Lo scorso 23 febbraio fu condotta in ospedale per ricevere cure mediche
Secondo Mina Ahadi, del Comitato internazionale contro la lapidazione, Sakineh avrebbe tentato il suicidio in carcere cinque giorni prima di essere portata in ospedale dal carcere di Tabriz, Iran, dov'è detenuta dal 2006
ROMA - Sakineh Mohammadi Ashtiani, la donna irachena accusata di adulterio e concorso nell’omicidio del marito, e per questo condannata alla pena di morte dapprima per lapidazione poi convertita in impiccagione, avrebbe tentato il suicidio nel carcere di Tabriz, in Iran, dov’è reclusa dal 2006 e mai rilasciata. Secondo Mina Ahadi, portavoce del Comitato internazionale contro la lapidazione, la donna avrebbe tentato il suicidio presumibilmente martedì 18 febbraio scorso, cioè cinque giorni prima di essere trasferita in ospedale, il 23 febbraio. Poi dopo qualche giorno la donna sarebbe stata trasferita nella clinica del carcere dov’è tuttora detenuta in pessime condizioni di salute psico-fisica.
Sakineh per la comunità internazionale è diventata il simbolo della pena di morte per lapidazione, una pratica inumana inaccettabile e combattuta da tutte le organizzazioni per i diritti umani. Fu condannata per la prima volta il 15 maggio 2006, da un tribunale di Tabriz, per il reato di “relazione illecita”W””!" che la donna avrebbe avuto con due uomini in seguito alla morte del marito. Fu condannata a ricevere 99 frustate, e la condanna venne eseguita. Poi, nel settembre 2006 ricevette una nuova condanna quando un tribunale penale accusò uno dei due uomini di coinvolgimento nella morte del marito della Ashtiani. Per questo venne condannata per concorso in omicidio quand’era ancora sposata, e condannata a morte per lapidazione. Malek Ejdar Sharifi, capo della magistratura nella provincia di Azerbaijan affermò che “La donna è stata condannata alla pena capitale per aver commesso omicidio e adulterio”.
La Corte Suprema iraniana confermò la sua condanna a morte il 27 maggio 2007, che in seguito fu rinviata, e solo l'Ayatollah Ali Khamenei avrebbe potuto impedire l'esecuzione concedendone la grazia. Il 12 agosto 2010 fu trasmesso dalla prigione iraniana di Tabriz un programma televisivo di Stato, in cui la donna, probabilmente dopo che le furono somministrati dei potenti farmaci, confessò l’adulterio e il coinvolgimento nell'omicidio del marito. Il suo avvocato sostenne che fosse stata torturata per due giorni prima del colloquio. Il 20 agosto il London Times pubblicò la foto di una donna senza velo indicandola erroneamente come la Mohammadi Ashtiani. Il 28 settembre 2010, dopo l’ennesima udienza, Sakineh è stata condannata alla pena capitale mediante impiccagione per omicidio.
Il 2 novembre 2010 il Comitato internazionale contro la lapidazione ha riferito che le autorità di Teheran hanno dato l'autorizzazione per la condanna, da eseguire nella prigione di Tabriz il 3 novembre, mentre Mina Ahadi dichiarò che Sakineh non fu giustiziata; le pressioni dei governi occidentali sul regime di Teheran avrebbero contribuito alla decisione.
Il 9 dicembre 2010 varie fonti del Comitato internazionale contro la lapidazione hanno confermato ufficialmente che l'8 dicembre Sakineh è stata scarcerata, insieme al figlio Sajjad Qaderzadeh e all'avvocato Javid Hutan Kian. La notizia della liberazione è stata tuttavia smentita dall'emittente televisiva iraniana Press TV già il giorno seguente, spiegando che la donna era stata portata nella sua abitazione con il figlio solo per “produrre una ricostruzione video dell'omicidio sulla scena del delitto”. Il 24 luglio 2012, Amnesty International ha sottolineato che il destino di Sakineh Mohammadi Ashtiani è ancora incerto, mentre il suo ex avvocato Javid Houtan Kiyan, spiegò come ormai non ci sia più nulla che si possa fare.
Sabato 1 marzo 2014