Vi spieghiamo le ragioni tecniche che scollegano le migrazioni dall'uso del cfa
È disarmante l'impreparazione del vicepremier Luigi Di Maio che, alla già difficile situazione italiana, preferisce gettare fango sui francesi. Ecco trovato il nemico da incolpare in vista delle elezioni europee
di Girolamo Pittaluga
Non bastassero i problemi che l’Italia ha già di suo, le esternazioni dei giorni scorsi del vicepremier Luigi Di Maio, del Movimento 5 Stelle, e del suo alter ego Alessandro Di Battista, durante la presentazione del Reddito di cittadinanza, a fomentare la folla ci pensano le ultime dichiarazioni sulla Francia e il Franco CFA. Nei giorni scorsi, l’ambasciatrice italiana a Parigi, Teresa Castaldo, è stata convocata dal ministero degli Affari comunitari francese per le parole di Di Maio, il quale ha ribadito che “è tutto vero, se ne occupi la Ue”. Ma di vero non c’è un bel nulla, tutto falso. Ad asserirlo è il quotidiano economico Il Sole 24 Ore che ieri, 22 gennaio, ha pubblicato un resoconto dettagliato di come sia del tutto inesatto attribuire il fenomeno migratorio dai Paesi africani verso l’Italia all’utilizzo della moneta francese.
Il franco CFA, che inizialmente si chiamava “franco delle colonie francesi d'Africa”, è una valuta in uso presso due gruppi di Paesi africani che la adottano dal lontano 1945. Il Tesoro francese ne garantisce la convertibilità. È una moneta utilizzata in 14 Paesi dell’Africa centrale e occidentale, quasi tutti francofoni, e quasi tutti ex colonie francesi. Ad eccezione della Guinea equatoriale (ex colonia spagnola) e della Guinea-Bissau (ex colonia portoghese). Un primo gruppo di Paesi appartiene all’Africa centrale (Camerun, Repubblica centrafricana, Congo, Gabon, Guinea equatoriale, Ciad) riuniti nella Comunità economica e monetaria dell'Africa centrale (Cemac); un secondo gruppo appartiene all’Africa occidentale (Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guina Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo) riuniti nell’Unione economica e monetaria ovest-africana (Uemoa).
Secondo il vicepresidente Di Maio, i migranti provenienti dall’Africa altro non sono che vittime di questo sistema imposto dalla Francia, la quale avrebbe “colonizzato” i Paesi africani con una nuova forma di colonialismo economico. L’accusa avanzata anche da Alessandro Di Battista e dalla leader di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni, non poggia su fondamenta solide, anzi. È un’osservazione talmente approssimativa da ricordare quanto sostenuto in passato da Barbara Lezzi secondo cui il Pil aumenta o diminuisce in base ai “climatizzatori accesi”. Analizzando i dati sulle migrazioni, dati ufficiali rilasciati da ministero dell’Interno, Eurostat e Frontex, si evince che non esiste alcun nesso fra chi utilizza il franco CFA in Africa e il numero dei migranti che sbarcano in Italia. Nella lista dei migranti sbarcati sulle nostre coste, il primo Paese che utilizza il CFA è la Costa d’Avorio, che nella classifica degli sbarchi è solo all’8° posto. Fra gli oltre 23 mila migranti sbarcati in Italia nel 2008, quelli provenienti dai Paesi della valuta francese sono meno del 9 per cento.
Il franco CFA aveva inizialmente parità con il franco francese. Con l’Euro il suo valore è stato adeguato alla nuova moneta unica (un euro è pari a 655,957 franchi CFA) e la Banca di Francia ha continuato a garantirne la convertibilità. Il gruppo di Paesi dell’Africa occidentale hanno come istituto di emissione la BCEAO (Banque centrale des États de l’Afrique de l’Ouest), il gruppo dei Paesi dell’Africa centrale la BEAC (Banque des États de l’Afrique centrale). L’adozione di questa moneta è da sempre facoltativa e mai imposta dalla Francia, tanto che il presidente Emmanuel Macron ha più volte ribadito che non esiste alcun obbligo per i paesi africani di utilizzarla, e che qualora lo ritengano necessario possono adempiere al conio di nuova e differente moneta. In realtà la moneta francese ha in sé una serie di vantaggi per chi la utilizza: è legata all’Euro e in base a questo negozia il suo cambio; è garantita dal Tesoro francese; conserva una riserva presso la Banca di Francia che ne garantisce il cambio; consente alla comunità francese di collaborare alla politica monetaria dei paesi dell’area Cfa.
Nel 2018, quindi, le persone sbarcate in Italia e che utilizzano il franco francese, in base ai dati del ministero dell’Interno sono meno di 2 mila. Dalla Costa d’Avorio sono arrivate appena 1.064 persone su 23.370. Le nazioni da cui partono i migranti sono, per la maggiore: Tunisia, Eritrea, Iraq, Sudan, Pakistan, Nigeria, Algeria, e nessuno di questi paesi utilizza il franco Cfa. C’è poi da dire che i governi dei paesi che adottano la moneta francese sono ben contenti di farlo, quindi perché dovrebbero abbandonarla? Ciò che il ministro Di Maio ignora e ciò che lui definisce erroneamente “colonialismo” si traduce in realtà in “cooperazione internazionale”. Ma evidente non sa neppure cosa sia. L’accusa alla Francia di tassare i 14 paesi africani investendo il 50 per cento delle loro riserve in titoli di Stato francese per finanziare la spesa pubblica è semplicemente una balla. Se tutte le riserve fossero investite in titoli di Stato francesi non supererebbero lo 0,5% di tutto il debito francese. Se volessimo individuare un valido motivo per giustificare l’affondo di Di Maio, potremmo pensare che le esportazioni africane, basate principalmente su prodotti agricoli come ad esempio il cacao della Costa d’Avorio, possano essere in qualche modo svantaggiate a causa della forza della moneta che invece favorisce le esportazioni europee. Ma anche questa non è una scienza esatta.
I 5 Stelle dimenticano che il primo partner commerciale di tutta l’Africa è ormai diventato la Cina, che in Africa sta costruendo infrastrutture, ponti, strade, e da molti anni specialmente in Kenya, ha creato scuole di diffusione della lingua per preparare gli africani a parlare in cinese mandarino. La Francia, seppure abbia interesse nell’importazione di uranio, quale materia prima per la produzione di energia nucleare, in cambio ha dato sempre collaborazione e cooperazione, in ultima istanza l’intervento militare che ha garantito di esplicitare la democrazia a seguito delle ultime elezioni politiche, quando l’uscente Laurent Gbagbo minacciò di non dimettersi nonostante fosse uscito sconfitto alle elezioni. Parigi ha inoltre contrastato l’avanzata jihadista in Mali. E dal pianeta anche India, Turchia e Brasile hanno dimostrato interesse ad accaparrarsi le risorse minerarie e le materie prime africane. E recentemente la Germania ha superato la Francia nell’export.
Che quella di Di Maio sia solo una trovata elettorale in vista delle prossime elezioni europee? Il vicepresidente e il ministro degli Esteri italiano Enzo Moavero Milanesi si preoccupino piuttosto di spiegare agli italiani dove sono finite le nostre collaborazioni coi paesi africani, con le nostre ex colonie, quali la Libia, la Somalia, l’Eritrea, l’Etiopia. Sarebbe interessante capire quale politica internazionale intendano portare avanti in Africa. A noi par di vedere che non esiste alcuna ambizione. Nessuna cooperazione bilaterale. I dati di diffusione della cultura europea all’estero parlano chiaro: il francese è utilizzato in Africa da oltre 100 milioni di persone, cioè metà della popolazione mondiale che parla in francese vive in Africa. In Somalia e in Libia, invece, l’italiano è ormai un miraggio. Un tempo veniva parlato da tutti. Oggi i somali preferiscono di gran lunga la loro lingua locale.
Mercoledì 23 gennaio 2019