Rwanda. Un paese comandato dalle donne

Frammenti Africani

Frammenti Africani è un resoconto giornalistico di tematiche complesse del Continente Africano, futuro epicentro economico mondiale, dove coesistono potenze economiche e militari, crescita economica a due cifre, guerre, colpi di stato, masse di giovani disoccupati e una borghesia in piena crescita.
Un mosaico di situazioni contraddittorie documentate da testimonianze di prima mano e accuratamente analizzate per offrire un'informazione approfondita sulla politica, economia e scoperte scientifiche di un mondo in evoluzione pieno di paradossi.

Fulvio Beltrami

Fulvio Beltrami
Originario del Nord Italia, sposato con un'africana, da dieci anni vivo in Africa, prima a Nairobi ora a Kampala. Ho lavorato nell’ambito degli aiuti umanitari in vari paesi dell'Africa e dell'Asia.
Da qualche anno ho deciso di condividere la mia conoscenza della Regione dei Grandi Laghi (Uganda, Rwanda, Kenya, Tanzania, Burundi, ed Est del Congo RDC) scrivendo articoli sulla regione pubblicati in vari siti web di informazione, come Dillinger, FaiNotizia, African Voices. Dal 2007 ho iniziato la mia carriera professionale come reporter per l’Africa Orientale e Occidentale per L’Indro.
Le fonti delle notizie sono accuratamente scelte tra i mass media regionali, fonti dirette e testimonianze. Un'accurata ricerca dei contesti storici, culturali, sociali e politici è alla base di ogni articolo.

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Lug 11

Rwanda. Un paese comandato dalle donne

Il paese africano vittima dell’Olocausto è al primo posto mondiale nella rappresentanza delle donne negli universi politico ed economico. Un primato che pone il paese africano praticamente sotto il comando femminile. Una rivoluzione rosa che nemmeno le femministe occidentali degli anni Settanta sono riuscite a concretizzare. Dedicato a tutte le donne rwandesi che, soppravissute all’Olocausto, hanno reso possibile la rinasciata sociale ed economica del Rwanda

di Fulvio Beltrami

rwanda

Il Rwanda è il primo paese al mondo con la più alta percentuale di donne al governo (64%) e ai posti manageriali del settori privato e pubblico (42%) secondo la classifica redatta il 1 maggio 2014 da Inter-Parliamentary Union delle Nazioni Unite. Al secondo e terzo posto troviamo Andorra (50%) e Cuba (48,9%). Nella classifica dei primi dieci paesi con maggior partecipazione femminile al parlamento solo due paesi occidentali sono presenti: la Svezia al quarto posto (45%) e la Finlandia all’ottavo posto (42,5%). Gli altri posti sono occupati da paesi cosiddetti del “terzo mondo”: Sud Africa (quinta con 44,8%), Seychelles (sesta con 43,8%), Senegal (settimo posto con 43,3%), Nicaragua (nono con 42,4%) ed Ecuador (decimo con 42,6%).

L’Italia si posiziona al trentunesimo posto con il 31,4% largamente superata da Angola, Argentina, Messico, Mozambico, Serbia, Timor Est e Uganda che ha come presidente del Parlamento una donna. La patria della rivoluzione egualitaria, la Francia viene dopo il Sud Sudan posizionandosi al quarantottesimo posto. La Gran Bretagna è al sessantacinquesimo posto (22,6%) largamente distaccata persino dal Burundi (trentacinquesimo 30,5%). Per non parlare della più grande e rispettata democrazia occidentale, gli Stati Uniti, che si posizionano all'ottantaquattresimo posto, dopo Iraq (cinquantesimo posto), Cina (sessantaduesimo posto) ed Eritrea (sessantottesimo posto). Per ironia della storia tutti questi Stati che superano l’America nella partecipazione femminile al potere sono considerati da Washington come terroristi, regimi comunisti dittatoriali o paesi falliti.

In Rwanda importanti progressi sono stati registrati nel miglioramento delle condizioni socio-economiche delle donne che hanno raggiunto la parità nel settore educativo (università compresa) e il riconoscimento dei diritti economici e di proprietà anche per quanto riguarda terreni ed immobili. Due importanti obiettivi raggiunti che pongono il paese all’avanguardia sul continente. Nella regione di Grandi Laghi l’accesso all’educazione e ai titoli di proprietà rimane ancora un miraggio per le donne burundesi, keniote, tanzaniane e ugandesi. Particolare attenzione viene posta nel servizio sanitario con costose iniziative per assicurare l’assistenza ai periodi pre e post natale e prevenzione tumori all’utero e al seno.

La pianificazione familiare si concentra giustamente sull’uomo tramite l’utilizzo del preservativo o la sterilizzazione. Quest'ultima politica ha dato adito a speculazioni dell’opposizione in esilio, composta unicamente dalle forze genocidarie Hutu Power sfuggite alla giustizia ruandese ed internazionale. Tramite un network di disinformazione in rete, l’opposizione, ha tentato di far passare la sterilizzazione volontaria maschile come un diabolico piano del governo per equilibrare la percentuale di hutu (90%) e tutsi (10%). Secondo le accuse la sterilizzazione sarebbe rivolta unicamente ai cittadini di origine hutu e sarebbe applicata senza il consenso del paziente con il chiaro obiettivo di ridurre progressivamente la popolazione hutu. Le indagini svolte dall’Organizzazione Mondiale della Salute e le Nazioni Unite non hanno trovato alcun riscontro di queste accuse. Anche l’accesso alla giustizia è garantito dagli alti vertici del sistema giudiziario dove operano 14 giudici donne all’interno della Corte Suprema.

Alcune associazioni femministe internazionali nutrono il sospetto che questa impensabile presenza delle donne nei posti chiavi della vita politica ed economia del Rwanda sia uno specchietto per le allodole ideato dal presidente Paul Kagame per compiacere le potenze occidentali e l’opinione pubblica internazionale. Un sospetto che si infrange contro la realtà del paese dove le donne che ricoprono incarichi di prestigio in governo e aziende hanno il pieno potere decisionale. Basti pensare alla presidente della Camera dei deputati, Donatille Mukabalisa o il ministro degli Affari esteri Louise Mushikiwabo. Queste associazioni femministe, che pensano che il mondo femminile ruandese sia strumentalizzato, evidentemente non hanno mai compreso la psicologia e la combattività delle donne ruandesi, eterna fonte di grattacapi e problematiche per la popolazione maschile. A questa situazione non è esente nemmeno il presidente Paul Kagame che può tener testa anche al suo omonimo americano Obama ma non certamente a sua moglie Jannet.

Non si riesce a comprendere come mai il Rwanda sia sempre sotto attenta osservazione di associazioni internazionali che hanno come unico obiettivo quello di individuare la minima falla o mancanza per accusare il governo di essere un regime dittatoriale irrispettoso dei suoi cittadini. Queste attività sono evidentemente in malafede e spesso offrono argomenti alle forze genocidarie che a distanza di 20 anni hanno ancora in mente la soluzione finale. Una ricca letteratura di teorie del complotto è stata prodotta in questi anni del post genocidio. Dalle torture e condizioni disumane nelle carceri, all’arruolamento forzato dei hutu nell’esercito. Dalla sterilizzazione razziale al terrorismo di stato attraverso un network internazionale di killer provenienti dai servizi segreti addestrati dal MOSSAD e aventi obiettivo di eliminare tutti gli oppositori.

Anche il processo di rivoluzione informatica, che prevede computer e connessione alla rete internet in tutte le scuole dalle elementari in poi, è stato accusato di essere un accordo segreto con Bill Gates per assicurare il monopolio di Microsoft nella regione a scapito di altre multinazionali del settore. Qualunque cosa faccia il governo di Kigali queste voci “critiche” trovano la chiave per trasformare iniziative di progresso in complotti internazionali orchestrati dai tutsi. Il governo e la popolazione hanno imparato ad ignorare queste accuse per non togliere preziose iniziative destinate al raggiungimento dell’obiettivo principale del paese: il benessere economico, l’unica arma possibile per evitare un secondo genocidio”, fa notare il giornalista ugandese Frederick Golooba Mutebi.

Una delle ragioni di questo successo delle donne in Rwanda è di natura strettamente pratica. Dopo i terribili 100 giorni, le donne rappresentavano il 70% della popolazione. Il governo comprese subito l’impossibilità di ricostruire il paese utilizzando i classici canali maschili del potere patriarcale in quanto i pochi uomini rimasti servivano per assicurare la difesa nazionale. È proprio la difesa nazionale (esercito e polizia) a rappresentare l’ultimo baluardo sicuro del potere patriarcale ad esclusione dei servizi segreti dove le donne, soprattutto tutsi, vengono largamente utilizzate in tutto il continente. Vari sono i casi di importantissimi e segretissimi documenti di nazioni estere che giungono sulla scrivania del presidente Kagame in quanto ambasciatori e Generali (anche occidentali) detengono un'amante ruandese. L’utilizzo della bellezza e dell'astuzia femminile è giustificato dal dovere di impedire azioni eversive tendenti a ricreare la guerra civile e l’olocausto.

Le donne al servizio dell'Intelligence vengono considerate dalla società come patriote e il Rwanda non ha certamente inventato questo particolare ruolo utilizzato da tutte le sorti di regimi fin dagli albori delle società organizzate della Mesopotamia, Egitto e Grecia. Nonostante i miglioramenti della condizioni femminile rimangono problemi da risolvere come gli elevati casi di violenze familiari di cui le donne sono vittime soprattutto nelle zone rurali e nelle fasce urbane più povere. Problemi di cui il governo è consapevole e sta studiando i rimedi più appropriati. L’assicurazione che questi rimedi verranno trovati risiede nella maggioranza delle donne al governo e Parlamento. Una donna ruandese può snobbare suo marito o tradirlo ma non abbandonerà mai una sua sorella.

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