«L'Italia non sta messa male», Davide Giacalone apre così la Scuola di Liberalismo

A Scuola di Liberalismo

Cos'è il Liberalismo? Qual è la differenza con il Liberismo e il Libertarismo? Quanto contano gli ideali liberali nella formazione delle coscienze degli amministratori, dei politici, degli statisti di domani?
«A Scuola di Liberalismo» è il blog di Reteluna.it che ci racconterà l'itinerante viaggio del corso di formazione politica promosso dalla prestigiosa Fondazione «Luigi Einaudi» di Roma e diretto da Enrico Morbelli.
Un excursus di 14 lezioni frontali coi migliori insegnanti: Mauro Antonetti, Rosamaria Bitetti, Pierandrea Casto, Franco Chiarenza, Michele D'Elia, Saro Freni, Davide Giacalone, Francesca Lamberti, Luigi Melica, Manuela Mosca, Ennio Emanuele Piano, Donatella Porrini, Emilia Sarogni, Eugenio Somaini, Ubaldo Villani-Lubelli.

Fondazione Luigi Einaudi

Fondazione Luigi Einaudi
La Fondazione Luigi Einaudi per studi di politica ed economia di Roma è stata costituita il 10 dicembre del 1962, a poco più di un anno dalla scomparsa dell’illustre eponimo, per iniziativa del Partito Liberale Italiano del quale era allora segretario Giovanni Malagodi.
Ne furono soci fondatori società, associazioni ed enti che erano il Gotha dell’economia e della finanza italiane: dalla Banca d’Italia all’Iri alla Fiat, dalla Comit al Credito Italiano a Mediobanca, dalle Assicurazioni Generali alla Olivetti alla Techint.
Alcuni di questi soci non ci sono più, ma la maggior parte di essi, talvolta con diverso nome a seguito di fusioni e incorporazioni, partecipa tuttora alla vita della Fondazione.

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Apr 2

«L'Italia non sta messa male», Davide Giacalone apre così la Scuola di Liberalismo

Prima tappa del corso di formazione politica di Lecce: la speculazione sul debito pubblico, il sistema di prestito del denaro delle banche, la risposta dei mercati alla Grecia, lo spostamento dell'attenzione sulla situazione italiana. La rete delle imprese, il mercato del lavoro: differenze con Francia, Germania e gli altri Paesi europei

di Pierfrancesco Parisi

liberalismo, davide giacalone

Cos’è il Liberalismo. Cosa c’entra con il liberismo (quello economico) e il libertarismo. Liberalismo come filosofia morale, come scuola di pensiero critico. La Fondazione «Luigi Einaudi» di Roma, nata il 10 dicembre 1962, a poco più di un anno dalla scomparsa del suo eponimo, Luigi Einaudi, secondo presidente della Repubblica italiana dopo Enrico De Nicola, per iniziativa del Partito Liberale Italiano (allora partito di governo) del quale era segretario Giovanni Malagodi, ha festeggiato nel 2012 il suo sessantesimo anniversario, e anche quest'anno si rivolge non solo agli studenti delle università italiane, ma anche a tutti coloro interessati ad approfondire le tematiche inerenti i campi politico, economico, filosofico, che si sono iscritti all’ormai noto corso di formazione politica «Scuola di Liberalismo», che partito da Roma, ha raggiunto molte province italiane. «Un rifornimento di conoscenze», spiega Mario Lupo, presidente della Fondazione, «la nostra scuola nel tempo ha svolto ricerche di storia del pensiero liberale».

È del 1988 la prima edizione del corso. Due in Puglia, a Bari. Questa è la terza della regione, ma la prima nel Salento. Il benvenuto di questa prima giornata che vi raccontiamo è di Enrico Morbelli, direttore della scuola, che ha detto di essere legato a Lecce, «città importante candidata come capitale della cultura europea».
Molti giornalisti hanno frequentato la Scuola di Liberalismo, e molti di questi sono noti per essersi distinti nella vita sul piano lavorativo, dapprima allievi della scuola e ora insegnanti, come per esempio Giovanni Orsina, docente della Luiss, autore del libro Il berlusconismo nella storia d’Italia. Le fondazioni sono diventate importanti perché eredi del pensiero liberale, e custodi di importanti archivi culturali e reperti storici tenuti in vita, come l’archivio di Malagodi e l’imponente collezione di libri e documenti di Giulio Andreotti.

I saluti sono del consigliere regionale Luigi Mazzei, secondo cui il liberismo economico – si badi bene – e non il liberalismo, «sta depauperando l’Italia», e della senatrice Adriana Poli Bortone (Io Sud, Movimento per Alleanza Nazionale), secondo cui «la nostra società ha bisogno di persone preparate e responsabili, e un ruolo importante di formazione politica viene svolto certamente dalla Fondazione Einaudi».

Come funziona la Scuola di Liberalismo? È un ciclo di 14 lezioni, aperto oggi da Davide Giacalone, esperto di internazionalizzazione delle imprese, giornalista e scrittore livornese. E se il liberale è di per sé un pessimista, Giacalone ha aperto con “Un po’ di ottimismo: la forza dell’Italia”. Una lezione indispensabile, per fare il punto della situazione sull’Europa di oggi, sulla moneta unica, sul debito pubblico (e quello privato), sulla salute del sistema delle imprese e del lavoro, ma soprattutto sull’economia italiana, il cui andamento non sarebbe poi così disastroso come i mezzi di comunicazione di massa ci raccontano, o come gli istituti di statistica ci spiegano registrando, elaborando e diffondendo i nostri dati.

Secondo Giacalone i principali problemi dell’Italia sono principalmente due: un debito pubblico molto alto, formatosi negli anni che vanno dalla Seconda Guerra Mondiale agli anni della cosiddetta Prima Repubblica. Proprio nel 1992 il debito pubblico era di 870 miliardi di euro attualizzati, al 1994 sono diventati 940 miliardi. Oggi, abbiamo invece un debito pubblico di 2.000 miliardi. Proprio per questo, spiega Giacalone, non è vera la storia di un debito pubblico “ereditato”. «Il Paese si vede costretto a pagare ogni anno più di 80 miliardi di debito pubblico, per onorare un impegno mai disatteso negli confronti degli altri Stati, a differenza della Germania, la quale per ben due volte nella storia ha scelto di azzerarlo contravvenendo agli accordi del passato».
Il secondo grande problema, affrontato nella lezione introduttiva, spiega ancora Giacalone, è il lavoro com’è concepito in Italia, per cui «si lavora in pochi, per troppo poco tempo, per troppo pochi anni». 28 milioni di italiani ne mantengono 32. È proprio di oggi la notizia della disoccupazione record (dati diffusi dall’Istat), del 3 per cento, con «un’allucinazione statistica» di disoccupazione giovanile al 40 per cento.
Secondo i dati Eurostat, il lavoro giovanile dovrebbe cominciare a 15 anni, tanto che la concezione di questi istituti è quella che si possa fare qualcosa, cioè lavorare, anche andando a scuola a 15 e 16 anni. Il dato grave è il 46% della popolazione attiva fuori dal lavoro, che tiene fuori i giovani (noi italiani non consideriamo un’abitudine normale il lavoro durante il periodo degli studi), nonché l’attitudine a trovare un'occupazione subito dopo il diploma o la laurea, e la partecipazione bassissima delle donne nel mondo del lavoro.
«Ogni volta che si ricorda questo dato – spiega Giacalone – scatta immediatamente il riflesso condizionato della necessità di modificare le leggi che regolano il mondo del lavoro per offrire garanzie alle lavoratrici e alle donne. Dobbiamo deregolamentare come in Francia, in cui le tutele, le “garanzie” delle lavoratrici, sono molto più basse che in Italia». Una considerazione azzardata, ma in realtà oculata, e controprovata dal fatto che le donne in Francia riescano a trovare lavoro con più facilità, trovando nella società la possibilità di ricollocarsi all’interno del mondo del lavoro con meno difficoltà che in Italia.

Il debito pubblico italiano, considerato in rapporto con gli italiani adulti, secondo Giacalone è oggi in linea con quello degli altri Paesi europei. «Sommando il debito pubblico col debito privato – famiglie e imprese – in rapporto agli italiani adulti, il nostro debito è pari alla Germania, e la nostra posizione è nettamente superiore a quella del Regno Unito, della Francia, degli altri Paesi dell’Ue e degli Stati Uniti, in cui il debito è enormemente più alto di quello italiano sia sul Pil sia sul cittadino adulto».
Non esisterebbe quindi un problema di solvibilità e di solidità dell’Italia come debitore. «Come debitori siamo il paese più solido presente sul mercato», ha detto. E la Germania? Per due volte, come per esempio nel dopoguerra alla fine del Terzo Reich, la Germania smise di pagarlo, contravvenendo a quelli che erano gli accordi internazionali, mentre noi non abbiamo mai rinunciato a rimborsare un centesimo sugli interessi del nostro debito. Che cosa significa? Giacalone è chiaro: «Che siamo i debitori più generosi e affidabili d’Europa». E ancora sull’Euro: «In Europa siamo i primi a sperimentare una moneta comune, una moneta unica, in un’area economicamente disomogenea, con curve di costi e politiche fiscali diverse».

La crisi, che dagli Usa ha raggiunto le coste dell’Europa, ha riguardato per primo la Grecia (2009-2010) con un debito pubblico più grande del patrimonio dei greci, un Paese tecnicamente in default. Da qui, la domanda: può un Paese dell’area dell’Euro andare in default? Un Paese può organizzare l’uscita dall’Eurozona? «In ogni caso no». Ed ecco il ruolo delle banche tedesche e francesi, le prime a speculare su una situazione gravissima di impossibilità dell’uscita della Grecia dall’Euro, costretta, di conseguenza, a pagare un interesse altissimo.
«I mercati, attraverso la loro rete di computer che gestisce gli investimenti, quando hanno visto la scena greca si sono interrogati e hanno riflettuto sull’opportunità di spostare la speculazione verso l’Italia, un Paese che di soldi ne ha tanti. Il sistema politico avrebbe quindi dovuto rispondere analizzando il sistema dell’amministrazione pubblica e della spesa interna, delle municipalizzate, del sistema delle partecipazioni azionarie pubbliche che avrebbe dovuto consentire di contenere la speculazione». Cosa che come si sa non è mai avvenuta.

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