevano creato. Noi con umiltà, con dedizione, consapevoli di poter offrire una piccola ma tenace classe dirigente competente sui temi che propone, vogliamo continuare ad essere una presenza che pungola chi governa o chi pungola al governo sui temi che ci stanno più a cuore, ma soprattutto vogliamo cercare di crescere nei vari territori, lo faremo con le prossime amministrative: tanti eletti che possano portare lo spirito di buon governo a favore della famiglia, della vita e della persona che ci anima.
La cosa più bella e la più brutta dell’avventura elettorale in Emilia-Romagna.
La cosa più bella è l’aver visto Lucia Borgonzoni, con la quale ci eravamo sfidati alle elezioni amministrative a Bologna nel 2016, abbracciare, sposare e promuovere in ogni momento della sua campagna elettorale le istanze del “pacchetto famiglia”. La foto con cui firma insieme a me il pacchetto famiglia a Castel Bolognese in un evento molto partecipato da imprenditori, famiglie, persone comuni credo che sia stata la gioia più grande perché è la conferma della bontà del cammino del PdF, che ha voluto attraverso una presenza autonoma, radicata con un consenso piccolo ma pugnace in ogni elezione - quel piccolo resto di popolo di cui parlo sempre - ha voluto condizionare, essere condizionante di grandi partiti che si sono seduti al nostro tavolo accettando e facendo loro le nostre istanze che ci stanno a cuore. La cosa più brutta che purtroppo ho potuto osservare è la rabbia, la cattiveria con cui in tanti casi hanno commentato il nostro risultato elettorale; mi dispiace che tanti commentatori abbiano irriso, abbiano attaccato violentemente la nostra compagine dicendo appunto che non abbiamo fatto un risultato significativo, che siamo stati ritenuti irrilevanti sullo scenario politico. Io credo che il dato andrebbe analizzato con più attenzione; è una sconfitta e la prendiamo come tale, ci sono molti elementi di critica su cui ricostruire, ripartire, ma c’è una strada che è la cosa più interessante, più opportuna da valutare, che continueremo a battere, nel vero senso della parola, perché è la strada giusta. È chiaro che il dato poteva essere migliore, ma irridere una piccola comunità, che ad ogni elezione si presenta e ad ogni elezione porta migliaia di persone a votare mi sembra un gesto di mancanza di rispetto per quelle persone che con passione, gratuitamente e con dedizione si sono spese in campagna elettorale e hanno portato, ripeto, migliaia di persone ancora a votare per la nostra proposta politica.
Sei tra quelli non particolarmente entusiasti della Brexit. Anzi, la vedi proprio come un fallimento. Ma fallimento di chi?
Non sono entusiasta della Brexit, come ho detto in un’intervista rilasciata in merito, perché ritengo che non sia nell’interesse del popolo britannico né dell’Europa intera. Una comunità europea più forte, una comunità però democratica, politica prima ancora che finanziaria ed economica sarebbe stata un soggetto più forte, più competitivo e più incisivo nella politica globale. Purtroppo non si è voluto seguire una proposta che più volte ho rilanciato, che è quella del sovranismo europeo, cioè mettersi tutte le comunità che fanno parte, le patrie per meglio dire, che fanno parte dell’Unione europea sedute a un tavolo, abbandonare il processo finanziario che ha distrutto l’architettura europea pensata dai padri fondatori, e costruire un percorso costituente dove democratizzare le istituzioni, realizzare una vera e propria federazione di patrie dove siano i popoli ad avere un ruolo maggiore - attraverso l’elezione, la rappresentanza maggiormente incisiva e un ruolo più decisivo del parlamento - e non certo i capi di stato e di governo come oggi. Il sovranismo europeo rappresentava la trasformazione delle pulsioni giuste, democratiche dei sovranisti in un’ottica di buon governo europeo. Purtroppo in Inghilterra ha prevalso altro, abbiamo perso una patria importante del progetto europeo e questo ci dovrà interrogare e inevitabilmente dovrà aprire un lavoro a livello europeo. Io l’ho detto, se si continua su questa strada è chiaro che per l’Italia un’Europa fatta in questo modo non dà nessun tipo di beneficio e di occasione di sviluppo e di futuro; anche il tema della moneta unica lo conferma. Credo che bisognerà poi mettere in discussione forse anche noi con più forza la nostra presenza, il nostro ruolo in Europa per cercare di capire se veramente si vuole fare una patria europea, dove la dimensione politica e democratica prende il posto che merita, cioè il posto primario, oppure si vuol continuare a fare un’azione finanziaria che vede grandi Stati come la Germania e i paesi vicino alla Germania che crescono e assorbono energie e forze rispetto a Stati più deboli che diventano sempre più deboli; perché quando manca la politica purtroppo prevalgono gli egoismi e prevalgono gli interessi nazionali.
Come dovremo rapportarci, come Italia, con l’Inghilterra?
Come Italia con l’Inghilterra credo che dovremmo andare a stipulare degli accordi bilaterali di carattere commerciale come già si fa con gli Stati che non fanno parte della comunità europea, e sarà importante tutelare soprattutto la presenza dei nostri connazionali, che hanno impresa e che studiano, che lavorano in quel territorio per garantire loro appunto una permanenza che sia tutelata dal punto di vista dei servizi, dal punto di vista della qualità della vita e della possibilità di potere sviluppare le progettualità che hanno già avviato in maniera continuativa e serena. Dall’altra parte penso che come Italia dovremmo avere il nostro ruolo di leadership insieme agli altri Stati importanti dell’Unione europea per stabilire un rapporto sia in termini diplomatici che in termini economici con la Gran Bretagna che non danneggi la nostra economia, in questi termini. Credo che comunque si possano costruire le condizioni per almeno mantenere un mercato il più aperto possibile tra la Gran Bretagna e l’Unione europea. Penso che ci accorgeremo poi col passare dei mesi che più che altro questa Brexit rappresenta semplicemente un’esigenza politica di andare a dare picconate al progetto europeo da parte di leader politici che hanno avuto esigenza di utilizzare quest’arma per crescere nei consensi, sfruttando il malessere giustificato dall’assenza di democrazia e di politiche sociali reali dell’Unione europea, ma, come abbiam sempre detto, noi del Popolo della Famiglia, sia a livello nazionale che europeo, raccogliamo, soprattutto nelle fasce che sono a destra rispetto alla politica, il malessere che è rintracciato nelle comunità urbane ed extraurbane, che viene sintetizzato nella parola “sovranismo”, quindi richiesta di maggiore democrazia, maggiori politiche sociali, maggiore partecipazione, ma naturalmente lo vogliamo rivolgere secondo un’ottica di ricostruzione di una patria europea fondata sul sovranismo europeo, cioè istituzioni democratiche, istituzioni rappresentative della volontà del popolo, che non si preoccupino di portare avanti politiche surreali e inutili per i bisogni della gente come il green new deal, ma si preoccupino di favorire la natalità, di favorire la crescita dell’occupazione, di favorire lo sviluppo economico attraverso le imprese, soprattutto quelle di carattere famigliare.
Una parola anche sulle elezioni in Calabria.
Il voto in Calabria è come da sempre un voto legato a dinamiche locali; ha vinto il centrodestra, un centrodestra a trazione moderata e questo sicuramente è un elemento su cui porre delle riflessioni. Credo che sia l’occasione buona per avere un numero di regioni più ampio possibile a trazione non di sinistra e che possano quindi cercare di creare un modello di sviluppo al Sud che sia innovativo e potenzialmente diverso da quello visto negli ultimi decenni dalle sinistre. Credo che il Sud abbia bisogno di un riscatto; questa opportunità in Calabria ci sarà con Iole Santelli unicamente se si creerà un grande piano per il Sud, non fatto di assistenzialismo, non fatto di investimenti a gettata di carattere nazionale senza una ricaduta sociale reale, ma cercando di sostenere, incentivare, premiare la vocazione del Sud, che è una vocazione al turismo internazionale, che è una vocazione alla valorizzazione del patrimonio naturale e culturale-artistico presente in quei territori, e di cercare di sgravare di tasse e di burocrazia queste zone d’Italia affinché possano arrivare imprenditori ad investire. È chiaro che uno dei temi fondamentali è anche la lotta alle mafie, la lotta alla corruzione endemica di queste terre, la quale rappresenta uno dei mali perenni su cui occorre battersi, impegnarsi attivamente.
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Mercoledì 5 febbraio 2020