Quei favolosi anni '60

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Vittorio Sartarelli

Vittorio Sartarelli
Trapanese, classe '37, Sartarelli è uno scrittore brillante appartenente alla tipica letteratura verista italiana. Formatosi al Liceo Classico di Trapani, ha proseguito gli studi universitari in Giurisprudenza all'Università di Palermo. È giornalista e bancario in pensione. Dal suo debutto come scrittore, avvenuto nel 2000, ad oggi è stato insignito di numerosi premi letterari e riconoscimenti.

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Dic 26

Quei favolosi anni '60

Ricordi di Gioventù

di Vittorio Sartarelli

La Televisione, il simbolo di un'epoca

Giunse l’anno del terzo liceo, che Marco e Sara avrebbero, sicuramente, ricordato più degli altri, perché sarebbe stato così denso di traguardi e d’avvenimenti e avrebbe costituito, quasi, una pietra miliare per la futura evoluzione dei loro rapporti di giovani innamorati, gettando le basi della loro futura vita a due. Cominciava la seconda metà del secolo che, a differenza della prima metà, caratterizzata da due terrificanti guerre mondiali che avevano arrecato lutti, distruzioni e miseria nel nostro Paese, si annunciava, ora, un’era piena di sconvolgimenti sociali, di progresso scientifico e industriale e di un netto miglioramento socio economico degli Italiani.

C’è una canzone, che, ascoltandola, suscita nella mente delle persone, ormai, non più giovani, il ricordo nostalgico e struggente del periodo migliore della propria vita, che è certamente quello della giovinezza, questa canzone è stata e rimane emblematica e quasi magicamente legata alla propria giovane età e ci ha dato, quindi, lo spunto per il racconto che stiamo scrivendo.

L’Italia, provata duramente dall’ultima guerra, pian piano aveva rimarginato le sue ferite e, grazie all’ingegno ed alla laboriosità degli Italiani ed al supporto economico degli Stati Uniti, vedi il “Piano Marshall”, stava emergendo dai flutti delle sue disgrazie. Le industrie e, soprattutto, il commercio erano in espansione, il tenore di vita della popolazione andava, lentamente, crescendo e con esso la cultura, la coscienza sociale e le idee politiche.

All’interno delle famiglie cominciavano ad apparire i primi segni del benessere, del progresso e della tecnica. Per prima cosa i bagni degli appartamenti diventavano più igienici e funzionali, con la vasca da bagno o la doccia, ma, soprattutto, grazie allo scaldabagno, erano dotati d’acqua calda, poi le cucine a gas con il forno incorporato e ancora, un elettrodomestico che cambiò le abitudini alimentari degli Italiani: il frigorifero, più avanti, ma non di tanto ci sarebbe stato l’avvento della televisione e con essa, del televisore, un altro elettrodomestico destinato a mutare, letteralmente, la vita degli Italiani.

Tutte queste cose, mentre costituivano il segno di una migliore condizione di vita, mai raggiunta prima d’allora, evidenziavano anche un profondo cambiamento sociale con il raggiungimento di uno standard di vita superiore, accompagnato da una maggiore coscienza sociale e da un netto miglioramento del livello economico di tutti. Il torrente impetuoso di quei cambiamenti che, gradatamente, divenne un fiume gonfio e dirompente, toccò tutta l’Italia e, dapprima, solo marginalmente anche la Sicilia, in seguito anch’essa, trovandosi geograficamente estremo lembo di terra italica, fu investita, a tutto campo, da quel fiume in piena di progresso e di modificazioni sociali.

A proposito di quei cambiamenti radicali che mutarono le abitudini delle famiglie italiane, Marco ricorda che, quando suo padre comprò la prima lavatrice, la sua povera madre pianse di gioia e non si stancava mai di benedire i soldi che era costata. I benefici che lei n’aveva tratto, infatti, erano stati immensi, ad onor del vero, quello straordinario marchingegno aveva affrancato, per sempre, le donne dalla durissima fatica atavica del lavaggio dei panni sporchi, cosa che, per secoli, era sempre stata appannaggio esclusivo di tutte le madri di famiglia e delle donne in generale.

Non si può, infine, non parlare del fenomeno più importante che caratterizzò quegli anni e che s’identificò nella crescita vertiginosa delle auto in circolazione. In questa novità italiana, la Fiat, massima industria automobilistica della Penisola, fece la parte del leone, ma, allo stesso tempo, permise agli Italiani di possedere almeno una macchina per ogni famiglia. Il prezzo delle auto, non era accessibile a tutti, tuttavia, l’economia del momento, ancora difficile, per aggirare l'ostacolo, trovò la maggiore e migliore risorsa del secolo: la vendita a rate e con essa la sua regina, “la cambiale”, altro segno dei tempi, che permise quasi a tutti di ottenere anche quello che non avrebbero mai potuto avere. Quella geniale intuizione economica diede il via al decollo verticale dell’economia di mercato, consentendo all’Italia di segnalarsi in campo internazionale, per la sua incredibile crescita, con un fenomeno rappresentativo che, allora, fu chiamato “il miracolo economico”.

Fu inevitabile, allora, che si creasse, sul momento, il “bum” delle attività imprenditoriali e commerciali con l’osservazione, però, che poi negli anni a venire, il fenomeno invadente e contagiante delle cambiali, portato alla sua estrema esasperazione, causò all’economia italiana dei contraccolpi negativi, che innescarono una momentanea recessione. Una serie di speculazioni, incaute e sprovvedute, da parte d’alcuni imprenditori e commercianti disonesti, aveva creato false fortune, infatti, chi si era appoggiato al sistema, aveva inserito nel suo millantato credito, un portafoglio cambiario fasullo che era servito a creare, all’inizio, una liquidità che, in effetti, non esisteva.

In fondo, però, questi fenomeni altalenanti che caratterizzano l’economia di un paese, si possono considerare, quasi, fisiologici perché seguono una sinusoide d’alti e bassi che, per svariati motivi, induce l’economia ad affrontare, dopo un periodo di “vacche grasse”, un altro, susseguente di crisi e recessione, questo la storia, lo insegna da un bel po’ d’anni.

Il volere, a tutti i costi, disconoscere che, dalla fine degli anni ’50, l’Italia fosse in piena trasformazione culturale, sociale e del costume, significherebbe essere ipocriti, ignorando forse il più profondo dei mutamenti che, in quegli anni attraversò il nostro Paese in ogni latitudine e longitudine. Il discorso sociologico, in fondo, è assolutamente d’obbligo perché, l’ampiezza del fenomeno contagiò tutti, soprattutto le nuove generazioni e quindi, i giovani che avrebbero costituito, in futuro, anche la nuova classe dirigente del Paese. In effetti, in quegli anni, nessuno seppe o volle sottrarsi a quella rivoluzione sociale che, come un’onda gigantesca, impattò e travolse tradizioni, tabù e pregiudizi esistenti, per andare purtroppo, nel suo incedere dirompente, a frantumarsi anche nelle forme più deleterie del costume. La conseguenza cui si giunge, inevitabilmente, dopo un periodo d’eccessive proibizioni, per questo si passa in breve traumaticamente, dal troppo poco al solo troppo, indiscriminato.

Per quanto riguardava il Sud d’Italia e in particolare la Sicilia, bisogna fare una considerazione, infatti, mentre alla fine degli anni ’40, ogni novità importante che tendeva a trasformare la società ed il costume degli Italiani, prima era esclusivo appannaggio del Continente e poi, molto lentamente si propagava al Sud. Alla fine degli anni ’50, grazie agli organi di stampa, sempre più numerosi, al Teatro ed al Cinema, anche la Sicilia, relativamente presto, fu investita dai fenomeni di massa, recependone in breve tutti i messaggi.

Si profilava all’orizzonte, inoltre, un altro grande mezzo d’informazione mediatico, che stava per affacciarsi, addirittura, dentro le case degli Italiani: la Televisione. Questo nuovo e straordinario strumento di comunicazione, nel giro di pochi anni, avrebbe trasformato oltre che la cultura italica, anche le tendenze e il modo di pensare, avrebbe sicuramente modificato il sistema di vita delle famiglie, innescando altro importante fenomeno sociale, il tanto discusso eppure controverso “consumismo” importato, come tante altre novità buone e cattive, dagli Stati Uniti, che avrebbe condizionato tutti.

Da tutte queste trasformazioni, da svariati fattori e da molte altre cose ancora, era, e sarebbe stata influenzata e, per molti versi, condizionata anche la loro vita di novelli studenti universitari i quali, ancorché testimoni di quelle profonde mutazioni che erano immanenti, non se ne rendevano conto, né sapevano apprezzare o quantificare gli effetti che si sarebbero manifestati nel tempo in seno alla nostra Società. Di conseguenza, loro, pur vivendo nell’occhio del ciclone di grandi mutamenti e trasformazioni epocali, quasi inconsciamente, si muovevano in una nuova realtà che li attraeva ed alla quale non sapevano resistere. L’unico desiderio, molto comune ormai, era, di godere appieno e senza inibizioni del benessere e delle comodità che erano alla portata di tutti.

Noi, studenti universitari di quel periodo, (primi anni ’60 del secolo scorso) soprattutto quelli che avevano scelto una facoltà che non prevedeva la frequenza, non avevamo impegni pressanti di studio per cui, coccolati dalla famiglia, con una certa disponibilità finanziaria della quale si preoccupava in genere il padre di ciascuno, potevamo spendere i nostri soldi ed il nostro tempo anche inutilmente.

Eravamo giovani di buona famiglia di una città di provincia e passavamo la maggior parte della nostra giornata bighellonando tra il bar, il bigliardo, la passeggiata, il cinema e qualche scherzo “da prete” che dispensavamo all’allocco di turno.

In pratica, caratterialmente, potevamo essere assimilati ai “Vitelloni” di Felliniana memoria, nella cui rappresentazione cinematografica ciascuno si poteva identificare, secondo l’ambiente e la circostanza specifica. Dei monellacci, non abbastanza cresciuti, fortemente rappresentativi di una certa fascia giovanile italiana di quell’epoca ma, forse anche attuale, chissà.

Vivevamo la nostra goliardia come un patrimonio vitale, nell’attesa di una lenta e consapevole maturazione. Vivere quella “bella vita” era per noi come vivere un sogno, lasciarsi andare con indolenza tutta “araba”, farsi cullare, dolcemente e trasportare dal trascorrere della vita, come se questa fosse stata un fiume che, scorrendo molto, ma molto lentamente, ci avrebbe portati fino al mare, ma il più tardi possibile.

Il mare, simbolicamente, rappresentava per noi una sorta di traguardo della vita, oltre il quale, sarebbe finito “il bello” e ciascuno avrebbe dovuto smettere di sognare per affrontare, di persona, le reali difficoltà dell’esistenza, consegnandosi alle proprie responsabilità di persone finalmente mature.

Noi, tuttavia, i “Vitelloni”, belli, grassi, spensierati, incoscienti e soddisfatti, non ci curavamo di questo, tutto al più, forse, era l’ultimo dei nostri pensieri. In definitiva, quel periodo “aureo” del nostro vissuto, per noi che ormai siamo, ora, persone mature, fu definito non solo allora, ma anche adesso con nostalgica malinconia: “I migliori anni della nostra vita”. Un ricordo questo che è rimasto impresso nella nostra mente in modo indelebile e che, puntualmente ritorna, ogni volta che ascoltiamo la famosa canzone di Renato Zero il cui titolo è appunto: “I migliori anni della nostra vita”.

Forse, quel modo di comportarsi della nostra giovane generazione trovava la sua motivazione psicologica nel benessere, da poco acquisito, dalle famiglie dopo l’incubo della miseria, della fame e delle paure di morte e distruzione generate dalla guerra. L’importanza della famiglia nella società italiana, il suo ruolo, nello stesso tempo protettivo e limitativo sui giovani, aveva portato a concedere troppo ai figli, avendone la possibilità e, per una sorta di rivalsa sociale, tendente al recupero di una vita migliore, aveva deciso che loro potessero avere tutto quello di cui essa, per tanti anni, si era dovuta privare.

Vittorio Sartarelli

Vittorio Sartarelli

Nato a Trapani 20/02/1937

Via G.B.Fardella, 237

91100 TRAPANI

Tel. 0923/540668 –Cell. 3287454908

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