omofobia, un termine ambiguo

Cos'è l'omofobia? Patologia o crimine?

Da qualche anno il termine «omofobia», e suoi derivati, furoreggia sui media

di Gianluca Valpondi

Omofobia?
Omofobia?

Se ho un corpo sessuato avrò un orientamento eterosessuale perché “infiniti sessi” è uguale a “nessun sesso” e dunque a corpo asessuato perché polisessuato.

Nuovi diritti? Diritti nella sfera affettiva? Non è vero che dare certi diritti non ne toglie ad altri; prima di tutto i bambini hanno diritto ad avere papà e mamma e a crescere sapendo che il maschio è maschio e che la femmina è femmina; poi uno può essere maschio in infiniti modi o femmina in infiniti modi, ma maschio è maschio e femmina è femmina; poi ci sono i casi di disforia di genere e di pseudoermafroditismo e sindromi varie, ma sono sindromi appunto, eccezioni che confermano la regola, e i bambini hanno il sacrosanto diritto di sapere che in natura, nella natura umana, la regola esiste.

Gli omosessuali non ci tolgono niente anzi ci arricchiscono come persone; invece l'omosessualismo, cioè l'ideologia secondo cui non c'è un nesso naturale tra sesso biologico e orientamento sessuale, quello sì che ci danneggia tutti, etero o omo che siamo.

La campagna d'odio è contro Mario Adinolfi da una parte, e contro un'ideologia assurda dall'altra: giudichiamo facilmente se sia meglio schierarsi, come Adinolfi, contro un'ideologia assurda o, come gli ideatori di certe carte da gioco a dir poco “adinolfofobe” per non dire criminali, contro una persona che, con tutti i suoi limiti e difetti, si oppone coraggiosamente e meritoriamente all'affermarsi di un'ideologia assurda. Creare di proposito orfani di madre o di padre è un metter su famiglia che non tiene conto in primo luogo delle esigenze dei bambini, quindi è un metter su famiglia contro la famiglia. Chi appoggia il Popolo della Famiglia vuole che ai bambini sia riconosciuto il diritto di avere un papà e una mamma e di essere educati all'idea che il maschio è maschio anche se ha infinite modalità di esserlo, e la femmina è femmina anche se ha infinite modalità di esserlo, e che maschio e femmina, in tutte le loro infinite declinazioni e sfumature, sono comunque vicendevolmente complementari e irriducibili; è più esatto parlare di persone (maschio e femmina) dal sesso complementare che non di persone dal sesso opposto. In qualche modo il maschio “chiama” la femmina e la femmina “chiama” il maschio, definendosi reciprocamente nel distinguersi per una opposizione attrattiva come il polo elettrico positivo e quello negativo, sempre certo nella dimensione della persona integrata nella natura umana e della natura umana integrata nella persona, e quindi sempre nell’originario e profondo significato sponsale del corpo (cfr “Teologia del corpo”, S. Giovanni Paolo II).

C’è questa strana idea che per abbattere le disuguaglianze bisognerebbe abbattere le differenze, come se un ricco sfondato dovesse pagare lo stesso quantitativo di tasse di un povero lavoratore che arriva a mala pena a fine mese: trattare allo stesso modo situazioni differenti è egualitarismo sommamente ingiusto e irrazionale. C’è l’idea di un’uguaglianza disumana intesa come mera standardizzazione, che diventa inavvertitamente, insensibilmente ma pesantissimamente anche standardizzazione dei processi di apprendimento quando l’educazione diventa una specie di addestramento coatto al pensiero unico, quando, ad esempio, in un liceo classico si cerca di inculcare soavemente quanto sia ormai normale, del tutto accettabile e magari pure al passo coi tempi, che una coppia gay ricerchi, attraverso una scelta fatta con criteri squisitamente “zoologici” (sig!), un utero da affittare; o quando in un’altra scuola si spiega “scientificamente” e dettagliatamente come leccare l’ano del partner senza rischio di malattie. Invece la verità è sottomissione al reale, non una produzione della nostra volontà impazzita.

Che fine ha fatto la libertà di espressione degli omosessuali non gay? Perché i militanti gay dovrebbero parlare a nome di tutte le persone omosessuali? Nel suo coraggioso “Omosessualità controcorrente. Vivere secondo la Chiesa ed essere felici”, Philippe Arino prova ad abbattere il muro del silenzio. Stesso dicasi per Jean-Pier Delaume-Myard ("Omosessuale contro il matrimonio per tutti").

Omofobia: paura degli omosessuali? Mmm…banalino. Paura dell’omosessualità? Già più interessante. Paura di essere omosessuali? Forse ci siamo; forse è questa la radice più vera di questo concetto. Poi bisogna capire se è un concetto vero. L'omofobia sarebbe la paura di essere omosessuali? Vediamo...chi tratta male gli omosessuali in effetti qualche problema ce l'ha; sì, può essere che un individuo maschio tratti male un omosessuale per la paura inconscia che ha di non essere abbastanza mascolino e trattando male la persona con tendenze omosessuali potrebbe in qualche modo esorcizzare questa paura. Ma questa paura in se stessa non è un reato ma al limite una patologia psichica: il reato sarebbe semmai il comportamento che ne potrebbe derivare, sennò si fa il processo alle intenzioni o si deve parlare di “psicoreato”. Ma uno che ha paura di essere omosessuale deve essere incriminato? No, se non delinque. Dov'è scritto che tutti quelli che hanno paura di essere omosessuali esorcizzano tale paura maltrattando gli omosessuali? Ma poi, e soprattutto, non c'è nessun nesso logico stringente tra l'opporsi all'assurda ideologia omosessualista e l'aver paura di essere omosessuali, e non c'è coincidenza tra l'opporsi all'assurda ideologia omosessualista e il maltrattare le persone con tendenze omosessuali. A ben vedere, se uno ha paura di essere omosessuale, vuol dire che qualche seppur fievole tendenza omosessuale facilmente ce la deve avere, altrimenti di cosa dovrebbe aver paura? Quindi l'omofobo sarebbe una sorta di omosessuale "represso", cioè che ha paura di essere se stesso, avendo introiettato l’omofobia percepita esteriormente in una società omofoba, una società cioè che, a sua volta, teme la sua latente omosessualità. Ma si può dire che questa paura sia patologica? O non è forse normale? E "essere se stesso" non può voler dire opporsi a tendenze omosessuali egodistoniche piuttosto che invece assecondarle? Ne risulta allora che l'omofobia altro non sarebbe che il giusto richiamo della coscienza morale nelle persone con tendenze omosessuali; richiamo che si vorrebbe zittire nelle coscienze di tutte le persone dipingendolo come una forma di patologia pericolosa per la pace sociale. Del resto, per Freud la religione non è forse una sorta di nevrosi collettiva? Tra i doni dello Spirito Santo c’è anche il timor di Dio; non è che sotto sotto ci si voglia sbarazzare del santo timore filiale di Dio? Ma chi se ne avvantaggerebbe? A chi giova comportarsi da orfani ribelli di un Padre che ci ama fino all’inverosimile?

“Mi hanno odiato senza ragione” dice il Giusto nella Scrittura e si tratta di essere oggetto di odio fomentato da un delirio satanico, e “dagli all’omofobo!”. Chi davvero soffre di più a livello psichico? Il persecutore o il perseguitato? Comunque, le persone con sofferenze psichiche non vanno angariate ma neanche abbandonate, anche perché tutti, in un modo o nell'altro, abbiamo sofferenze psichiche e tutti abbiamo il diritto di essere amati corrispondente al dovere di tutti di amare tutti. Ma amare non significa infischiarsene di ciò che è bene e di ciò che è male, perché se non voglio il tuo bene ultimo, ovvero la tua perfetta felicità, non ti amo veramente. "Le persone vanno amate perché sono giuste o perché lo diventino" diceva sant'Agostino e qualche annetto più tardi gli faceva eco Dostoevskij: "Amare un uomo significa vederlo così come Dio lo ha concepito".

Nella psicopatologia gli atti umani ci sono, ma la loro piena espressione è ostacolata o, meglio, essi si esprimono attraverso una sofferenza psichica che è mancanza di libertà, ovvero atti dell’uomo non pienamente atti umani perché non pienamente liberi o liberati. Il sistema di cura si adegua alla vicenda esistenziale della persona, cresce con la persona, consapevole che è sempre indietro rispetto all’imponderabile mistero della persona umana e della sua libertà che qualsiasi “sistema” umano rincorre sempre senza mai poterlo raggiungere definitivamente e totalmente e completamente: è un continuo approssimarsi all’imponderabile mistero della libertà umana. La “conoscenza metodica delle ragioni eterne delle cose e delle ragioni eterne dei movimenti delle cose” (S. Agostino) è un processo più che un dato di fatto e chiaramente non si è mai arrivati nel dominio delle scienze, tanto meno in quello delle scienze umane o dello spirito. Ma questo non vuol dire che la verità non esista o che non sia conoscibile o che non si dia progresso nella conoscenza della verità; semmai il contrario!

Esistono casi di omosessualità "non remissibile" nel senso di non "convertibile" in eterosessualità, ma non per questo esenti dal poter percorrere un cammino di santità nella via della castità (che è la stessa via degli sposi, che devono essere casti, la castità essendo lo sguardo non strumentale sull’altro). Per evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione, occorre sempre ben distinguere la posizione personale dalla condizione personale, l’orientamento sessuale dall’adesione ed assecondamento di un certo orientamento sessuale, perché non c'è mai compatibilità tra la retta ragione e gli atti omosessuali, ma ci può essere tra la retta ragione e la condizione omosessuale. Se, ad esempio, un insegnante omosessuale, come appunto è il su citato Philippe Arino, ma anche, da noi, Giorgio Ponte (insegnante di religione omosessuale pro Family-Day) spiegasse agli alunni la sua battaglia quotidiana contro le pulsioni contronatura del suo orientamento sessuale nel suo voler vivere secondo i dettami della Chiesa e combattere contro l'ideologia gay, che male ci sarebbe? Ci sarebbe, viceversa, male se un insegnante "perfettamente" etero, propagandasse, chessò, il "libero amore" magari anche omosessuale. Non conta tanto la condizione di una data persona quanto piuttosto il suo posizionarsi rispetto alla sua condizione: questo non vuol dire che non si possa ritenere che una certa persona, per il suo bene, per "fuggire le occasioni prossime di peccato", non possa, in taluni casi e/o in determinati momenti della sua vicenda esistenziale, essere a ragione tenuto lontano da determinati contesti lavorativi e/o vocazionali, ma questo va valutato caso per caso e con estrema delicatezza per non passare dal giudizio del comportamento al giudizio della persona, dalla condanna del peccato a quella del peccatore, nella presunzione di sostituirsi a Dio. Chi parla o scrive di certi argomenti senza fare la dovuta attenzione può incorrere nel rischio di un pericoloso autogol, nel senso che con qualche ragione gli si potrebbe dare dell' "omofobo", e non per fargli un complimento.

Mercoledì 17 aprile 2019