torture sessuali in libia

Cosa può succedere ai profughi in Libia

Prima di parlare di rispedire da dove si sono imbarcati gli immigrati non aventi diritto di asilo politico, dovremmo chiederci cosa davvero succede, per esempio, in Libia, da dove partono la maggior parte di loro per arrivare sulle nostre coste

di Davide Gionco

Migranti in Libia
Migranti in Libia

Riportiamo questa intervista a Aoife Ní Mhurchú, infermiera irlandese volontaria sulla nave Aquarius, che per mesi ha realizzato salvataggi di migranti in mare.

L’intervista è tratta dalla trasmissione radiofonica “Vacarne” della radio nazionale della Svizzera Francese https://www.rts.ch/play/radio/emission/vacarme?id=4197904& station=a9e7621504c6959e35c3ecbe7f6bed0446cdf8da

Il reportage, in lingua francese, è stato realizzato dalla giornalista Maurine Mercier

Minuti 14.40 – 20.50

È probabilmente vero che la maggior parte dei migranti che partono per l’Europa non partono da situazioni che consentono loro di ricevere l’asilo politico. Molti partono in cerca di una vita economica migliore, prendendo in prestito magari 10mila euro per pagarsi il viaggio, che contano di restituire una volta trovato un lavoro in Europa. La realtà è che quando arrivano in Libia, terra fuori dal controllo di qualcosa che assomigli ad una Democrazia, queste persone vengono rapite e rinchiuse in campi di detenzione dove persone senza scrupoli agiscono in ogni modo per estorcere a loro ed alle loro famiglie tutto il denaro possibile.

Quando non c’è più nulla da estorcere, le persone vengono eliminate, anche nei modi efferati sotto descritti, per fare spazio a nuovi arrivi.

Quindi in realtà molte di queste persone non partono da situazioni che danno diritto all’asilo politico, ma poi, quando si trovano detenute in Libia, vengono a trovarsi in situazioni che giustificherebbero la concessione di asilo politico.

In altri articoli abbiamo parlato del “perché partono” e delle molte responsabilità di governi occidentali. Ora vogliamo limitarci a rendere pubblica una situazione inaccettabile che dovrebbe interrogarci tutti, innanzitutto come esseri umani.

Lei è infermiera, le domando di presentarsi…

Mi chiamo Aoife Ní, ho 42 anni, vengo da Cork, in Irlanda, sono infermiera da 15 anni.
Vengo da una famiglia di 10 figli, per cui già da piccola ho imparato a condividere e già da piccola a prendermi cura degli altri.
E poi un mio zio ha vissuto per 40 anni in Africa e sono presto rimasta affascinata da questo continente grazie alle sue storie ed alle sue fotografie.
Tutto questo ha contribuito a farmi diventare ciò che sono oggi e a prendere le decisioni che ho preso nella mia vita.

A parte questo sono una persona piuttosto positiva e fortunata nella mia vita.

Può mostrarmi la sua clinica?

La clinica è così piccola che non possiamo accogliere che poche persone tutte insieme. Un po^ piccola, 8 metri per 8, anzi, forse solo 6 metri per 8.

Da quanto tempo è sulla nave?

Sono sulla nave da 6 mesi e poi lo scorso anno ho lavorato per Medici Senza frontiere, il che mi permette di sapere cosa succede sul posto [in Libia].

Si tratta di una situazione francamente disperata, mai in 15 anni di carriera avevo visto una tale livello di sofferenza. Ho lavorato in contesti di disastri naturali, di guerra… Le sofferenze che ho visto là sono della follia umana.

Ci sono degli strupri. La maggioranza delle donne viene violentata, ma anche gli uomini. E lei si è dovuta confrontare con queste situazioni?

Sì, e si tratta di un soggetto tabù, terribile.
Della maggior parte di questi casi di violenza sessuale estrema con cui ho avuto a che fare non ne ho neppure parlato con il resto dell’équipe, da quanto queste storie sono di disperazione ed anche perturbanti.
Per me è complicato parlarne, ma è ancora più difficile per gli altri ascoltare.
È evidente che le violenze sessuali commesse in Libia sugli uomini, e sui giovani uomini, sono particolarmente spaventose e diffuse.

Posso chiederle di raccontarmi?

Un giovane uomo, che è stato imprigionato per un anno, mi ha raccontato degli shock elettrici che ha subito al fine di estorcergli del denaro.

Mi scusi, è così estremo che non glie ne parlo volentieri… Mi concede 5 minuti? (l’infermiera sta male nel condividere queste storie sulle violenze…) Vuole che chiuda la porta?

Sì, grazie.

Se le chiedo di raccontarmi ciò che gli uomini le hanno spiegato riguardo alle torture sessuali in Libia?

Ho sentito parlare di tutte le violenze sessuali possibili e immaginabili.
Questo giovane uomo mi ha spiegato come i guardiani si organizzano per fare spazio nelle prigioni e sbarazzarsi delle persone.
Dicono “
È ora di fare pulizia”.
Riuniscono insieme uomini e donne, mussulmani e cristiani.
Ordinano a tutti di svestirsi.
Le donne nude davanti gli uomini e viceversa.

Quindi obbligano le donne ad usare tutti i mezzi per fare avere erezione agli uomini, lì davanti a loro.
Quando l’erezione avviene, tagliano il pene all’uomo.
Se l’erezione non avviene, la guardia violenta la donna con un bastone, fino a farla morire di emorragia.
È il metodo che utilizzano per fare spazio nella prigione e sbarazzarsi di molte persone.
Le donne sanno che se non riescono a provocare l’erezione, vengono violentate fino alla morte.
Il giovane uomo mi ha spiegato come le guardie riprendono queste scene e ordinano alle donne di prendersi il loro tempo.
Ha anche spiegato come questo metodo sia utilizzato regolarmente dalle guardie per divertirsi, ma anche per liberarsi dalle persone dalle quali non possono più estorcere del denaro.
Tre dei suoi amici sono morti dissanguati davanti a lui, dopo avere subito il taglio delle parti genitali.
Ecco, questo è il genere di torture sessuali nei campi di detenzione in Libia.

Ed è verso questo paese che l’Unione Europea rimanda i migranti, attraverso la guardia costiera che essa finanzia.
Ecco: le tasse che io pago servono a finanziare chi riporta da dove sono partite le persone che fuggono da queste situazioni.

Ancora una cosa che ci tengo molto a precisare: quando parlo di quanto succede in Libia non parlo della popolazione nel suo insieme. Ci tengo veramente a dirlo.

Martedì 13 novembre 2018