nomismatica e distributismo
Occasione del dibattito una trasmissione di Radio Maria: per un'economia a misura d'uomo
di Giovanni Lazzaretti
Qui l'audio della trasmissione di Radio Maria "incriminata" https://www.vanthuanobservatory.org/ita/distributismonomismatica-e-dottrina-sociale-della-chiesa-radio-maria-15-06-2019/
La e-mail del professor Bruni è caratterizzata da 5 punti fondamentali.
Due questioni di fondo
1) La definizione di Distributismo e nOmismatica come “ideologie” (la parola è ripetuta 2 volte)
2) La convinzione che nei media ci debba essere un contraddittorio (parola scritta esplicitamente, e ribadita nel descrivere il moderatore Fabio Trevisan come “schierato”, “senza una domanda critica”, “fan”)
E tre critiche specifiche
3) La tesi che ogni tasso di interesse > 0 è usura è stata abbandonata dalla Chiesa da almeno 4 secoli (povero beato Tovini! !)
4) Keynes è stato erroneamente trasformato in teorico della piena occupazione
5) L’economia italiana è stata erroneamente equiparata alle ex colonie africane.
C’è poi, secondo il prof. Bruni, molto molto altro. Ma non è scritto e non posso controbattere.
Ideologie
Tra le varie definizioni di ideologia, prediligo sempre quella basata sui princìpi non negoziabili: un sistema di pensiero è ideologico se porta alla violazione di almeno un principio non negoziabile.
Altrimenti, se non vìola i principi non negoziabili, è un sistema di pensiero e basta: può essere contestato in un dibattito di idee, ma non può essere “archiviato” come negativo senza conoscerlo.
L’applicazione della parola “ideologia” al Distributismo può essere smontata con facilità: basta leggere la quarta di copertina scritta dal prof. Stefano Zamagni (al quale, curiosamente, il prof. Bruni manda la mail per conoscenza) per il libro “Distributismo” di John Médaille.
Da quella quarta di copertina estraggo due frasi in particolare.
«Invero, non si può giustificare nulla senza presupporre già qualcosa, il che significa che l’economia è costretta a riferirsi a un fondamento che le è esterno».
E ancora: «Dilatare l’orizzonte culturale entro il quale la teoria economica dominante ha finora limitato il discorso economico è la sfida intellettuale che Médaille raccoglie con successo in questo libro».
E la nOmismatica?
Non si troverà un libro intitolato “nOmismatica” (per ora), ma si troveranno moltissime pubblicazioni nOmismatiche di innumerevoli autori.
Lo scopo della nOmismatica è esattamente quello che Zamagni segnala riguardo al Distributismo.
1) L’economia ha bisogno di qualcosa che le sia esterno. Zamagni indica a monte dell’economia l’etica, la storia, la politica, la filosofia. Aggiungiamo anche la matematica, la moneta (intesa come il “nomisma” di Aristotele) e il diritto, e vedrete apparire la nOmismatica.
2) La teoria economica dominante ha limitato il discorso economico in un orizzonte culturale ristretto. La nOmismatica, come il Distributismo, vuole dilatare l’orizzonte.
E la dilatazione fondamentale è quella di studiare la moneta all’atto dell’emissione, non come un sottoprodotto del sistema bancario.
David Ricardo nell’enunciare i princìpi di economia politica chiuse la questione della moneta: «È già stato scritto così tanto sulla moneta, che, fra coloro che dedicano la loro attenzione a questo argomento, soltanto chi sia accecato dal pregiudizio può ignorarne i veri princìpi. Mi limiterò, dunque, a una breve rassegna di alcune delle leggi generali che ne regolano la quantità e il valore».
Dichiarò così, «con un anatema, la separazione tra economia reale e economia monetaria, e la sostanziale irrilevanza di quest’ultima nell’equilibrio di lungo periodo».
Gli studenti di economia seguono tutti questo schema: vengono formati pensando che la moneta sia una cosa marginale e, a lungo termine, irrilevante. Noi sappiamo invece che Ricardo sbagliava. Come viene emessa la moneta non solo è rilevante, ma è talmente rilevante da poter devastare il mondo.
Questo studio è il compito della nOmismatica. E la nOmismatica, come il Distributismo, non ha cattedre universitarie (anche se coinvolge diversi cattedratici), ma ha solo “cultori della materia”.
Contraddittorio
L’idea che nei media debba sempre esserci un dibattito tra parti avverse è un’idea recente, che nasce più o meno con il bipolarismo da sistema maggioritario e da “seconda repubblica”.
Da 22 anni collaboro all’organizzazione di conferenze per il Circolo Culturale “J. Maritain”: a nessuno dei soci o dei simpatizzanti è mai venuto in mente di proporre “dibattiti”. Si studiano degli argomenti, li si propone, si scelgono i 7 argomenti ritenuti più interessanti per l’annata, si chiamano relatori ad esporre il loro pensiero in maniera ampia e senza interruzioni. Seguono poi le domande libere.
Lo stile delle trasmissioni dell’Osservatorio è il medesimo del Circolo Maritain: il conduttore pone domande dopo aver studiato l’argomento e dopo averlo scelto come tema da proporre a tutti.
Trevisan non è quindi un conduttore in stile televisivo, ma è un “cultore della materia” che ha studiato e scelto.
Tasso zero
Non so a quale documento della Chiesa si riferisca il prof. Bruni quando dice che la Chiesa ha abbandonato da più di 4 secoli l’idea che ogni tasso d’interesse è usuraio.
Sappiamo per certo alcune cose.
1) Gesù nel Vangelo di Luca dice: «Prestate senza sperarne nulla». Frase che si può interpretare in modo morbido (niente interessi) o in modo duro (prestate senza interessi, e rischiate pure il capitale).
2) La Chiesa delle origini impostò la dottrina in modo conforme alla parola di Gesù: per secoli il prestito a interesse fu vietato come una delle pratiche più sporche che un cristiano potesse fare. Ancora nel 1311 il Concilio di Vienne condannava il prestito a interesse, nonché i regnanti che lo tolleravano nei loro territori.
3) Poi, più o meno nell’epoca indicata dal prof. Bruni, inizia una prassi erronea, che viene rettificata nuovamente nel 1745 da Benedetto XIV nell’Enciclica Vix Pervenit.
Sintetizzo la Vix Pervenit, invitando alla lettura integrale.
a) Ogni guadagno che superi il capitale prestato è illecito ed ha carattere usuraio. A scanso di equivoci, l’Enciclica precisa che ciò vale anche se l’interesse è moderato, anche se è un povero a prestare a un ricco, anche se chi riceve il prestito ne trae cospicui guadagni.
b) È possibile che esistano, a fianco del prestito, altri titoli esplicitamente concordati e scritti; è possibile che da questi titoli derivi una ragione legittima di esigere qualcosa in più del capitale prestato.
c) «Ciascuno si convincerà a torto e in modo sconsiderato che si trovino sempre e in ogni dove altri titoli legittimi accanto al prestito. Se alcuno sarà di questa opinione, avverserà non solo i divini documenti e il giudizio della Chiesa Cattolica sull’usura, ma anche l’umano senso comune e la ragione naturale.»
La Chiesa quindi mai, e in nessun modo, ha sdoganato il prestito a interesse: siamo vittime di un colossale malinteso. Ci siamo abituati a parlare genericamente di “capitale”, mentre il capitale va distinto in due tipologie: capitale per il lavoro, che ha insito in sé il concetto di rischio (e, se rischi assieme all’imprenditore, allora hai titolo per un “di più”); e capitale “mutuatario”, che vuole invece guadagnare evitando il rischio.
Si poteva deridere la Vix Pervenit come fuori dal tempo, fino a non molti anni fa. Invece l’Enciclica anticipava i tempi: evidenziava che l’interesse legato al puro prestito era un virus che prima o poi avrebbe mostrato violentemente i suoi effetti.
Prima c’era il circuito: lavoro > guadagno > risparmio > prestito.
Adesso c’è il circuito: prestito > creazione del denaro dal nulla > guadagno per i redditieri > rovina per chi lavora.
Uno dei compiti della nOmismatica è quello di riportare l’economia al circuito lavoro > guadagno > risparmio > prestito; per questo è necessario conoscere la matematica e l’emissione monetaria, in particolare comprendere il concetto di moneta-debito. Il compito della nOmismatica è quindi in piena sintonia con la Dottrina Sociale della Chiesa.
Dimmi come pensi la moneta e ti dirò come pensi l’economia.
Dimmi come pensi l’economia e ti dirò come pensi l’uomo
Dimmi come pensi l’uomo e ti dirò in che cosa riponi la tua fede.
Così scrivono, saggiamente, i due bocconiani nOmismatici che sono tra i miei autori preferiti.
Un cattivo ragionamento sul “nomisma”, sulla moneta che sta a monte dell’economia, è indice di una fede mal collocata. E quindi la nOmismatica ha avuto posto nella trasmissione dell’Osservatorio Van Thuân a pieno titolo e a ragion veduta.
Il beato Tovini ovviamente non ci dà indicazioni sulla bontà o meno del prestito a interesse: era un banchiere illuminato del suo tempo, non so se conosceva la Vix Pervenit, è beato perché ne hanno riconosciuto l’eroicità delle virtù e perché è stato riconosciuto un miracolo, non perché chiedeva o distribuiva interessi.
Del resto invoco quotidianamente San Giacomo della Marca, santo grandioso, ma con un piccolo “buco” concettuale sul tema del piccolo interesse per il funzionamento dei Monti di Pietà.
Keynes
Keynes era o non era un teorico della piena occupazione?
Partiamo da lontano (semplifico in maniera brutale).
La battaglia che si combatté nel 1944 a Bretton Woods per creare il nuovo sistema monetario vedeva in lizza il “principio di liquidità” contro il “principio di compensazione”. Da una parte c’era il piano White: prevedeva un ente sovranazionale dove gli Stati avrebbero potuto accedere a prestiti in proporzione della quota di capitale versata, in un sistema centrato sul dollaro. Dall’altra parte c’era il piano Keynes: prevedeva una camera di compensazione (CdC) nella quale le quote degli Stati sarebbero state legate al volume del commercio estero, compensando debiti e crediti con una moneta virtuale denominata BANCOR.
Il principio di liquidità fu vincente, ma la realtà dei fatti fece resistenza: per ben 14 anni non si riuscirono a rendere stabili i cambi col dollaro, e l’Europa si stabilizzò solo grazie all’Unione Europea dei Pagamenti, che era una CdC.
Perché ricordo questo?
Perché, lo si voglia o no, gli stati democratici nel dopoguerra hanno sempre vissuto in una di queste macroaree di pensiero: area liberista e area keynesiana, con tutte le varianti possibili e immaginabili, e con “dosaggi” fra le due aree.
Da una parte la liquidità, il mercato, il denaro-merce, lo Stato fastidioso regolatore.
Dall’altra l’economia reale, il denaro convenzione, le compensazioni, lo Stato benefico promotore.
Quello che ho detto in trasmissione è che il raggiungimento della piena occupazione in Italia avvenne sotto un modello vagamento keynesiano, certamente non liberista.
Ma, aggiungo, può esistere un economista che non sia teorico della piena occupazione?
Cito da Amato – Fantacci, “Per un pugno di Bitcoin”: «C’è un’interazione profonda fra micro e macroeconomia che dipende in maniera decisiva dalla peculiare forma delle istituzioni monetarie: solo un’architettura monetaria in cui per la collettività nel suo insieme la moneta è non fine ma mezzo può orientare le decisioni microeconomiche (quelle in cui fare i soldi può legittimamente essere un fine) in una direzione che non sia incompatibile con il raggiungimento del fine propriamente macroeconomico che (ricordiamolo agli smemorati) è di assicurare le condizioni del pieno impiego».
Se sei economista, le condizioni del pieno impiego sono il tuo obiettivo primario (l’ateo e il cattolico, l’idealista e il nichilista, devono tutti mantenere la famiglia); se dichiari che è bene che esista un buon tasso di disoccupazione, sei un ideologo neoliberista.
Keynes era o non era un teorico della piena occupazione?
Possiamo dire empiricamente che la piena occupazione (e, aggiungo, piena occupazione in cui il lavoratore ha i mezzi per mantenere la famiglia) si raggiunge tendenzialmente con modelli neo-keynesiani, non certo con modelli neo-liberisti (trascuro volutamente modelli come l’Economia Civile, perché a oggi sono solo modelli di area, non di una nazione intera).
Certamente sono teorici della piena occupazione quelli che chiamo “keynesiani-che-capiscono-più-di-Keynes”: sono tutti nOmismatici, ovviamente.
Africa e Italia
Non ho affatto paragonato l’economia delle ex colonie all’economia italiana.
Ho detto semplicemente che il neoliberismo ha applicato le sue ricette identiche in Africa e in Italia. In Italia ha impiegato molto più tempo, perché, sottolineavo, la nostra economia è ben diversa da quella africana.
In Africa.
– Creazioni di unioni monetarie, unioni doganali e trattati commerciali vari.
– Legame della classe dirigente con le potenze finanziarie estere.
– Si fa credere alla classe dirigente che lo sviluppo del paese ha bisogno necessariamente di finanziamenti e aiuti esterni.
– La partenza è effettivamente buona, l’economia drogata dal credito accelera, e invoglia a continuare.
– A un certo punto il “servizio del debito”, cioè il pagamento degli interessi passivi, diventa insostenibile.
– Il debito viene ristrutturato e rinnovato, a patto che inizino le “riforme strutturali”.
– Tagli alla spesa sociale, privatizzazioni, liberalizzazioni, aree di libero scambio, conversione dell’economia dalle produzioni locali alle produzioni per l’esportazione.
– Povertà crescente, disuguaglianze crescenti, corruzione a tutti i livelli come mezzo di sopravvivenza.
– La colpa, naturalmente, viene assegnata al popolo stesso “che vive al di sopra delle proprie possibilità”.
– I soli interessi passivi prelevati a ogni Stato sono 2, 3, 4,… volte il debito originario. E il debito mai si estingue, autoalimentato dagli interessi passivi.
Era ciò che dicevamo nel 2000 con le campagne di remissione del debito.
E in Italia?
– Debito dello Stato venduto all’estero.
– Debito autoalimentato dagli interessi passivi
– Classi dirigenti succubi della finanza,
– Tagli alla spesa sociale per “servire il debito”
– Privatizzazioni, liberalizzazioni, conversione dell’economia dal mercato interno alle esportazioni.
– Povertà crescente, disuguaglianze crescenti.
– Colpa assegnata al popolo stesso “che vive al di sopra delle proprie possibilità”.
Confermo quindi quanto ho detto in trasmissione sulla trappola neoliberista, creata attraverso una gabbia monetaria.
La nOmismatica si occupa anche di questo.
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Sabato 29 giugno 2019