giustizia sociale, libertà e democrazia
Neoliberismo e leaderismo sono piaghe che inquinano la politica italiana
di Davide Gionco
Da decenni in Italia è in atto una campagna culturale sistematica volta ad imporre un pensiero unico in modo da impedire al popolo italiano di rendersi conto dei meccanismi attraverso i quali ristretti gruppi di persone (i cosiddetti «poteri forti») impongono la propria volontà per favorire i propri interessi.
Questa campagna culturale, finanziata a suon di dollari e, più recentemente, anche di euro, si attua attraverso i principali organismi di informazione di massa: tv nazionali, radio nazionali, principali testate giornalistiche; ma anche indirizzando la cultura a livello universitario, finanziando seminari che propagandano certi contenuti e non finanziando seminari che propagandano altri tipi di contenuti.
Una prima linea direttrice del pensiero unico è stata la diffusione dell’idea che la pace e la prosperità economica siano maggiormente garantite dalla cessione della sovranità nazionale ad organismi internazionali.
Questo è avvenuto in particolar modo con l’istituzione della Comunità Economica Europea, poi divenuta Unione Europea, e con i vari trattati di libero commercio (GATT, WTO, CETA, ecc).
In questo modo le istituzioni democraticamente elette hanno ridotto i propri ambiti di competenza, cedendo il potere decisionale ad altri organismi super-nazionali, sempre caratterizzati da una grande «distanza democratica» dagli elettori.
Per fare un esempio concreto: quale controllo hanno i cittadini italiani ed europei sulle scelte di politica economica della Banca Centrale Europea?
Mario Draghi oggi può decidere in poche ore di modificare le politiche monetarie della BCE, con pesanti ricadute sull’economia reale dei vari paesi dell’Eurozona.
Mario Draghi è stato nominato governatore della BCE dopo un accordo fra i governatori delle varie banche centrali coinvolte e dopo un accordo politico fra le principali nazioni europee.
Per potere influenzare le decisioni di Draghi i cittadini europei oggi dovrebbero votare dei partiti all’interno di diverse nazioni, i quali abbiano la forza di influenzare le nomine dei governatori delle banche centrali nazionali, fino a determinare un cambiamento di persona o almeno di linea politica nella condotta del governatore della BCE.
Dal punto di vista democratico questo processo richiederebbe molti anni, mentre Draghi ha il potere di cambiare linea politica, in totale autonomia (o quasi) nel giro di poche ore o di pochi giorni.
La grande distanza democratica fra la BCE, la Commissione Europea, le governance dei vari accordi di libero commercio internazionale e gli elettori dei paesi che ne subiscono le conseguenze ha progressivamente instaurato una sorta di regime ordoliberista, in cui le istituzioni democratiche sono formalmente mantenute, ma dove le decisioni che contano vengono prese altrove, da persone democraticamente molto distanti dagli elettori, senza una reale possibilità di modificarle, se non con estrema difficoltà.
L’attuale presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker affermò:
“Prendiamo una decisione, poi la mettiamo sul tavolo e aspettiamo un po^ per vedere che succede. Se non provoca proteste né rivolte, perché la maggior parte della gente non capisce niente di cosa è stato deciso, andiamo avanti passo dopo passo fino al punto di non ritorno“
Dato che a livello ideologico si ritiene «cosa buona» che il parlamento nazionale democraticamente eletto si adegui a decisioni prese comunemente a livello europeo (slogan : «Ce lo chiede l’Europa»), nessuno si accorge che gli organismi che decidono a livello europeo sono democraticamente molto distanti dagli elettori, praticamente fuori dal loro controllo, ma molto vicini all’influenza delle varie lobbies di potere.
A livello economico la ripetizione per decenni sulle prime pagine dei giornali e nei telegiornali di idee come «privato è efficiente, pubblico è inefficiente», «lo stato è come un padre di famiglia, non può spendere più di quanto incassa», «siamo vissuti sopra le nostre possibilità», ha reso queste affermazioni delle verità assolute e praticamente indiscutibili, di patrimonio comune, fondamento delle decisioni dei principali partiti politici.
Questo quando sottoponendo queste affermazioni ad una semplice verifica logica o ad un confronto oggettivo con i fatti, si dimostra facilmente che si tratti di affermazioni false o vere solo in alcuni casi specifici.
In Italia tutti possiamo valutare come le moltissime privatizzazioni abbiano originato dei monopoli-oligopoli privati, in cui generalmente si sono registrati solo degli aumenti tariffari uniti ad un peggioramento dei servizi.
Un’azione simile è avvenuta per decenni a livello universitario, dove a suon di cospicui finanziamenti privati alcune facoltà di economia come la Bocconi di Milano si sono affermate sulle altre. Nelle stesse università sono state sponsorizzate le teorie economiche «neoliberiste» a discapito delle teorie economiche «keynesiane».
Questa affermazione non è avvenuta a motivo di una superiorità oggettiva e matematicamente dimostrata delle une sulle altre, ma a motivo di una maggiore utilità per i mercati delle teorie neoliberiste, che prevedono un ruolo molto marginale dello Stato nell’economia, rispetto alle teorie keynesiane che prevedono invece un ruolo centrale dello stato nell’economia.
Con la crisi economica perdurante dal 2008 in Italia e in molti paesi europei le teorie neoliberiste hanno dimostrato tutta la loro inadeguatezza sia nel prevedere eventi economici futuri, sia nel trovare soluzioni adeguate ai problemi attuali.
Ciò nonostante buona parte del mondo accademico e la maggior parte dei mass media continuano a considerare unicamente le teorie neoliberiste, giocando un ruolo determinante nel perdurare della crisi economica, di cui, nell’applicazione rigorosa delle dottrine neoliberiste, non si vede l’uscita.
Vi è infine stata una terza pesante azione ideologica che ha modificato la cultura occidentale, soprattutto in Italia, e che ha portato alla graduale scomparsa dei partiti tradizionali, fondati su di una precisa visione del mondo (DC = Dottrina Sociale della Chiesa ; PCI = Marx, Engels, Lenin e Gramsci ; ecc.) portando alla diffusione di partiti profondamente legati alla leadership di una persona (Berlusconi, Di Pietro, Bossi, Grillo, Vendola, Renzi, Salvini, ecc.).
L’idea di fondo è che per creare un partito politico sia indispensabile avere un leader da seguire. Questa idea viene avvalorata dal modo che i mass media hanno di presentare i personaggi della politica.
Tuttavia la storia dimostra che in molti casi non è stato così.
Il Partito Popolare Italiano, poi divenuto Democrazia Cristiana, prese origine da una iniziativa di don Luigi Sturzo, il quale si rifaceva al quadro di valori tracciato dalla Dottrina Sociale della Chiesa.
Tuttavia l’affermazione di questo partito avvenne ad opera di persone come Alcide De Gasperi, Giorgio La Pira, Amintore Fanfani, Aldo Moro, Giulio Andreotti, i quali emersero come «leader naturali» all’interno del partito, che aveva al suo interno dei meccanismi democratici.
Qualcosa di simile accadde per il PCI, il PSI, il Partito Repubblicano ed altri partiti che fecero la storia della Prima Repubblica italiana.
Nell’epoca in cui i mass-media non avevano il potere che hanno oggi i partiti nascevano intorno a delle idee, intorno ad una visione di società. I leader politici emergevano «naturalmente» attraverso l’attività politica svolta all’interno di quei partiti.
Oggi, in un’epoca in cui i mass-media condizionano pesantemente il pensare comune, i partiti nascono intorno ad un leader forte, il quale si propone come padre-padrone e senza del quale il partito cesserebbe di esistere.
Questa inversione del processo democratico da « idee -> partito leader » a « leader -> idee -> partito » in realtà non è «naturale», ma è causata dall’utilizzo non democratico dei mass-media, i quali, come ho già illustrato precedentemente, agiscono non nell’interesse comune, ma nell’interesse di ristretti gruppi di potere, i quali li usano per manipolare l’opinione pubblica. Compresi, e soprattutto, i partiti politici.
L’idea per cui in assenza di un leader forte non sia possibile costituire un partito politico è in realtà una «ideologia leaderista», in cui si attribuisce un eccesso di importanza al leader politico e in cui ci cede ai mass-media «non-democratici» il potere di creare o di distruggere una leadership politica, mentre in realtà dovrebbe essere unicamente l’attività politica all’interno del partito a fare emergere, in ragione delle loro capacità, i leader politici.
Dobbiamo certamente prendere atto del fatto che il popolo italiano ha subito l’affermazione dell’ideologia leaderista, così come della ideologia ordoliberista e delle dottrine economiche neoliberiste.
Nello stesso tempo non dovremmo accettare che la maggior parte delle nuove realtà che vorrebbero salvare l’Italia dagli effetti dell’ordoliberismo e del neoliberismo restino succubi dell’ideologia del leaderismo, in attesa da troppi anni di un leader politico forte da seguire che non emergerà mai.
Non emergerà mai, perché lo strumento attraverso il quale questa leadership dovrebbe emergere, che sono i mass-media, è controllato in gran parte dallo stesso nemico che si intenderebbe sconfiggere.
Sulla base di quanto sopra esposto ritengo di affermare che un vero cambiamento politico in Italia ce lo avremo solo quando sapremo costruire un nuovo partito fondato su delle idee forti e non su delle personalità forti.
Le personalità forti dovranno emergere ed emergeranno solo in seguito, dopo che il partito si sarà formato, e saranno personalità a servizio della causa, non padri-padroni di un partito che non può ammettere altre personalità forti.
Martedì 15 gennaio 2019