Il PENSIERO DI FERNANDO DA LISBONA
Sovranismo, populismo, neo nazionalismo ma anche identitarismo e fondamentalismo, sono fenomeni dei tempi correnti che ci interrogano su rischi incombenti per la nostra società
di Fernando da Lisbona
Un insieme di semplici considerazioni destinate a indicare volta per volta cosa sia meglio fare, su cosa sia meglio astenersi o intervenire, sono alla base della mia forma mentis improntata sulla pacatezza, più sul raziocinio che sull’orgoglio. Ma leggendo qua e là, ce n'è per tutti i gusti, in termini eufemistici di dolce e salato, per cui è praticamente impossibile esimersi dal dire qualcosina. Mi viene da ridere quando dal nulla spuntano articoli a sfondo politico, non supportati da approfondite analisi della congiuntura attuale, laddove il grande capitalismo si arroga il pieno potere, piegando le istituzioni democratiche ai propri interessi. Il caso è rappresentato dal dispiegarsi del predominio delle élite economiche e finanziarie sul resto della società. Tutto ruota attorno ad una progressiva compressione degli spazi democratici e di partecipazione alla vita pubblica. Un fenomeno che si articola attraverso molteplici che permettono alla plutocrazia di dominare, direttamente o meno, l’intera società. Non sempre ciò avviene in rapida ed ineluttabile concatenazione, ma per certo il potere economico mal digerisce la democrazia. Ecco infatti le ragioni che tendono a vanificare influenza di Dio denaro sulla società: la presenza di voci critiche, di un libero dibattito, di una contrapposizione di istanze diverse tutte legittimate a partecipare all’arena pubblica. Quella serie di garanzie, di pesi e contrappesi a difesa dei cittadini. Ecco perché i potentati economici cercano in ogni modo di alimentare contrarietà e sfiducia verso la politica. Simulacri impiegati con scaltrezza per perpetuare queste logiche sono le false ideologie: sovranismo, populismo, neo nazionalismo ma anche identitarismo e fondamentalismo, fenomeni dei tempi correnti che ci interrogano prepotentemente su questa ipotesi. Attraverso l’antipolitica, tanto sprezzante verso i cosiddetti politici di professione, si può concretizzare un presupposto per gli interessi del grande capitale, il quale così si sbarazza di quegli ostacoli che istituzioni democratiche ben funzionanti e una forte partecipazione dei cittadini alla vita pubblica possono opporre. Con mezzi ben rodati nella storia contemporanea. Fondamentale è, in primis, rendere omogenea l’ideologia generale, grazie ad un sistema mediatico per lo più controllato da chi dispone di rilevanti mezzi economici, convincendo più vasti strati sociali possibile della validità e dell’ineluttabilità del pensiero unico liberista. Risulta dunque naturale perseguire una serie di politiche idonee a indurre la massima concentrazione della ricchezza, anche grazie a sistemi tributari che agevolano i grandi possessori di capitale, e a incidere sul costo del lavoro, diminuendo salari e diritti dei lavoratori. Ancor più proficuo diventa scompaginare qualunque sforzo solidaristico, nell’esaltazione di modelli culturali, ed etici, profondamente concorrenziali che fanno da apripista all’idea che tutto deve essere abbandonato al gioco del mercato libero, pure ambiti fondamentali per la persona, quali la salute o l’educazione familiare e scolastica. E la politica? Questa viene compressa dall’ingerenza potenti lobby a tutela dei grandi interessi economici. Ma in principio esiste un’operazione ancora più subdola. Sotto le mentite spoglie di una sedicente ingegneria costituzionale, si tende a ledere il potere delle rappresentanze parlamentari a favore degli esecutivi, auspicando sistemi elettorali estremamente maggioritari al punto da distorcere la volontà popolare e trasformare una mera minoranza nel Paese in un’ampia maggioranza in Parlamento. Una distorsione del voto che finisce per creare nei cittadini disaffezione per la politica, alimentando l’astensionismo e a disertare maggiormente le urne sono, purtroppo, per lo più le fasce popolari che si privano così dell’unico mezzo legale per far valere le proprie istanze. Un quadro, a mio parere, davvero allarmante. Qualcosa che fa riflettere sulla possibile deriva plutocratica delle nostre società avanzate. Qualcosa che richiede cittadini vigili e consapevoli. Il tutto si riflette anche sulla nozione in politica di quella che detta, con una certa enfasi, si raffigura come identità cattolica. Ovviamente, non perdendo di vista la conclusione dell'esperienza storica della DC e sugli avvenimenti che hanno, nel corso degli anni '90 e successivi, significativamente mutato il quadro politico economico sociale della Repubblica Italiana. È tangibile per chiunque che il concetto di identità sia attualmente abusato in tutti gli ambiti del discorso pubblico, dando luogo ad una proliferazione di sue possibili declinazioni ed accezioni: identità occidentale, europea, nazionale, culturale, religiosa, etnica, locale o regionale, personale ecc. E senza troppo badare se tali espressioni abbiano vero e proprio senso compiuto che ne permetta un utilizzo valido e pertinente, perché la rivendicazione identitaria sembra risultare un’ossessione a tal punto evidente, pervasiva e diffusa da non riuscire più neppure a mascherare le dinamiche che la innescano, le esigenze e le difficoltà individuali e collettive che la generano. È come se lo sbriciolamento della realtà sociale, politica, economica, lavorativa – conseguenza di un mondo reso globale da un mercato totale in costante corto circuito e attorcigliato su stesso nel circolo vizioso della riproduzione di iniquità sociale – avesse reso necessario il ricorso a pratiche identitarie, ovvero all’arroccamento difensivo su posizioni identitarie sufficientemente forti per fornire l’illusione di un barlume di sicurezza. Questo è il paradosso dei micropartiti identitari, ivi inclusi quelli di ispirazione cattolica o presunta tale, con il beneficio del dubbio riguardo che siano meri latori di orgogliosi personalismi. Altro che «Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio».
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Lunedì 29 luglio 2019