vita e mistica
Il cammino dell'uomo s'incontra, se autentico, con una gioia sovrumana
di padre Max Anselmi C.P.
È possibile mettere insieme, ossia unire la contemplazione della croce e la contemplazione della natura? Paolo della Croce e suo fratello Giovanni Battista appunto perché grandi contemplativi e insieme grandi apostoli hanno dimostrato che non solo è possibile, ma l’hanno pure realizzato. È infatti in questo contesto, contemplativo al massimo e insieme apostolico al massimo, da crederla addirittura impossibile, che va collocata la parte invece tanto grande e vistosa che ha la contemplazione della natura in uomini come Paolo della Croce e suo fratello Giovanni Battista, mistici assoluti della passione e della ardita ed eroica evangelizzazione, persone nelle quali mai ce lo si sarebbe immaginato. Essi ci testimoniano invece che la contemplazione della natura è indispensabile non solo per i mistici della pasqua come sono loro, ma ci precisano pure che essa non è movimento di sentimenti soltanto o questione di esclusivo relax, ma un agire nella verità e nella santità.
In una lettera che in data 9 agosto 1749 diresse a Lucia Burlini, Paolo, servendosi della celebre parola dell’apostolo delle genti “noi non dobbiamo gloriarci in altro che nella Croce del nostro Salvatore Gesù Cristo”, alla sua figlia spirituale particolarmente provata, propone sotto vari aspetti il lieto annuncio, il kerygma della croce. Scrive: “Voi siete felice, e non lo sapete”. Dio “ora perfeziona l’opera che ha incominciata in voi”. “Per mezzo del vostro patire si purifica l’imperfetto, che non conoscete”. Tramite il patire diventerà così compenetrata dalla “luce del Sole Divino”, da restare “tutta trasformata per amore, e per carità”. Lei, spiega Paolo, per dare il suo contributo per glorificare la croce e partecipare alla sua grazia deve solo soffrire bene e volentieri, vale a dire deve “patire, tacere” e in più “cantare in spirito”, ripetendo che non si glorierà che nella croce del dolce Gesù. Tutto questo lo deve compiere in fede, nella solitudine interna. Il proprio centro interiore è il luogo adatto, dove s’impara la scienza dell’amore, di quell’amore santo e martire che ha fame e sete di fare cose grandi per Dio. Notiamo i tre gradini della spiritualità e glorificazione della croce nella propria vita e con la propria vita: “Patite, tacete, e cantate in spirito”. La spiritualità della croce intesa come un “cantare in spirito” trova nelle lettere a Lucia Burlini e poi in alcune altre ad Agnese Grazi delle intuizioni straordinarie. Il “cantare” costituisce il terzo gradino, caratterizzato da una gioia divina, dopo, in ordine, il gradino del patire e quello dell’amare, di un itinerario di partecipazione alla Passione del Messia, il Signore Gesù, e di quella che continua in ogni uomo, fino al suo ritorno glorioso, sempre più alto e totale. I tre momenti della gloriosa partecipazione alla Passione come itinerario di santità, secondo san Paolo della Croce, si possono sintetizzare in tre parole: dolor, amor, gaudium ossia patire, amare, cantare di gioia.
Non abbiamo qui una evidente corrispondenza e integrazione tra spiritualità della natura e spiritualità della croce? Pare proprio di sì! Infatti se si osserva bene, gli elementi della spiritualità della passione sono sostanzialmente gli stessi della spiritualità della natura, con la differenza che, per la spiritualità della passione, il “cantare in spirito” costituisce il terzo gradino, caratterizzato da una gioia divina: esso viene dopo, in ordine, il gradino del patire, che è il primo, e quello dell’amare, che è il secondo. Per la contemplazione della natura, invece, prima viene il fare verità, poi lo stupore, al terzo posto la lode e al quarto posto, come perfezionamento e completamento del terzo, quello del “cantare in spirito”.
Giovedì 9 gennaio 2020