etica del lavoro
La croce, il libro, l'aratro: così san Benedetto coi suoi monaci ha dato avvio a una civiltà
di Gianluca Valpondi
Pregare, meditare, lavorare. Pregare incessantemente per poter discernere il bene dal male (cfr. Simone Weil) in ogni momento, riguardo ad ogni scelta. Il lavoro come partecipazione all’opera creativa e, ancor più, ricreativa (redentiva) di Dio, a partire dall’inizio della nuova creazione: con Maria, la beata vergine Maria, si lavora meglio, si arriva più diretti al fine del nostro lavoro, che non può essere altro che la gloria di Dio. Lavoro dunque come forma di apostolato, l’apostolato del lavoro e il lavoro di apostolato, in quanto re, sacerdoti e profeti mica solo in chiesa! Che, piuttosto, il mondo sia chiesa! Sia corpo di Cristo, mistico. Andiamo nel mondo, incontro al mondo, ad un mondo che geme e soffre in attesa di partecipare alla libertà della gloria dei figli di Dio, che siamo noi. Aspettiamo sì l’adozione a figli e già lo siamo, e adottiamo il mondo, adottiamo il nostro ambito lavorativo, i nostri colleghi, le istituzioni pubbliche e in primis la famiglia, primaria istituzione educativa. Dal lavoro domestico, che è anche arte di educare, di essere sposi e genitori, al lavoro fuori casa, per lanciarsi a cerchi concentrici sempre più lontano senza perdere mai il centro che è il divino Tre della coppia sponsale, ma anche della singola persona, essere-intelletto-volontà, esse, notitia et amor. Il lavoro come missione, come realizzazione della persona, della sua libertà nel dono di sé; il lavoro come sacrificio di soave odore offerto umilmente e gioiosamente a Chi ci dà l’energia ad ogni istante per svolgerlo per il bene nostro e della società. Si lavora anche alla costruzione di una società a misura d’uomo e secondo il progetto di Dio (cfr. san Giovanni P. II), si partecipa lavorando alla comunità locale, nazionale, internazionale; si è nella globalizzazione, ma che sia quella del poliedro non della sfera (cfr. papa Francesco). E allora si combatte anche, sì, si resiste, ci si oppone creativamente al pensiero unico omologante, si perde il lavoro, la libertà, la vita, lavorando nella vigna del Signore, perché il nostro datore di lavoro ha la D maiuscola e il nostro curriculum ce l’ha in mano l’altissima genitrice dell’essenza infinita (cfr. Gregorio di Narek). Dare ordine al cosmo vuol dire indirizzarlo a Dio, ovvero all’Essere Perfettissimo; è dunque scritto nell’essenza stessa delle cose il lavoro che dobbiamo fare su di esse, andando al cuore dell’ordine primordiale e finale di ogni cosa. E tutto questo è bellezza, e questa è la bellezza del lavoro e il lavoro come bellezza, come opera bella, che non vuol dire senza fatica, ma con significato trascendente nella più intima immanenza. Dare valore quindi ad ogni cosa, al più piccolo e umile gesto, dal lavare il water allo scrivere libri, dal potare la siepe al progettare tecnologie d’avanguardia, dal carezzare teneramente il genitore anziano al candidarsi al governo della cosa pubblica. Lo stile di vita di san Benedetto, della scuola benedettina è proprio questa attenzione alle piccole come alle grandi cose con lo sguardo del cuore sempre rivolto al Cielo, sempre rivolto là dove è la vera gioia, e rimanendo coi piedi ben ancorati alla terra, nel lavorare la terra, nel lavorarla questa terra la si impasta di Cielo, la si riempie di Cielo, Cielo in terra, “a miracol mostrare” (Dante), perché “il Regno di Dio è in mezzo a voi”. Così, e solo così, si attua la vera umanizzazione dell’uomo, quell’umanesimo trascendente che permette all’umanità di crescere sempre più in civiltà, nella civiltà della verità e dell’amore, quel progresso che è davvero al servizio dell’umano perché serve la sua divinizzazione, l’esaltazione della sua infinita dignità e altissima vocazione.
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Giovedì 29 agosto 2019