Che succederà il 15 ottobre?

De Carli su green pass e lavoro

C'è una certa tensione che attraversa tutto il Paese, e apprensione per il mondo del lavoro

di Gianluca Valpondi

Green pass sui luoghi di lavoro
Green pass sui luoghi di lavoro

Ciao Mirko. Torniamo a parlare di vaccinazione anti-Covid e di green pass. Il 15 ottobre scoppierà un putiferio, con l’obbligo del green-pass (da tampone o da vaccinazione) per recarsi al lavoro?

Caro Gianluca, ben trovato. Parlare di vaccinazione ancora oggi rende evidente che su questo tema qualche cosa è andato storto purtroppo. È andato storto a livello di confronto pubblico, a livello di dialogo tra cittadini e istituzioni. Credo che il nostro Paese dovrebbe in questo momento concentrarsi sulla ripartenza e su come mantenere i risultati economici incoraggianti che vedono l’Italia capofila della ripresa economica europea, anziché dividersi su un tema che era la grande aspettativa di tutti nei periodi più difficili della pandemia. Quello che più mi stupisce, più mi rammarica è che tante persone che oggi vediamo contrastare la campagna vaccinale o le scelte di politica sanitaria del governo, più o meno discutibili (poi ci entreremo nel merito nel corso dell’intervista), sono coloro che nel periodo della gravità massima della pandemia invocavano la possibilità di un vaccino rapido ed efficace per superare gli effetti nefasti del Covid-19. Purtroppo si è innescato - anche per errori dei mass-media tradizionali e di certe scelte dei governi, in particolare del governo che ha preceduto quello attuale - un meccanismo violento per cui si è vista la strategia italiana del vaccino come una strategia volta a non tutelare la salute veramente delle persone e a creare una guerra tra cittadini e tra lavoratori. I dubbi emersi sull’efficacia e sugli eventuali danni da vaccino, alimentati anche da campagne “ben fatte” che non avevano alcun tipo di fondamento e non hanno alcun tipo di fondamento scientifico e medico, non fanno i conti coi dati certificati dagli enti preposti, che parlano di una percentuale molto ridotta di eventuali effetti collaterali, che rientrano dentro quel cosiddetto rischio calcolato, che è molto molto inferiore, in dimensioni ampie, rispetto invece al rischio che si corre nel caso in cui non si vaccinino le persone e il virus possa circolare liberamente nella sua efficacia virale maggiore. Ma sicuramente questi dubbi insinuanti hanno creato una frizione all’interno della comunità nazionale e oggi ne paghiamo le conseguenze. La scelta del governo di voler tutelare i luoghi di comunità, di convivialità, di vita sociale e di lavoro per evitare di dover ritornare ai lock down e per cancellare dal nostro vocabolario definitivamente la parola lock down, è una scelta forte, è una scelta più alla tedesca che all’italiana (dove si cerca sempre di salvare capra e cavoli), ma è una scelta che è stata presa per far sì che l’economia e la socialità del Paese non dovesse più vivere momenti di restrizione ulteriore. Come ho già detto, non sono per l’obbligo vaccinale, sono per la libertà di scelta, come ho sempre detto, non sono contro i vaccini, ma sono per le vaccinazioni verificate e monitorate dagli enti preposti; non mi piace il green pass, anche se l’ho fatto, ce l’ho, lo uso, e non mi ritengo predisposto per una campagna contraria al green pass, perché lo ritengo uno strumento parzialmente efficace. Ma tant’è il governo ha scelto questa strada e su questa strada dobbiamo misurarci. Il governo ha chiesto tempo fino al 31 dicembre per l’obbligatorietà di presentazione del green pass nei luoghi di lavoro e nei luoghi pubblici. È chiaro che spera di poter verificare nei mesi con cui arriva l’inverno eventuali difficoltà legate a varianti che possono emergere con le temperature più basse. Io sono convinto che nel momento in cui si verificherà che non ci saranno più effetti virali forti e robusti da parte delle eventuali varianti del virus, che la situazione dei contagi, dei ricoveri e dei morti tenda sempre a contenersi maggiormente, speriamo a ridursi ed arrivare a zero, a quel punto questa misura provvisoria scomparirà, e forse ci renderemo conto che le divisioni, le guerre ideologiche, le lacerazioni nei rapporti che abbiamo creato in questi mesi erano evitabili. Chiaro è che se i dati saranno positivi e rimarrà ancora lo stato di emergenza e il green pass obbligatorio, ci si dovrà far sentire con voce forte e sicuramente in quel coro ci sarà anche la mia voce, perché le misure più o meno corrette si possono prendere ma solo quando necessarie; quando non sono necessarie diventano ideologie e le ideologie le ho sempre combattute, e come Popolo della famiglia le abbiamo sempre avversate.

Un certo complottismo esasperato e frustrato è stato la miccia per episodi di disordine pubblico. Dalla strategia della tensione non ne può venire alcun vero bene. Ma come impostare una strategia della distensione?

Credo che hai usato le parole corrette. Purtroppo si vuole alzare la tensione, perché si vogliono utilizzare alcuni argomenti divisivi in questo momento – penso ai vaccini, al green pass, per citarne solo alcuni dei principali – per favorire il protagonismo di alcune realtà politiche extraparlamentari che soffiano sul vento della contrapposizione ideologica per prendere paginate di giornale e fare breccia nell’opinione pubblica. Molti adesso usano l’espressione “serve la pacificazione”, molti usano la parola da te usata “distensione”. Io credo che la parola adeguata in questo momento per dare una risposta a questo clima di scontro sia quella del buon senso. Ho cercato in queste settimane, in particolar modo in questi ultimi giorni, di portare all’attenzione delle riflessioni pacate nei modi ma robuste, forti e incisive nei contenuti, attraverso La Croce Quotidiano e attraverso altre testate che mi hanno dato spazio. Credo che sia fondamentale ora ragione e riflettere, utilizzando appunto il criterio del buon senso, cercando di porre alcuni temi centrali. Per esempio, ha senso vivere fino al 31 dicembre - che è il termine ultimo previsto dal governo dell’obbligatorietà del green pass nei luoghi di lavoro – uno scontro tra lavoratori, imprenditori, che porta a dover avere climi incendiari all’interno delle comunità del lavoro del nostro Paese? Non credo. Per questo il governo dovrebbe cercare di mantenere la linea del controllo della diffusione del virus nei luoghi di lavoro attraverso lo strumento di politica sanitaria che ha scelto, provvisorio e temporaneo, ma dando a tutti la possibilità di potere accedere ai luoghi di lavoro anche se non vaccinati, e l’esempio per tutti è il tampone gratuito, ovvero non la farmacia che fa tamponi a tutti a volontà a seconda delle esigenze - che si vada a ballare, che si vada alla palestra, che si vada a lavoro -, ma metterlo in dotazione nei luoghi di lavoro rendendo efficace il tampone, perché un tampone fatto due giorni prima non ha neanche un’efficacia sanitaria, ha solo un’efficacia formale sul piano giuridico. Se invece si propone di fare i tamponi all’ingresso del luogo di lavoro, organizzando le strutture lavorative e dando loro la possibilità di potersi dotare del materiale per poter fare i tamponi, a quel punto viene data la possibilità di evitare lo scontro tra lavoratori vaccinati e lavoratori non vaccinati, l’azienda diventa un luogo in cui si gestisce, si supera la conflittualità su questo tema, e si garantisce come Stato la deducibilità fiscale del 100% di queste spese, in modo che sostanzialmente non si pagano, perché si vanno a togliere dal monte fiscale che ogni anno l’impresa deve pagare. Questo è molto importante, perché consentirebbe di attraversare questi tre mesi che ci attendono – molto difficili, molto complicati – con l’alleggerimento delle frizioni sociali, di mantenere la linea governativa di conciliazione del diritto al lavoro e delle varie libertà costituzionali con il primario diritto alla tutela della salute della persona, di tenere monitorato il decorso finale della pandemia e renderebbe le aziende non più dei luoghi di scontro ma dei luoghi di convivenza pacifica e di gestione anche di un’emergenza, dove le aziende hanno garantito nel periodo del lock down i servizi a tutto il Paese, primo fra tutti quello di poter andare a fare la spesa, e che ora non possono diventare, nel momento in cui l’Italia torna a correre veloce, luoghi di continui scioperi e continui conflitti.

Mirko De Carli, Popolo della Famiglia
Mirko De Carli, Popolo della Famiglia

Parli spesso della necessità ormai di dover convivere con la possibilità di reiterate crisi pandemiche, accettandole in pratica come endemiche alla globalizzazione. Ma è proprio così, inevitabilmente? Non è possibile, e auspicabile, una globalizzazione più sana? Si sono fatti significativi passi avanti per la chiarificazione dell’origine del virus Covid-19, e quindi per il possibile futuro evitamento di disastri sanitari e socio-lavorativi? L’unica via è la costruzione di “scudi sanitari” sempre più robusti, o è possibile anche cercare di affrontare e debellare il problema alla causa, nella sua origine?

Sì, parlo di una situazione endemica, irreversibile, con la quale dovremmo convivere a livello globale, e non certo solo continentale e nazionale, nei prossimi decenni. È appunto il frutto dell’evoluzione più sviluppata della globalizzazione, che ha portato quindi ad una circolazione delle persone e delle merci diffusa su tutto il globo, senza limiti, e di conseguenza, con la circolazione delle persone e delle merci, c’è la circolazione dei virus. Naturalmente a questo va ad aggiungersi il fatto che alcune nazioni tra le più potenti al mondo, quindi la Cina in particolar modo in questo caso ma anche gli Stati Uniti, hanno laboratori dove sviluppano batteri capaci di poter essere strumenti di conflitto internazionale. Su questo dovremmo vigilare, sicuramente un ruolo le Nazioni Unite dovranno averlo, sempre più forte, per evitare appunto che vadano nelle mani sbagliate. Sicuramente, al termine di questo processo pandemico globale, sarebbe necessario e opportuno un processo preciso e chiaro rispetto alle origini vere e reali della diffusione del Covid-19. Credo che non ci sarà, non ci sarà perché la Cina è il primo azionista diciamo a livello mondiale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che è molto appiattita rispetto alle posizioni del governo cinese, e d’altra parte anche altri Stati, come gli Usa, il cui debito è posseduto per la stragrande parte dalla Repubblica cinese, non hanno interesse a creare un conflitto ulteriore con la Cina. Quindi, credo che sarà difficile che riusciremo a trovare le ragioni vere che sono alla base della diffusione del virus che ha generato quest’ultima pandemia. Credo che oggi sia molto importante creare delle attività di programmazione e prevenzione strutturate, che non siano solamente nazionali, ma che siano continentali e internazionali, ovvero vanno creati dei codici di prevenzione e di programmazione che permettano agli Stati di non affrontare in maniera solitaria e autonoma eventuali ulteriori crisi pandemiche, ma che ci sia la possibilità di avere delle procedure condivise che permettano immediatamente, dal momento in cui si entra nella fase acuta della diffusione di un eventuale virus paritetico al Covid-19, di avere dei protocolli adeguati da attivare. È chiaro che noi primariamente lo dobbiamo fare come comunità europea sicuramente oltre che come Italia; e poi provare, tentare di creare degli accordi multilaterali con gli Stati disponibili a farlo. Questo ci garantirebbe, perché uno dei problemi più significativi che ha afflitto l’Italia, che è stato il Paese europeo più colpito dalla pandemia e uno dei più colpiti al mondo, è stato proprio quello di non farsi trovare adeguatamente pronta con i protocolli richiesti anche dall’Unione europea aggiornati, a differenza per esempio della Germania, e con gli investimenti adeguati sul sistema sanitario. Credo che questa sia la vera sfida, e purtroppo sento già parlare molto poco di adeguamento delle strutture ospedaliere, di riorganizzazione della medicina del territorio, di investimento forte nei dispositivi di protezione individuale per non farci trovare impreparati. Mi sembra che molta politica italiana abbia già dimenticato il dramma dei periodi più duri dell’attacco virale. Noi dobbiamo fare memoria e fare memoria significa essere pronti in qualsiasi momento a fronteggiare un’emergenza di questo tipo. Mi auguro che questa lezione non si dimentichi e sicuramente come Popolo della famiglia saremo attenti a difendere e promuovere i diritti della persona, tra cui anche quello fondamentale alla salute.

Giovedì 14 ottobre 2021